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13 aprile 2024
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FN e Francia cattolica: un fronte aperto

Michele Marchi - 10.09.2015
Marion Maréchal-Le Pen

Pare che Marine Le Pen abbia attaccato, con l’obiettivo di distruggerlo, un altro muro. Questa volta si tratta di quello che si potrebbe definire l’“assioma di Rémond”. Il grande esperto di storia politica e storia religiosa, nonché abituale commentatore televisivo delle principali tornate elettorali francesi sino alla sua scomparsa nel 2007, ha sempre mostrato che le aree del Paese a maggiore densità di praticanti religiosi sono state quelle a minor penetrazione del voto FN. Insomma nella sempre più laica e secolarizzataFrancia (ma meglio sarebbe dire atea, dato che oltre il 60% si dichiara “senza religione”), la pratica cattolica ha agito da barriera di fronte all’avanzata del voto frontista. Il riferimento al passato è d’obbligo dato che la recente evoluzione potrebbe rendere obsolete le certezze espresse da Rémond e dai principali esperti di flussi elettorali transalpini.

In realtà il discorso è complesso ed è necessario fare un minimo di chiarezza non limitando l’analisi al solo dato elettorale. Si può comunque partire dall’elemento del voto per poi articolare meglio il quadro.

Le elezioni europee di maggio 2014 e quelle dipartimentali della scorsa primavera, hanno evidenziato l’apertura di non poche crepe nel cosiddetto cattolicesimo progressista francese. Alle europee due praticanti su dieci hanno scelto il FN. Poco si potrebbe affermare, rispetto al 25% circa raccolto dal partito di Marine Le Pensu scala nazionale. Il segnale è però netto e rappresenta una cesura rispetto al passato. Alle successive elezioni locali (cantonali e dipartimentali) il FN ha ottenuto buoni risultati in aree di antica militanza cattolica, nelle quali oggi permane un radicamento cattolico molto più accentuato rispetto al resto del Paese. In particolare il cosiddetto “GrandOuest” ha mostrato segni di chiaro cedimento. Il dato però ancora più rilevante, anche per la dimensione prospettica che possiede, è quello riguardante il voto espresso dagli under 35. Oltre il 35% dei trentenni praticanti afferma di apprezzare Marine Le Pen.

Accanto al dato elettorale, bisogna poi soffermarsi sulla posizione dei “pastori”, cioè delle gerarchie ecclesiastiche. Il dibattito si è riaperto in questi giorni proprio sull’onda dell’invito rivolto da un think tank cattolico conservatore fondato dal vescovo della diocesi Fréjus-Toulon mons. Rey a Marion Maréchal-Le Pen, affinché prendesse parte ad una tavola rotonda con altri eletti nazionali per discutere del ruolo dei credenti nello spazio della politica.

Una prima premessa è d’obbligo. Prima di diventare una delle Chiese più progressiste d’Europa, la Chiesa di Francia è stata di volta in volta antidreyfusarda, maurrassiana e petainista. Lo spartiacque è senza dubbio il Concilio e ancor di più il post-Concilio. Da quel momento, se si eccettua un minoritario tradizionalismo e lo scisma operato dai lefebvriani, si può affermare che la Chiesa di Francia abbia sapientemente optato per una logica oscillante tra le posizioni più progressiste e quelle più pragmatiche. Così è avvenuto l’adattamento totale alla Legge di Separazione e un atteggiamento improntato al realismo anche nei momenti più delicati di contrasto con la classe politica, come in occasione della legalizzazione dell’aborto del 1975, del tentativo socialista di attacco alla scuola privata di inizio anni Ottanta e più di recente sui temi del matrimonio omosessuale.

Questo “adattamento” della Chiesa di Francia alla République è andato di pari passo, dai primi anni Ottanta in poi, con la creazione di un vero e proprio “cordone sanitario” attorno ai militanti e soprattutto agli elettori cattolici, affinché non fossero attratti dalle sirene frontiste. Subito dopo l’11% raccolto alle europee del 1985 dal partito di Jean-Marie Le Pen, l’allora primatdesGaulesmonsDecourtray (vescovo di Lione) non esitò ad attaccare il FN sui temi dell’immigrazione e dei diritti umani, giudicando l’ideologia frontista incompatibile con i dettami del Vangelo. Negli anni successivi furono poi memorabili gli scontri tra il cardinale di Parigi Lustiger e Jean-Marie Le Pen, tra gli altri sul tema dell’antisemitismo (Lustiger era un ebreo convertito al cattolicesimo). Ancora di recente e addirittura dopo l’incriminata tavola rotonda di fine agosto, sia il presidente della Conferenza episcopale francese mons. G. Pontier, sia il segretario  della stessa mons. O. Ribadeau-Dumas, hanno ribadito la posizione di chiusura delle gerarchie al Front, arrivando a mettere in dubbio la coerenza di chi fa scelte elettorali in contrasto con la propria professione di fede.

