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Transizioni energetiche e trivelle. Sul referendum del 17 aprile

Duccio Basosi * - 22.03.2016

Per quanto se ne sa in giro, il referendum abrogativo del 17 aprile potrebbe anche averlo convocato Tyler Durden. La prima regola della libera stampa nazionale pare infatti essere: “non parlate mai del referendum del 17 aprile”. La seconda: “non dovete mai parlare a nessuno del referendum del 17 aprile”. Il quesito referendario, è vero, non è di quelli che fanno venire subito voglia di salire sulle barricate: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, 'Norme in materia ambientale', come sostituito dal [...]”? Il fatto che non se ne parli, tuttavia, è un brutto sintomo dello stato della politica e dell'informazione in Italia.

Infatti, dietro la formula del quesito si nasconde anzitutto una questione pratica ritenuta importante da nove Regioni italiane: si chiede di cancellare la norma che consente alle società minerarie di cercare ed estrarre gas e petrolio, senza limiti di tempo, entro le 12 miglia marine dalle coste. Le espressioni chiave sono “entro le 12 miglia marine” e “senza limiti di tempo”. La prima chiarisce quali impianti di estrazione di idrocarburi sono riguardati dal referendum: non quelli sulla terraferma e non quelli in mare a una distanza superiore alle 12 miglia marine dalla costa. La seconda chiarisce che l'eventuale vittoria del “sì” non determinerebbe l'immediata cessazione delle attività di ricerca e estrazione nemmeno nell'area così delimitata, leggi tutto

L’Italia non è più un paese per Enrico Mattei? Alcune considerazioni sul Referendum del 17 aprile “No-Triv”

Massimo Bucarelli * - 17.03.2016

L’importanza di Enrico Mattei nella storia politica ed economica del nostro paese è ben chiara e nota a molti, se non a tutti. Mattei ebbe l’intuito imprenditoriale e soprattutto la capacità politica di non liquidare l’AGIP, considerata un’inutile eredità del regime fascista. Ne rilanciò, anzi, le attività di perforazione del territorio nazionale e ne fece l’asse portante dell’ENI, l’ente di Stato istituito nel 1953 su sua proposta per provvedere al fabbisogno energetico nazionale. Grazie alle iniziative di Mattei e dei suoi successori, l’ENI è riuscito a inserirsi in breve tempo nel mercato mondiale degli idrocarburi, diventando una delle maggiori multinazionali nel settore energetico (attualmente il sesto gruppo petrolifero al mondo) e la prima azienda italiana per fatturato.

L’azione di Mattei ebbe l’appoggio dei politici, che avevano le maggiori responsabilità di governo, e il consenso dell’opinione pubblica, interessata a recuperare il gap economico e sociale con gli altri paesi industrializzati. Pur essendo arduo fare comparazioni e confronti tra la classe dirigente e la società civile dell’epoca e quelle attuali, per la diversità del contesto politico, delle situazioni economiche e dello sviluppo tecnologico, forse non sarebbe azzardato affermare leggi tutto

In ricordo di Umberto Eco

Giulia Guazzaloca - 27.02.2016

Innumerevoli sono stati in questi giorni i ricordi, le commemorazioni, le analisi della personalità e dell’eredità intellettuale di Umberto Eco. Ma gli elogi in memoria della grandi personalità scomparse lasciano sempre il tempo che trovano; si tratta di un «genere» giornalistico che probabilmente Eco avrebbe incenerito con una battuta. Mentre era in vita, la sua personalità complessa e la sua opera non hanno goduto solo di successi e riconoscimenti. Il carattere caustico e sferzante, l’amore estremo per il paradosso gli hanno provocato, infatti, frequenti attacchi e polemiche; la sua produzione non è sfuggita a critiche anche dure, specie all’uscita de Il cimitero di Praga, e prima ancora con Il pendolo di Foucault.

