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16 marzo 2024
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Argomenti

Il sogno americano di John Fitzgerald Kennedy, sessant'anni dopo

Francesco Provinciali * - 11.11.2023

Se alle 12:29 del 22 novembre 1963 la Lincoln Continental presidenziale - dove JFK sedeva in seconda fila - entrando in Dealey Plaza a Dallas avesse proseguito diritto su Main Street, come inizialmente era previsto, anziché svoltare a destra su Houston Street ad una velocità di circa 18 km/h, passando lentamente di fronte al deposito di libri della Texas School dove il suo assassino si era strategicamente appostato, forse il Presidente Kennedy si sarebbe salvato da quel pericoloso viaggio elettorale in Texas, ricco di nefaste premonizioni e carico di un clima apertamente ostile a quella visita. Ma John Kennedy che era consapevole dei rischi che correva - tanto da averne premonizione la stessa mattina -decise di affrontare il suo incerto e rischioso destino. La storia non attende i ‘ma’ e i ‘se’ e compie inesorabile la sua parabola: tutto era stato orchestrato affinché in quel momento esatto a poche decine di metri di distanza Lee Oswald prendesse la mira e colpisse al collo e alla testa il Presidente che si accasciò tra le braccia di Jaqueline che gli sedeva accanto. La morte repentina al Parkland Memorial Hospital e ciò che avvenne quel giorno fatale - i dettagli macabri di quell’avvenimento, con i volantini listati ad un lutto annunciato, leggi tutto

Siamo stati schiavisti. I gesuiti negli Stati Uniti fanno i conti (salati) con il proprio passato

Claudio Ferlan - 27.03.2021

La Compagnia di Gesù si è assunta una assai rilevante responsabilità negli Stati Uniti, impegnandosi a raccogliere 100 milioni di dollari a beneficio dei discendenti delle persone schiavizzate che un tempo l’ordine religioso possedeva e aveva venduto per agevolare un’operazione commerciale. Il New York Times ha salutato la promessa dei leader gesuiti americani come uno dei più grandi sforzi della Chiesa cattolica romana nel fare ammenda per il proprio coinvolgimento nello schiavismo.

Andiamo indietro nel tempo per cercare le radici di questo impegno. Nel 1838 i proprietari gesuiti dell’Università di Georgetown vendettero 272 schiavi, uomini, donne e bambini, ai proprietari di piantagioni in Louisiana, in cambio di 115.000 dollari (equivalenti a circa 3,3 milioni di dollari del 2021).

Perché i gesuiti lo fecero? Per far fonte ai debiti accumulati dalla Georgetown University  (allora Georgetown College), fondata da John Carroll nel 1789, quando la Compagnia di Gesù era formalmente soppressa ma lottava per sopravvivere in varie parti del mondo. È stata la ricerca storica a consentire la messa in moto del procedimento di risarcimento, chiamiamolo così, che ha dato il via all’onere dei 100 milioni. Nel settembre 2015 Georgetown si è impegnata “in un processo di lungo termine e continuativo per comprendere più profondamente e per dare risposta al ruolo dell’università nell’ingiustizia della leggi tutto

La democrazia è una cosa seria

Paolo Pombeni - 09.01.2021

Lo choc per i fatti di Washington è stato abbastanza forte. Si è visto come quella che era stata elevata a madre del costituzionalismo democratico sia finita ad essere teatro di un assalto al suo parlamento da parte di bande di facinorosi esagitati istigati a farlo da un presidente sconfitto alle elezioni. Vale il vecchio detto che chi semina vento (Trump e i suoi vari supporter) raccoglie tempesta. Purtroppo i seminatori di vento sono molti, anche in Italia, e la delegittimazione del sistema democratico è una tempesta che può sempre essere in procinto di scatenarsi.

Per questo ci permettiamo di attirare l’attenzione su alcuni argomenti pericolosi che vengono agitati durante la attuale crisi politica che non sappiamo ancora come potrà concludersi. Non tifiamo per nessuno degli attori che con maggiore o minore insensatezza occupano l’attuale ring politico, vorremmo semplicemente che si evitasse di diffondere argomentazioni che sono rischiose per la stessa tenuta del nostro sistema.

La più banale è l’affermazione che un partito che ha il 2% (stimato) dei consensi non avrebbe diritto a porre questioni di tenuta del governo. Ovviamente in democrazia chiunque è titolato ad intervenire sulla gestione della cosa pubblica. Se sono questioni fondate se ne dovrebbe tenere conto, perché è irrilevante la percentuale leggi tutto

La politica populistica di Trump e la lotta religiosa per il controllo del sogno americano

Alessandro Micocci * - 16.12.2020

Nelle recenti elezioni presidenziali gli Stati Uniti sembrano essere giunti, nell’opinione dei mass media, a un punto di radicale rottura del paese in due fazioni, schierate in un, seppur banale e riduttivo, “o con Trump o contro”. Se da una parte questa divaricazione sociale, culturale e politica è stata incentivata dal populismo e dalla dialettica del miliardario repubblicano, dall’altra la netta estremizzazione delle posizioni tra democratici e repubblicani può leggersi in una chiave evoluzionista, la quale può far luce su una strategia politica fredda e programmata: non dunque, come la frenetica attività dei media ritiene, a una deriva populistica di Donald Trump, di concerto con il suo establishment.

