Ultimo Aggiornamento:
11 maggio 2024
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Argomenti

I disastri della politica spettacolo

Paolo Pombeni - 09.11.2022

Nonostante la premier non si spenda molto in dichiarazioni ad effetto, sembra che nel complesso non si riesca ad uscire dalla spirale della politica spettacolo. Comprensibile se si tiene conto della tenuta del populismo tanto a destra quanto a sinistra, ma non per questo meno dannosa.

Soprattutto nel momento in cui si registra un cambio di equilibri politici sarebbe opportuno avere consapevolezza di quanto sia necessario raffreddare le situazioni emarginando quei politici (e loro compari) che amano aizzare le tifoserie. Naturalmente le zuffe sono elementi di distrazione di massa che consentono di evitare che si facciano i conti con le vere debolezze di questo paese: la fragilità dell’amministrazione pubblica nel gestire tanto la parte economica quanto quella sociale (vale tanto al Nord quanto al Sud, salvo eccezioni che pure esistono); la questione fiscale che continua a tenere sotto scacco un paese in cui molti pagano imposte salate in rapporto ovviamente alle loro entrate e non pochi evadono allegramente; il problema del nostro rapporto con la situazione bellica apertasi in Europa; la sistemazione dei conti pubblici per toglierci almeno in parte il peso di un debito che altrimenti finirà per travolgerci.

Sono certamente argomenti difficili con cui è arduo accendere le fantasie leggi tutto

L’irresistibile pulsione a fare scena

Paolo Pombeni - 02.11.2022

C’era qualche speranza che Giorgia Meloni puntasse se non sulla rifondazione, almeno sul restyling della destra italiana. Dopo un avvio cauto, sembra che si metta in moto quella maledizione che già pesò sulla sinistra con l’invettiva morettiana al “dì qualcosa di sinistra”. In quel caso si è aperta una china che non ha portato bene. Temiamo che lo stesso succederà con i cedimenti alla speculare invettiva indirizzata al nuovo governo: “dì qualcosa di destra”. Nell’uno e nell’altro caso più che di ideologia, si tratta di populismo pseudo identitario veicolato dai media e dalle mode per i duelli.

Capiamo bene che la premier è tallonata da un Salvini che vuole dettare l’agenda del governo e che lo fa nell’unico modo che ha a disposizione: demagogia spicciola sui soliti temi. Non può più di tanto insistere su bollette ed inflazione, i veri temi che preoccupano la gente, perché è un argomento agitato da tutti e da tutti, maggioranza od opposizione che siano, messo al primo posto. Così per distinguersi deve tornare sui soliti slogan, come l’immigrazione che ci invade, oppure inventarsene di nuovi piuttosto cervellotici come è l’abolizione del limite all’uso del contante: le indagini demoscopiche mostrano che è un tema che non appassiona l’opinione pubblica. Non leggi tutto

Se la destra sceglierà l’alternanza, anziché l’alternativa

Paolo Pombeni - 26.10.2022

Ci si interroga su quanto durerà il governo Meloni e ci si spacca fra chi propende per la profezia di Calenda (“durerà sei mesi”) e chi affascinato dall’abilità di posizionarsi della nuova premier scommette che resterà in sella per un bel po’ di tempo. Ovviamente nessuno è in grado di sciogliere le molte incognite che pesano sull’esperimento: dalla possibile pulsione di Salvini e Berlusconi a renderle la vita difficile all’evoluzione della situazione economica ed internazionale.

C’è però un elemento sul quale converrebbe puntare l’attenzione: la capacità o meno della giovane leader di scegliere fra il puntare ad accreditare un sistema di alternanza o farsi risucchiare nel gorgo di instaurare una alternativa. Detta così può suonare un po’ criptica, ma vediamo di spiegarci. Una certa visione tradizionale, che fa comodo a tanti membri delle classi dirigenti, è che la politica sia la contrapposizione fra visioni contrapposte che non possono fare altro che cercare di eliminarsi a vicenda (in senso politico e metaforico, si capisce…). In Italia è stato a lungo così e per cavarsela si usa dire che siamo il paese dei guelfi e dei ghibellini, dei Montecchi vs. i Capuleti e via elencando. Chi stava al potere avvertiva che quando avessero vinto “gli

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Le molte facce della povertà nel 21° rapporto Caritas

Francesco Provinciali * - 22.10.2022

Dovrebbe essere utile all’agenda politica del nascente Governo e del nuovo Parlamento il 21° Rapporto della Caritas italiana sulla povertà in Italia, presentato il 17 ottobre u.s. sulla base dei dati raccolti dai circa 2800 “centri di ascolto” del Paese. In attesa del 56° Rapporto CENSIS, l’elaborazione delle evidenze da parte del più importante organismo di assistenza delle persone indigenti costituisce un documento utile per conoscere, analizzare, comprendere e intervenire sul crescente disagio che i riflessi e le ricadute della pandemia, della guerra in Ucraina, della ripresa dell’inflazione, dell’incombente recessione e del gap sempre più divaricato in tema di disuguaglianze sociali stanno vistosamente accelerando.