Ma questo in fondo capita alle grandi personalità che lasciano il segno. Un segno che nel caso di Eco non sta tanto nelle singole opere, o non solo in esse: che fossero celebri romanzi o le note della Bustina di Minerva, rubrica che per trent’anni ha tenuto sul settimanale «L’Espresso»; che fossero complessi scritti avanguardistici sulla filosofia del linguaggio, dove Aristotele spiegava Joyce e viceversa, o saggi teorici sull’estetica. Il segno, Umberto Eco lo ha lasciato ancor più nel tipo di intellettuale che è stato: un intellettuale atipico, vulcanico, fuori dal coro. leggi tutto

The Spotlight: il ruolo cruciale dell’inchiesta giornalistica

Francesca Del Vecchio * - 23.02.2016

Dal 18 febbraio 2016 è in programmazione nelle sale The Spotlight, di Tom McCarthy. Il film-  presentato fuori concorso alla 72ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia- racconta la storia dell’omonimo pool d’inchiesta del Boston Globe che, nel 2001, inizia un’indagine sugli abusi sessuali ai danni di minori. Abusi perpetrati da alcuni sacerdoti dell’Arcidiocesi di Boston e immediatamente insabbiati dall'autorità ecclesiastica, l’arcivescovo Bernard Francis Law. Nel corso del 2002 il quotidiano pubblica oltre 600 articoli, documentando un migliaio di casi di violenze, attestando le responsabilità di circa 70 sacerdoti, tra cui spicca il nome di Padre Geoghan. Nel 2003 al giornale viene assegnato il Premio Pulitzer nella categoria “pubblico servizio”. The Spotlight non ha nulla a che vedere con i film hollywoodiani tutti star e colpi di scena, né vuol scimmiottare il mèlo dai toni stucchevoli. Al contrario: ricostruisce in maniera capillare la genesi dell’inchiesta che ha fatto luce sul fenomeno della pedofilia, raccontando sia le pressioni da parte delle istituzioni laiche, che le intimidazioni ricevute da quelle religiose nella cittadina più cattolica d’America. I personaggi proposti sembrano essere fedeli agli originali, e- per questo- senza pretese di mitizzazione. Il risultato è un film apprezzabile. Il silenzio in cui è avvolta la sala alla fine della proiezione spinge a fare alcune considerazioni. Ovviamente il tema non è nuovo al pubblico, non dopo il racconto di alcune vicende disseppellite- in Italia -dalle Iene. leggi tutto

Apple a Napoli: cercasi app

Patrizia Fariselli * - 11.02.2016

Un paio di settimane fa in Italia ha ricevuto molta attenzione mediatica l’incontro tra Renzi e il CEO di Apple Tim Cook nella cornice dei damaschi di Palazzo Chigi e davanti a una tazzina di vero caffè, per dare risonanza al massimo livello all’annuncio della creazione a Napoli del primo centro di sviluppo app iOS  in Europa. La stampa e la TV italiane hanno riportato la stessa notizia nello stesso modo, niente più che un’agenzia di 22 righe gentilmente diffusa da Roma dall’ufficio stampa di Apple basato in +44, verosimilmente Irlanda. Siccome il premier Renzi ha detto che “la Apple farà 600 posti di lavoro a Napoli” la notizia è di quelle che fanno esplodere i mortaretti, e dunque siamo andati a cercare i dettagli. Ma non li abbiamo trovati, e non disponendo di contatti privilegiati con le fonti americane, romane o napoletane direttamente coinvolte, abbiamo cercato di farci un’idea in piena solitudine informativa.