A questo scopo risulta interessante riprendere un libro di Emilio Gentile, “La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore” (Bari, Laterza, 2008), che pur focalizzandosi sulla politica portata avanti dalla presidenza di George W. Bush figlio, analizza un particolare aspetto della politica USA che in questo periodo storico assume un connotato molto più aspro e deciso.

Gentile si concentra sulla forte connotazione religiosa data alla figura del presidente degli Stati Uniti da Bush, riuscendo in tal modo a rendere indiscutibili e immuni da ogni critica razionale le sue mosse politiche, leggi tutto

Il populismo, la pandemia e gli equilibri politici

Luca Tentoni - 14.11.2020

Subito dopo l'elezione di Biden alla presidenza degli Stati Uniti d'America, molti commentatori hanno giustamente ricordato che il populismo non scomparirà con Trump (quest'ultimo, anzi, ha ottenuto un numero di voti persino superiore rispetto al previsto). Il fatto che la destra leghista e quella neomissina abbiano perso importanti agganci internazionali (ma non tutti) non ha alcun peso sul consenso che questi soggetti politici hanno nel Paese. La stessa Meloni, peraltro, è alla guida dei conservatori europei e sembra proiettata (più di Salvini, rimasto ancorato a Trump, diversamente dal suo collega di partito Giorgetti) verso la leadership politica - e un giorno forse anche numerica - della destra italiana. C'è da dire, anzi, che la base dell'estrema destra, da noi, è molto meno improntata alla realpolitik di certi suoi rappresentanti: un rapido giro sui social network sarebbe stato sufficiente, nei giorni immediatamente successivi alle elezioni americane, per rendersi conto che Trump era e resta il "capo spirituale" di parecchi elettori italiani. Senza contare che anche in certi ambienti ultraconservatori cattolici - quelli, per intendersi, che fanno fatica a riconoscere Bergoglio come Pontefice e che amano Benedetto XVI - il trumpismo non è certo finito con la sconfitta del magnate americano. Il populismo internazionale e quello italiano, insomma, sono vivi leggi tutto

Quel mattino di primavera

Francesco Domenico Capizzi * - 13.06.2020

La notizia che la pandemia abbia portato gli Stati Uniti alla testa della triste classifica mondiale dei contagi e dei decessi e, nel contempo, causato finora  oltre 20 milioni di disoccupati, difficilmente riassorbibili nel mercato del lavoro, conduce ad inevitabili considerazioni che sconfessano uno dei fondamenti su cui è costruita la Costituzione americana: “ tutti gli uomini sono stati creati uguali… dotati di Diritti inalienabili, fra questi la Vita, la Libertà, la ricerca della Felicità”. Infatti, la situazione di precarietà socio-sanitaria degli USA poggia su uno storico, e ancor solido modello liberista, gravato dal più elevato tasso di privato conosciuto in ogni ambito delle organizzazioni sanitarie dell’Occidente con l’effetto inevitabile di divaricare le diseguaglianze sociali fino alla rottura con conseguenze incalcolabili, estensibili in ogni piega della società.

Difficile mantenere intenti ideali tanto alti, addirittura di stampo teleologico, se perfino la American Medical Association nel 2007 ha dichiarato pubblicamente la sua  “contrarietà alla Riforma sanitaria per un possibile deragliamento del sistema sociale verso un modello d’impianto socialista” di fronte alla volontà e alle iniziali misure dell’Amministrazione Obama di estendere, a fasce bisognose di popolazione, la gratuità dei diritti assistenziali.

Al di là delle enunciazioni e contrapposizioni di principio i dati essenziali parlano chiaro: negli leggi tutto

Coronavirus: Trump e ultrà tedeschi contro Curavec

Francesco Cannatà - 18.03.2020

I labirinti legati al Coronavirus trovano sviluppi stupefacenti. Per esempio cosa può avere a che fare Hoffenheim, frazione di Sinsheim, una cittadina del Land tedesco del Baden-Württemberg nella Germania sud-occidentale, col contagio che sta lentamente aggrovigliando grandi parti del pianeta in una tela morbosa? Soprattutto cosa c’entra in tutto questo il Turn- und Sportgemeinschaft 1899 Hoffenheim e.V, Associazione ginnico-sportiva 1899 Hoffenheim, squadra di calcio della prima divisione tedesca? Come può un anonimo gruppo sportivo che occupa il nono posto della Bundesliga essere legato ai destini della ricerca medica che potrebbe salvare un gran numero di vite umane? Per capirlo basta un ora di macchina. A 130 chilometri nord-ovest, sempre nel Baden-Württemberg, si trova la città universitaria di Tubinga. Qui opera la Curevac, impresa specializzata in ricerche biotecnologiche. Oltre il fatto di trovarsi entrambe nel Baden-Württemberg, 1899 Hoffenheim e Curevac hanno in comune un nome. Quello di Dietmar Hopp. L’uomo, cofondatore del complesso industriale SAP, multinazionale europea per la produzione di software gestionali, oltre ad essere il presidente dell’Hoffenheim è il mecenate della Curevac. Ora, da qualche tempo, il manager è diventato il bersaglio preferito degli ultras tedeschi. Grazie all’attenzione delle frange estremiste del tifo organizzato, leggi tutto