I dati sono eloquenti e significativi, presentando i molteplici aspetti della povertà che ormai interessano e coinvolgono 1 milione 960 mila famiglie, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione).

Lo studio di Caritas Italia comprende inoltre un’indagine comparativa transnazionale condotta complessivamente in 10 paesi europei, congiuntamente a Caritas Europa e Don Bosco International, sul tema della transizione scuola-lavoro per i giovani che vivono in famiglie in difficoltà, mettendo al centro delle conseguenti riflessioni le politiche di lotta alla povertà, utilmente declinabili per chi dovrà porre mano alla gestione del Pnrr e al Programma europeo Next generation.

I dati esposti dalla Caritas presentano dunque uno leggi tutto

La politica ha bisogno di una prospettiva

Paolo Pombeni - 19.10.2022

C’è la politica politicante e poi c’è la politica seria, quella che costruisce o almeno prova a costruire una qualche prospettiva. Il confine fra le due componenti è incerto e molto mobile, ma esiste, sebbene la prima provi costantemente a ricattare la seconda.

Appartiene alla politica politicante il confronto fra i partiti della coalizione di destra-centro che ha vinto le elezioni: spartirsi i ministeri (e vedremo poi cosa succederà con i sottosegretari), le presidenze di Camera e Senato, mostrare i muscoli per sottolineare i pesi reciproci. Questa è una dimensione che non si esaurirà certo negli esordi della legislatura. Abbiamo sentito anche questa volta ripetere da Salvini il famoso “dureremo cinque anni”, frase che non porta fortuna: ricordarsi che lo diceva anche il presidente Prodi e non gli andò benissimo.

Il primo round l’ha vinto Giorgia Meloni, ma al prezzo di concedere molto a Salvini, anche se non proprio tutto quello che voleva. La posizione di vicepremier non sarà paragonabile a quella che condivise con Di Maio nel Conte 1, ma gli consentirà di fare show, una pulsione a cui non sa sottrarsi. Berlusconi esce fortemente ridimensionato nella sua ambizione di mettere in scena la sua seconda “discesa in campo”, ma riuscendo a leggi tutto

La società digitale

Francesco Provinciali * - 15.10.2022

Ciò che emerge da una rilettura dei Pensieri di Blaise Pascal, oltre allo stupore suscitato dalla sua intelligenza poliedrica (fu matematico, fisico, filosofo, teologo) e dalle intuizioni ermeneutico-interpretative maturate nella sua breve, intensa esistenza è la domanda ricorrente sul “senso della vita”.

Smontando la granitica certezza cartesiana del “cogito ergo sum”, Pascal valorizzò la dimensione del pensiero divergente accostando all’esprit del geometrie l’esprit de finesse. A ben rifletterci – siano nel XVII secolo- inizia con lui il tema della problematizzazione filosofica della vita così come si è sviluppata nell’’800 e nel ‘900 ed è giunta fino ai nostri giorni, nel post moderno, post ideologico, e post globale.

L’esistenza umana genera più problemi che certezze nell’eterno presente mentre l’esplorazione del futuro non è fatto che riguardi solo la scienza: nelle pieghe dei suoi risvolti antropologici e nelle cavità carsiche dei suoi impliciti individuali e sociali c’è spazio per ogni aspetto della cultura, dell’etica dei comportamenti, della produzione del pensiero. Se accostiamo la problematizzazione del vivere alla certezza della dimensione razionale che insegue soluzioni codificabili cogliamo ad esempio il passaggio Kantiano dal fuori al dentro di noi, la cosmologia ineffabile di Leopardi, la dialettica Hegeliana che è forse il passaggio culturale più caratterizzante e significativo della civiltà occidentale, ciò leggi tutto

Attenti alle parole

Paolo Pombeni - 12.10.2022

Delle parole si fa un uso spregiudicato, tanto ormai è in crisi ogni linguaggio comune codificato. Ciascuno, come si dice volgarmente, un po’ se la fa, se la racconta e se la crede. Nelle more di una politica che, tanto per non smentirsi, si incaglia sui nomi (del futuro segretario del PD, dei futuri ministri), siamo colpiti da un ritorno di slogan che ci pare usino i termini con scarsa consapevolezza di cosa possano significare.

Ha stupito per esempio l’inno di Giorgia Meloni, parlando ad una convention dello spagnolo Vox, ad una “Europa dei patrioti”. In sé la definizione è ambigua, perché reggerebbe anche se volesse dire esattamente il contrario di quel che intende la leader di FdI. Infatti, è plausibile che esista chi considera l’Europa la sua “patria” e nel difenderla si senta pertanto patriota. Del resto, è quel che è successo, e che magari si cerca di far risuccedere nel nostro paese: la patria è il comune o la regione in cui siamo nati, o è l’Italia nel suo insieme? Naturalmente sappiamo bene che si tratta di un artificio retorico per sottolineare “il noi” di partito: nella sinistra ci si chiamava “compagni”, nella DC “amici”, anche la destra deve avere qualcosa di simile e siccome leggi tutto

Insensibili ai diritti?