Nel comunicato stampa di Apple si parla estesamente della leadership di Apple nell’innovazione e del ruolo maieutico di Apple Store alla crescita di una “vibrant” comunità di sviluppatori di app (1,2 milioni di posti di lavoro in Europa, oltre 75.000 in Italia) e al suo prosperare (10.2 miliardi di Euro di ricavi dalla vendita di app nel mondo). L’iniziativa a Napoli riguarda la creazione di un centro di formazione per fornire a studenti “skills and training” per lo sviluppo di iOS app che concorrano a rafforzare “seamless experiences” entro l’ecosistema Apple generato dalle quattro piattaforme software (iOS, OS X, watchOS, tvOS), leggi tutto

A Scuola con i videogiochi: il progetto BYOEG (parte 2)

Alfonso D'Ambrosio, Serafina Dangelico, Loredana Imbrogno e Sabina Tartaglia * - 04.02.2016

Nel mese di giugno abbiamo deciso di iniziare l’avventura di BYOEG (Bring your own educational game), ovvero creare da zero dei giochi educativi. La nostra idea iniziale vale ancora oggi: basta con pacchetti confezionati da altri, che mal corrispondono ai bisogni reali della classe, ogni docente ha la possibilità di adeguare la lezione alle potenzialità dei propri alunni, ai loro interessi, realizzando un proprio videogioco.

Il progetto BYOEG ha alcuni aspetti originali:

1)      I giochi vengono costruiti dal basso, ovvero dai docenti e dagli studenti

2)      Si utilizzano programmi gratuiti dedicati alla realizzazione di videogiochi

3)      I giochi sono educativi, ovvero esplicitamente finalizzati a veicolare conoscenze e competenze.

4)      I giochi sono veicolati con precise metodologie didattiche (nel nostro caso IBSE, PBL, Problem Solving, Brain storming, Cooperative learning, Learning by doing)


L’utilizzo di un linguaggio quale quello dei videogiochi permette di tenere alto e più a lungo il livello della motivazione, dell'attenzione e della concentrazione e di agganciare anche quei bambini che hanno difficoltà di apprendimento; cambiando il setting della lezione che diventa pratica, creativa, metacognitiva, sperimentale e collaborativa, avendo la possibilità di adeguare lo stile d'insegnamento ai molteplici stili di apprendimento secondo l'ottica di Gardner.
L'uso di Scratch, alla primaria ad esempio,  consente di attuare  un principio educativo per noi molto importante "Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco!” (Confucio); leggi tutto

A scuola con i videogiochi (parte 1)

Alfonso D'Ambrosio, Serafina Dangelico, Loredana Imbrogno e Sabina Tartaglia * - 02.02.2016

Nel linguaggio comune alla parola gioco tutto si associa tranne il termine “serio”. Quando parliamo di gioco ci viene subito in mente quella dimensione ludica, propria dell’età della giovinezza, dove il gioco è un momento in cui , in compagnia (o da soli), si stacca la spina dalle vicende quotidiane, è una dimensione spaziale e temporale, dove è possibile lavorare di fantasia, immaginare scenari nuovi, ovvero una dimensione dove l’ “imparare come si  fa scuola” non è spesso contemplato.

E’ possibile imparare giocando e farlo in una dimensione scolastica?

In un comune gioco si imparano strategie, si superano insidie, livelli, si impara giocando. Con il termine serious games si intendono giochi che hanno un chiaro intento educativo, che può essere implicito o esplicito. Nella nostra visione non ha senso parlare di gioco educativo ad hoc, in quanto tutti i giochi veicolano apprendimento, però nel proseguo nell’articolo ci riferiremo al termine gioco educativo, o serious games, quei giochi che non  hanno come principale obiettivo lo svago, il divertimento.

Negli ultimi anni l’attenzione dei giochi educativi si sta spostando verso i giochi digitali, leggi tutto

Come in uno specchio. Il successo di Zalone e gli italiani

Maurizio Cau - 09.01.2016

Uno spettro si aggira nel cinema italiano. È quello di Monicelli, Risi, Sordi, Scola, Germi, Zampa. In due parole, della commedia all’italiana.

