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15 maggio 2024
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La grande incognita

Paolo Pombeni - 10.09.2015
Democrazia cristiana 2.0

Sembra dunque che ci si avvii alla prova finale per capire se l’Italia è entrata irreversibilmente in una nuova fase, ma soprattutto in che termini questa si espliciterà. Certo la questione che fa da cartina di tornasole non è proprio di quelle di alto spessore politico: le diatribe sull’elettività del senato non sono una palestra di grande pensiero costituzionale, ma si vede che è destino (successe già così nei dibattiti alla Costituente).

La questione in campo è banalmente politica. Si vuole mettere alla prova la svolta che Renzi ha impresso al nostro sistema, svolta che peraltro si inserisce in tutto un movimento tellurico che va dallo spazio politico ormai stabilmente occupato dal M5S, alla svolta della destra populista di Salvini, al declino della proposta politica berlusconiana, che secondo alcuni verrà rilanciata da Della Valle e Passera, ma per ora non si sa se ciò sia plausibile. L’incognita che pesa sul nostro paese è nell’intrecciarsi di queste dinamiche, nessuna delle quali deve essere presa in considerazione sganciata dalle altre.

Sembra se ne stia accorgendo persino la minoranza dem che adesso propone a Renzi, neppur tanto fra le righe, una disponibilità a ricompattare i gruppi parlamentari (dicono “il partito” o “il nostro popolo”, ma quelle sono ormai definizioni vuote) in vista di non farsi travolgere dal coalizzarsi delle altre forze. Si tratta certo di una manovra in gran parte tattica per sfuggire al giudizio non esattamente benevolo che ricevono da gran parte dell’opinione pubblica, ma è innegabile che un certo fondamento ci sia.

Renzi, che quanto a spregiudicatezza tattica non ha bisogno di lezioni, l’ha intuito e si mostra disponibile a concessioni, purché siano tali da riaffermare che comunque è lui il dominus della situazione. Sta tutta qui la diatriba sulla riformabilità o meno dell’art. 2 del ddl Boschi: per il premier non si tocca il principio della elettività di secondo grado e poi la faccenda si aggiusta in altro modo (listino separato alle elezioni regionali o quant’altro); per la minoranza dem si afferma lì che il senato è elettivo, e poi sul come attuare il principio si può anche trovare un accordo che di fatto potrebbe coincidere più o meno con la soluzione del listino.

Come si scioglie una questione del genere? Questa è ovviamente la vera incognita. Perché ormai che la soluzione delle due che verrà scelta corrisponda ad una vittoria, sia pure ai punti, di uno dei due contendenti è chiaro a tutti dopo mesi di scontri su tutti i media disponibili. Chiaramente una o l’altra soluzione prefigurano anche una diversa impostazione della “lista” prevista dall’Italicum quando si andrà alle elezioni. Se il vincitore sarà Renzi non solo potrà organizzarsi una maggioranza che non gli metta i bastoni fra le ruote, ma potrà gestire l’inevitabile “allargamento” della lista, che è indispensabile se si vuole vincere il premio, perché una proposta chiusa entro i confini del PD sarebbe troppo a rischio. Questo “allargamento” andrà nella direzione che suggerisce qualche commentatore, quella di una “DC 2.0”? In quei termini lo troviamo improbabile, perché la DC era un partito che teneva insieme molte anime col vincolo di una rappresentanza socio-culturale (il mondo cattolico). Ed infatti quando quel vincolo si è dissolto per un insieme di ragioni la DC è finita. Probabile invece che Renzi punti ad un partito di raccolta di chi è interessato al cambiamento storico in atto, senza sottilizzare troppo se per ragioni ideali o per convenienze personali e di parte, il che significherebbe poco spazio per quella che potremmo chiamare la vecchia sinistra tradizionale.

Se Renzi dovesse invece accettare un compromesso che lo ridimensiona, la minoranza dem avrebbe fondate speranze di poter concorrere con un peso alla formazione della “lista”, orientandola nel senso di recuperare, o almeno di cercare di farlo, tutte quelle forze che un tempo sono state l’identità delle antica “alternativa” del PCI, cioè il movimentismo sociale disponibile alle parole d’ordine della “ditta” e le strutture del radicamento sociale della sinistra (sindacati, cooperazione, componenti a tutti i livelli degli apparati di governo controllati dalla vecchia sinistra, ecc.).

Entrambe le componenti devono però fare i conti con il fatto che non sono arbitre da sole dell’esito dello scontro. Una parte non piccola delle componenti dell’opposizione, Lega, M5S, estrema sinistra, estrema destra, ma anche pezzi di FI, hanno il loro interesse a far saltare il banco e ad affrettare un ricorso alle urne che in tempi di turbolenze sociali ed economiche si suppone possa essere poco favorevole per il partito in questo momento egemone.

In questo caso c’è da chiedersi chi rischia di più fra Renzi e la minoranza dem. Istintivamente verrebbe da dire la seconda, e se restringiamo l’indagine ad essa ci sono pochi dubbi al riguardo. Ma in una situazione che ci vedrebbe andare alle urne con il sistema creato dalla sentenza della Consulta neppure Renzi potrebbe realmente “vincere”, perché sarebbe quanto meno costretto ad un nuovo governo di coalizione con tutte le difficoltà e le incognite del caso.

Sarebbe un disastro per il paese, ma alla classe politica attuale non può interessare più di tanto. Non perché sia tutta fatta di irresponsabili, ma perché si è messa nelle condizioni di essersi tagliati alle spalle tutti i ponti che consentirebbe la ritirata in un ragionevole compromesso di buon senso, che però non mettesse in discussione la svolta politica che si è realizzata nel paese. Perché quella è un cambio di stagione da cui non si tornerà indietro, anche se rimane un’incognita verso dove si andrà avanti.