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17 aprile 2024
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La Francia del FN: osservato speciale o modello?

Michele Marchi - 31.05.2014
Manifestazione FN

Smaltita la sbornia elettorale, è tempo di mettere un po’ di distacco nel guardare al “fenomeno Front National”. Si dilegua il fumo e il nuovo “terremoto Le Pen” ha lasciato sul terreno altre macerie. Senza voler sottostimare l’importanza e il monito racchiuso nel 25% ottenuto dal FN, l’impressione è che sia ancora troppo presto per parlare di Parigi come “osservato speciale”. E anzi, nonostante il momento di euforia legato al trionfo del renzismo, i “cugini d’oltralpe” ancora possano rappresentare un modello, almeno per il nostro sistema politico-istituzionale.

Tra le numerose interpretazioni del voto francese tre in particolare appaiono stimolanti.

 

Il FN: un treno in corsa verso l’Eliseo


La prima di queste letture interpreta lo storico risultato di domenica scorsa come l’ennesimo gradino salito da Marine Le Pen verso l’Eliseo. Dopo avere, anche se solo in parte, superato le difficoltà a livello locale alle municipali di fine marzo, il FN ha anche sfondato il “muro europeo” ed è riuscito a mobilitare un elettorato solitamente restio a farlo per mandare deputati a Strasburgo. In realtà osservando con attenzione ai dati era stato molto più dirompente il 17,9% raccolto da Marine Le Pen alle presidenziali del 2012, dal momento che corrispondeva a quasi 6 milioni e mezzo di voti. ll 24,85% di domenica, considerato l’astensionismo, significa “soltanto” 4,7 milioni di voti. Al netto di questa considerazione resta che il FN si conferma primo partito nel momento in cui il Paese vuole esprimere tutto il suo stato di insoddisfazione. È un partito oramai nazionale, che raccoglie molti consensi anche in aree fino a pochi anni fa impensabili come il cosiddetto Grand Ouest, di tradizione democristiana, poi gollista tiepido e infine passato in larga parte al socialismo dagli anni ‘80. E soprattutto è un partito che si caratterizza non più solo per la sua carica di protesta e anti-sistema. Mai come in occasione di questo voto i sondaggi avevano diffuso il monito di un FN probabile vincitore. L’elettorato che aveva deciso di astenersi non si è mobilitato per creare la “diga repubblicana”, quello che aveva deciso di sostenerlo lo ha fatto e non si è limitato ad attendere da casa la vittoria annunciata.

 

Francia ed europeismo: un divorzio antico


Il successo del più euro-critico dei partiti transalpini può essere spiegato alla luce di un più complessivo e generalizzato malessere rispetto al processo di integrazione. In questo senso il 2014 diventa l’ennesima concretizzazione di tale insoddisfazione. Sin dal referendum su Maastricht del 1992 era apparso evidente come ad una elite politico-economica compattamente schierata a difesa degli avanzamenti dell’Europa corrispondesse una risposta piuttosto tiepida dell’elettorato. Nell’occasione, nonostante un impegno importante del presidente Mitterrand, i “sì” a Maastricht si fermarono ad un misero 51,04%. Cosa dire poi del più recente “no” al Trattato costituzionale europeo del 29 maggio 2005? Allora i leader e gli apparati dei principali partiti (PS, UMP e UDF) erano sostenitori del “sì”. Come è noto l’opinione pubblica lanciò contemporaneamente il suo “no” all’Europa e all’establishment politico capeggiato dal decadente presidente Chirac. Tutto ciò è legato direttamente alla perdita di centralità di Parigi, non solo economica, ma soprattutto geopolitica, a scapito di Berlino, dopo la riunificazione tedesca e ancor più dopo l’allargamento ad est dell’Ue.

 

Il tramonto del bipolarismo


Anche se delle tre letture è quella più azzardata, considerato il carattere di elezioni di second’ordine del voto europeo, il quadro politico saldamente bipolare e bipartitico pare essere definitivamente scosso. Se dopo il primo turno presidenziale del 2012 i candidati Hollande e Sarkozy distanziavano rispettivamente di 11 e 10 punti percentuali Marine Le Pen, dopo il voto europeo l’impressione è che si profili una possibile competizione sinistra-destra-estrema destra su tutto il territorio nazionale.

 

Francia ancora modello istituzionale


La Francia del maggio 2014 è un Paese in difficoltà che vede le sue fondamenta profondamente scosse. Eppure non mi pare possa essere considerato un “osservato speciale”. Ed è su questo punto che l’attuale classe di governo forse dovrebbe prestare almeno un tweet di attenzione.

Cosa sarebbe accaduto se il Movimento 5 Stelle avesse lasciato dietro di oltre 10 punti percentuali il partito di governo italiano? Oltre al presumibile tonfo sui mercati, come avrebbe assorbito l’impatto il nostro debole sistema politico-istituzionale? Ecco perché la Francia rimane ancora un modello. La forza e la tenuta del suo sistema istituzionale, unito a quello della sua legge elettorale maggioritaria a doppio turno, permettono infatti ad un presidente al 18% di gradimento presso l’opinione pubblica di cambiare il suo Primo ministro e provare ad attuare politiche innovative con la sicurezza di un orizzonte certo di tempo di fronte o, in alternativa, con la possibilità di minacciare (o rendere effettivo) lo scioglimento anticipato dell’Assemblée Nationale. Allo stesso modo il sistema elettorale impone ad un partito anti-sistema come il FN di scendere a qualche genere di patto o di mutare profondamente la sua linea politica se vuole pensare di andare oltre l’odierna misera pattuglia di due deputati, dal momento che la soglia di sbarramento per il passaggio al secondo turno al 14%, si avvicina al 20%, essendo computata sugli aventi diritto e non sui votanti effettivi. Insomma Hollande è un presidente debole da un punto di vista politico, ma istituzionalmente ancora forte. Altro discorso è se sarà in grado di sfruttare gli strumenti che comunque ha a disposizione.

Mentre i francesi si interrogano sul loro semi-presidenzialismo e sull’opportunità di inserire dosi di proporzionale nel sistema elettorale (fermatevi!!!), credo che restino ancora un modello dal quale non sarebbe male, per noi italiani, trarre almeno un po’ di ispirazione.