Bloomberg e le primarie dei democratici in USA

Francesco Cannatà * - 30.11.2019

L’annuncio della candidatura di Michael Bloomberg alle primarie dei democratici USA è una notizia buona o una cattiva? Certo la possibilità che tra un anno due tycoon possano scontrarsi per conquistare la presidenza della prima potenza mondiale aumenta l’importanza del denaro nelle relazioni internazionali e il malsano aggroviglio tra economia e politica. Contemporaneamente il mondo assiste a proteste che contestano proprio l’influenza assunta dalla dark money nei singoli Stati e l’aumento dell’immoralità sociale che questa comporta. Rivendicazioni che vanno oltre linee partitiche o confessionali per identificarsi nell’ideale di un ordine civile internazionale. Dimostrazioni che non si appellano a parole d’ordine ideologiche, ma puntano su richieste concrete. Per la specialista dei movimenti di resistenza civile all’Istituto americano della pace, Maria J. Stephan, se è vero che alla base dell’attuale collera internazionale vi sono misure economiche negative, la sua vera causa sta nelle “questioni sistemiche della corruzione, la bassa qualità di governi e classi dirigenti, le forme di esclusione sociale”. Problemi che in modi diversi oggi affliggono tutte le società. L’altro motivo dell’ondata di dissenso internazionale sta nella constatazione del crescente intreccio tra politica ed economia. In maniera più o meno confusa la popolazione mondiale vede l’avanzata di forme oligarchiche di governo che potrebbero leggi tutto

Il diritto a insegnare. I gesuiti dell’Indiana contro l’omofobia

Claudio Ferlan - 26.06.2019

L’arcidiocesi di Indianapolis ha recentemente proibito di definirsi ‘cattolica’ alla Brebeuf Jesuit Preparatory School, una high school fondata e diretta dai gesuiti. Perché? Il provvedimento è una reazione dell’arcivescovo locale al rifiuto opposto dal preside, il gesuita William Verbryke, e dall’organo di gestione dell’istituto alla richiesta di licenziare una o un docente (l’identità non è stata rivelata) che ha contratto un matrimonio civile con una persona del suo stesso sesso. I vertici dell’arcidiocesi avevano presentato verbalmente l’istanza, per voce del sovrintendente all’educazione cattolica, dopo essere venuti a conoscenza del fatto attraverso i social network. Questo accadeva nell’estate del 2017. La risposta dei gesuiti è stata un circostanziato «No». Il consiglio scolastico ha valutato che non vi fossero gli estremi per il licenziamento, poiché l’insegnante in questione meritava ampiamente di rimanere al suo posto, in quanto è altamente qualificato/a, è impiegato/a nella scuola da tempo e gode di un largo apprezzamento per il proprio lavoro. Inoltre, non si tratta di un insegnante di religione e per questo l’autorità ecclesiastica non ha alcuna competenza sulla sua nomina.

La reazione al diniego si è fatta attendere ma è arrivata e il 20 giugno 2019 è stata notificata alla Brebeuf la decisione dell’arcidiocesi per la quale leggi tutto

Questioni di egemonia

Nicola Melloni * - 06.02.2019

L’arrivo della socialista Alexandria Ocasio-Cortez a Washington ha scatenato un putiferio. La sua prima uscita politica – la richiesta di alzare le tasse per i contribuenti più ricchi – ha fatto imbizzarrire i repubblicani e messo in forte disagio i democratici.

La Ocasio-Cortez, nota ormai come AOC, è forse il volto più noto dell’onda socialista che sta attraversando l’America, qualcosa che fino a pochi anni fa sarebbe stato assolutamente impensabile. Eppure, al contrario di molti paesi europei, negli USA la crisi è stata una opportunità per la sinistra “radicale” – un termine su cui torneremo.

La richiesta di alzare l’aliquota marginale sui redditi più alti al 70% non è una boutade casuale. Non che abbia alcuna chance di diventare legge, ma è chiaramente parte della definizione di una piattaforma politico-economica coerente in vista delle prossime primarie. Si tratta di un programma di marca chiaramente socialdemocratica: dalla sanità pubblica alla redistribuzione attraverso la leva fiscale. Financo Elizabeth Warren – una democratica vecchio stile, non una socialista, ma col rigore morale dei classici liberali trust-buster che la fa apparire, oggi, una rivoluzionaria – si è detta a favore di una tassa sulle ricchezze (e non solo sul reddito) più elevate.

I provvedimenti in gioco non sono classicamente populisti, anzi, rientrano all’interno di un leggi tutto