Succede ormai da anni che ogni film di successo che con leggerezza più o meno marcata prova a raccontare il Paese venga esaminato in controluce per scoprire i gradi di parentela che può rivendicare con uno dei generi e delle stagioni più alti del cinema nostrano. Poco importa che la cosiddetta commedia all’italiana non possa contare su un canone stilistico chiaro e condiviso; quello è il metro di misura con cui si esamina (e si giudica) ogni commedia prodotta nel nostro Paese. È ciò che capita ripetutamente con il cinema di Checco Zalone, il quale opera dopo opera si va emancipando dal registro comico di derivazione televisiva e si confronta con racconti più ambiziosi capaci di mettere in scena le varie facce dell’italianità. In questi giorni si assiste ai consueti giri di valzer della critica di settore: da un lato c’è chi riconosce in Zalone il nuovo maestro di un genere da (troppi) anni sepolto, dall’altro chi sottolinea la lontananza tra il registro sardonico e dissacrante di Luca Medici (il vero nome del comico pugliese) e le altezze registiche e drammaturgiche di un genere ormai consegnato alla storia.

La riconduzione del cinema di Zalone nelle strette maglie del genere non rappresenta però l’elemento centrale della questione. leggi tutto

Cooperazione, fundraising e dignità

Nino Santomartino * - 12.12.2015

Da molti anni ormai si è sviluppato il dibattito sull'utilizzo di immagini “estreme” nelle campagne di raccolta fondi: immagini strazianti di bambini scheletrici, dal respiro ansimante o con lo stomaco gonfio. C'è chi sostiene la logica del "fine giustifica i mezzi" e chi, invece, si oppone, definendo certi metodi come "pornografia del dolore".

Ad ogni campagna di questo tipo il dibattito si riapre e, come spesso accade, si trasforma in polemica senza portare ad alcun risultato.

 

Molto probabilmente, questo dibattito riflette due modi contrapposti di intendere la stessa attività, che si rispecchiano nell’utilizzo delle due diverse terminologie: raccolta fondi e fundraising.

Da un lato, una raccolta fondi come “sterile” tecnica di marketing, complesso di attività che si incentra sulla richiesta di denaro; dall’altro un fundraising inteso come attività caratteristica di una nuova forma di economia basata sulla reciprocità e sulla creazione di rapporti d’interesse (nel significato originario di “essere in mezzo, partecipare”), un nuovo modo di intendere la sostenibilità dei beni comuni.  

 

Un dibattito molto interessante, anche perché il problema non è solo rilevante sul piano del fundraising (o della comunicazione sociale in genere) ma soprattutto su quello etico.

Le organizzazioni non profit, come tutti gli attori della società leggi tutto

Rispetto delle culture e caricatura del rispetto

Paolo Pombeni - 01.12.2015

La polemica sulla presunta iniziativa del preside di un Istituto di Rozzano, Marco Parma, che è accusato di voler soprassedere alle celebrazioni del Natale con riferimenti al cristianesimo per rispetto delle altre religioni è la triste dimostrazione dell’incultura in cui siamo caduti. Tanto i difensori della presunta  preside  quanto le forze politiche che lo hanno contestato ne sono pervasi.

Va però notato che questa iniziativa che il preside Parma ha smentito arriva dopo un certo can can mediatico a seguito di altre iniziative simili che c’erano state in passato e dopo che la faccenda è stata lasciata correre anche troppo.

Non è una questione di religione, è una questione di storia e cultura e ci permettiamo di dire che alcuni rappresentanti della Chiesa Cattolica sbagliano nel non prendere le distanze da troppi interessati difensori delle radici cristiane, che lo fanno solo per speculazione politica (e che non sono credibili come difensori della fede e della civiltà).

Chiediamoci invece perché coloro che credono di essere all’avanguardia quando vorrebbero abolire una tradizione per il presunto rispetto di quelli che non ci si riconoscono sono semplicemente delle persone senza cultura che per di più mettono a rischio una delle più grandi conquiste dello sviluppo culturale dell’occidente, cioè il pilastro della “tolleranza”. La risposta è abbastanza semplice, ma purtroppo raramente viene sviluppata. leggi tutto