Ultimo Aggiornamento:
15 maggio 2024
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Una riforma ben poco istituzionale

Paolo Pombeni - 07.02.2024
Ministro Casellati

Sulla legge costituzionale che istituisce il cosiddetto premierato siamo ancora impelagati in parte negli appetiti dei partiti di maggioranza in parte nella voglia di barricate delle opposizioni. Parlarne come una riforma istituzionale per ora pare improprio: di senso delle istituzioni ce n’è davvero poco.

È già piuttosto negativo dover constatare che su un argomento tanto delicato è stata presentata una legge mal scritta e mal pensata tanto da non trovare sostegno nemmeno fra i costituzionalisti che pure erano sensibili agli argomenti del centro destra, i quali se hanno difeso il principio si sono ben guardati dal giudicare positivamente le modalità di scrittura del progetto di legge. Così il ministro Casellati ha dovuto tornare sui suoi passi e mettere mano ad un aggiustamento del testo. Di nuovo però è finita nella appiccicosa ragnatela che hanno costruito i partiti, soprattutto la Lega, sicché siamo lontani da un testo che possa ambire ad una dignità costituzionale.

Il nodo è facile da individuare. L’obiettivo, di per sé accettabile, era rafforzare la presenza di un potere di direzione del sistema da parte del presidente del Consiglio e per farlo si è puntato sull’investitura popolare diretta. Si può concordare o meno con questa impostazione, ma essa è presente sia negli Stati Uniti che in Francia, sebbene con peculiarità che non esistono nel nostro sistema: innanzitutto la coincidenza fra il capo dello stato e, direttamente (USA) o indirettamente (Francia), il vertice del governo.

In Italia c’è inevitabilmente un problema di diarchia fra il Presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Per la verità lungo i primi trent’anni di vita della repubblica la diarchia è stata relativa, perché tutto veniva gestito, pur non senza attriti e contrasti, da un solido sistema dei partiti all’interno del quale si bilanciavano in qualche modo i due poteri. Con la crisi del quadro dei partiti inevitabilmente è cresciuto il ruolo del Quirinale, perché la difficoltà delle forze politiche a governare il sistema ha richiesto l’ampliarsi di funzioni arbitrali e talora di supplenza dal lato della presidenza della Repubblica. Ora c’è la presunzione che si sia in presenza di una qualche stabilizzazione dell’elettorato per cui sembra possibile avere l’investitura diretta di un primo ministro che di conseguenza sia in grado di governare sottraendosi ai ricatti e ricattini non solo della sua maggioranza, ma anche del corporativismo che ne muove le fila (ma, se è per questo, anche di alcune di quelle delle opposizioni). E ciò per tacere del crescente populismo come clima generale.

Ora la questione che si presenta con chiarezza sempre maggiore è che i partiti che dovrebbero necessariamente formare la coalizione di governo, nella fattispecie per ora quelli di destra-centro, vogliono mantenere la possibilità di disfarsi del premier eletto senza pagare il prezzo di dover tornare alle urne. Il nodo sta tutto qui, poi ci sono questioni di contorno, anche importanti, ma non essenziali. In questo modo però il ruolo del Capo dello Stato viene ridotto a poco più di quello di un cerimoniere: non è tanto il problema di dover riconoscere l’incarico al vincitore delle elezioni per il premierato (di fatto è già così, se c’è davvero un vincitore), quanto il non poter far nulla se la maggioranza di governo del premier decide di sbarazzarsene: potrà solo nominare all’interno di essa un nuovo premier, per di più dotato dell’arma atomica dello scioglimento della legislatura.

In teoria, ma molto in teoria, l’inquilino del Quirinale potrebbe scegliere liberamente nelle fila della maggioranza chi designare come nuovo premier, ma è abbastanza evidente che, salvo casi eccezionali, sarà obbligato a nominare il capo dei “congiurati”. Del resto, con l’attuale sistema di elezione del presidente della Repubblica che è nelle mani della maggioranza parlamentare se solo questa è un minimo coesa, l’inquilino del Colle difficilmente sarà, almeno nella prima fase del suo mandato, di orientamento diverso da quello sulla cui base sarà eletto il premier. Di qui la necessità, se si volesse equilibrare il sistema, di prevedere un diverso meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica, ma di questo nessuno vuole parlare.

Comprensibilmente le opposizioni non si riconoscono nella nuova “porcata” (per riprendere una definizione di Calderoli su un suo precedente intervento in materia di riforma del sistema elettorale), ma non riescono a fare squadra per costringere la maggioranza a trattare. Le tentazioni a sottolineare le differenze da parte di ciascuna sua componente indeboliscono la forza di una proposta alternativa unica e secca che in realtà non sarebbe difficile da trovare (più o meno tutte si ispirano al sistema del cancellierato tedesco). Inoltre sarebbe nel loro interesse connettere l’introduzione di un premierato rafforzato e in qualche modo indicato dal popolo con l’individuazione di un nuovo modo di elezione del presidente della Repubblica, tale da dargli una base di legittimazione almeno eguale a quella del premier.

Così da una parte e dall’altra si lotta solo per ottenere lo scalpo dell’avversario e per arrivare al duello referendario finale, ciascuna convinta di avere la vittoria a portata di mano. Il fatto che il prezzo da pagare sarebbe fare un ulteriore passo per sfasciare il tessuto connettivo della nostra comunità nazionale non sembra preoccupare. Cosa volete che sia il senso delle istituzioni per quelli abituati più che altro ad organizzare corride di partito?