Fulvio Cammarano * - 08.10.2022

Non era mai successo, nella storia elettorale italiana, che i diritti fossero al centro del dibattito pubblico come è avvenuto nel corso delle elezioni appena concluse. Ovviamente non si tratta di una combinazione. Il tema è, per diverse ragioni, molto attuale e non a caso, durante una campagna elettorale costantemente rivolta verso gli interlocutori europei per dimostrare la “fedeltà” dei contendenti ai valori dell’Unione, i leader politici si sono dovuti confrontare, volenti o nolenti, su questi problemi. Alla vigilia del voto, tutti i partiti avevano compattamente invitato gli elettori a recarsi alle urne. Il 25 settembre 2022 era stato equiparato per importanza al 18 aprile 1948 perché, come allora, si era di fronte ad una sorta di elezione del “dentro o fuori”, quella che avrebbe deciso le sorti del Paese aprendo la strada ad una nuova fase storica. Se lo consideriamo da questo punto di vista, allora si può dire, senza tema di smentita, che il grido di dolore non ha affatto impressionato gli italiani. L’appello di tutti i partiti a restituire lo scettro alla politica, dopo anni di governi tecnici o costruiti sull’ingegneria parlamentare, non ha lasciato il segno, se è vero che l’astensione ha raggiunto livelli record. Il 37% degli elettori (16,5 milioni di italiani) non si è leggi tutto

Partiti da ridefinire

Paolo Pombeni - 05.10.2022

Nell’attesa di vedere se e come la maggioranza di destra-centro che ha vinto le elezioni riuscirà a mettere in piedi un governo all’altezza delle sfide che ci troviamo davanti, a tenere banco è, o dovrebbe essere la necessità più o meno di tutti i partiti di ridefinirsi. Nessuno, infatti, è uscito dalla prova elettorale con un accreditamento della fisionomia con cui si era presentato ai votanti.

Persino il partito con il risultato più forte, cioè FdI, può dire di essere stato oggetto di una adesione del tutto convinta a quella che era la sua fisionomia, perché appare sempre più evidente che a vincere è stata Giorgia Meloni, cioè la leader che è riuscita ad accreditarsi come personalmente in grado di guidare il paese nelle difficili contingenze che abbiamo davanti. Effettivamente lei stessa ne è consapevole, tanto che ha impostato tutta la sua azione in questa fase di transizione obbligata come guidata da prudenza, da assenza di retoriche sopra le righe, da ricerca di trovare legittimazione presso il più ampio spettro possibile di opinione pubblica. Questo però pone in questione il suo partito, che non è affatto chiaro se sia disposto a mettersi sostanzialmente su questa nuova via e sia attrezzato per farlo. Non se ne parla leggi tutto

Il voto del 2022 nelle "capitali regionali"

Luca Tentoni - 01.10.2022

Il voto del 25 settembre nelle "capitali regionali" (i capoluoghi di regione) ha rispettato la tradizione. Il centrosinistra è molto più forte che a livello nazionale, mentre la destra è più debole. La coalizione della Meloni è passata dal 31,2% al 33,9%, mentre quella di Letta è al 33,1% (32,9% nel 2018); seguono il M5s col 16,5% (31,1%) e Azione/Italia viva col 10,2% (non presente quattro anni fa). L'affluenza è passata dal 70,6% (72,9% nazionale) del 2018 al 64,1% (63,9% nazionale), scendendo meno che nel resto d'Italia e allineandosi quasi perfettamente al dato complessivo. Resta il fatto, però, che è stato un gioco "a perdere": la destra ha avuto 1,512 milioni di voti (74mila in meno che nel 2018), il centrosinistra 1,478 (198mila in meno), il M5s 0,737 (844mila in meno); ha guadagnato solo Calenda (455mila voti) solo perché nel 2018 alle politiche non c'era. La differenza fra risultati nelle capitali regionali e resto del Paese è notevole, come si diceva: la destra perde il 9,8%, il centrosinistra guadagna il 7%, il M5s ha un +1,1% e Azione/Italia viva è a +2,4%. A livello territoriale, nelle metropoli, i rapporti di forza fra i poli sono i seguenti: Nord-Ovest, destra 33,9%, centrosinistra 37,1%, M5s 10,5%, Az/Iv 12,5%; Nord-Est, destra 39%, centrosinistra 33,3%, M5s 8,3%, Az/Iv 8,6%; Centro "ex rosso", destra 29,5%, centrosinistra 41%, M5s 10,8%, Az/Iv 11,6%; Roma, destra 37,4%, centrosinistra 32,4%, M5s 14,1%, Az/Iv 10,8%; Sud, destra 29,8%, centrosinistra 25,1%, M5s 33,8%, Az/Iv 5,9%; Isole, destra 30%, centrosinistra 23,1%, M5s 32,1%, Az/Iv 5,9%. Fra i leggi tutto