Eppure come il voto mostra e come l’invito rivolto a Marion Maréchal-Le Pen tende a confermare qualcosa è cambiato o comunque si sta muovendo.

Prima di tutto si può affermare che sono cambiati i vescovi francesi. Non nel senso che i capisaldi dell’accoglienza, della comprensione, dell’apertura e dell’universalismo cattolico non siano più difesi. L’impressione è che l’episcopato transalpino dia oramai per assodati questi principi e si impegni maggiormente, in questa fase, per cercare di interpretare le molte inquietudini dei francesi in generale e dei cattolici (praticanti o meno) in particolare. Si potrebbe affermare che l’episcopato transalpino si stia adattando, almeno in parte, allo “spirito dei tempi”. E di conseguenza il timore per l’estraneo e lo straniero, i dubbi diffusi sulle questioni di genere e sui temi della sessualità e della vita, così come quelle identitarie e in genere dell’incontro/scontro con l’islam finiscono per essere dominanti. Dunque i vescovi sembrano mutare assieme al Paese, nella sua maggioranza non cattolico. Ma di sicuro la minoranza di credenti e quella ancora più esigua di praticanti è in chiara evoluzione. La recente ondata di manifestazioni contro il matrimonio omosessuale, sfociato poi nelle proteste della cosiddetta Manif pour Tous, ha contribuito a strutturare una giovane élite politica cattolica, conservatrice, tradizionalista e, almeno in prospettiva, in grado di costituire la nuova spina dorsale di un FN al quale questi giovani guardano con interesse o che hanno già scelto alle recenti elezioni, sia in termini di voto, sia come militanza politica. Non a caso recenti indagini proprio relative ai minori di 35 anni hanno dimostrato che il FN diventa un’opzione più che possibile proprio per la sua posizione sulle questioni di società, poiché resta l’ultimo baluardo di fronte alla patologica sfiducia nei confronti di tutti i soggetti politici tradizionali e perché catalizza un sempre più accentuato fastidio per i temi dell’europeismo, dell’internazionalismo e della globalizzazione. Il FN diventa perfetto, su questi temi, e una parte consistente di questi potenziali elettori e/o militanti finisce per dimenticare o trascurare le dure posizioni frontiste (e di conseguenza almeno in teoria intollerabili per un cattolico) sugli immigrati o sull’antisemitismo.

Non bisogna poi trascurare la dédiabolisation operata da Marine Le Pen e insieme a questa una contemporanea droitisation del dibattito politico francese, con in particolare Sarkozy più volte accusato (e spesso non a torto) di avere abbandonato la linea dell’isolamento nei confronti del FN nel tentativo di fare proprie alcune sue parole d’ordine e di conseguenza diminuire l’attrazione operata dal FN stesso sull’elettorato post-gollista.

In realtà proprio l’invito a Marion Maréchal-Le Pen, capolista alle regionali del prossimo dicembre nella regione Provence-Alpes-Côte d’Azur, al di là dell’utilizzo propagandistico che ne è stato fatto da detrattori e sostenitori, riveste una certa importanza sia perché conferma un trend in atto, sia perché permette anche di rovesciare la prospettiva e guardare il tema dal punto di vista del FN. Da un lato si può affermare che Marine, nella sua operazione di adattamento del FN al sistema repubblicano, non ha in realtà accentuato la connotazione cattolica del partito. Prima di tutto ella stessa non è praticante, è convivente (con un divorziato) e ha due divorzi alle spalle. Inoltre la leader frontista non ha, saggiamente, impegnato il partito nell’opposizione al “mariage pour tous”, lasciando operare i militanti cattolici della Manif pour Tous e di conseguenza evitando gli attacchi di chi avrebbe immediatamente parlato del ritorno di antichi fantasmi intégristes. Al contrario Marion Maréchal-Le Pen è una cattolica praticante e rappresenta la nuova frontiera del cattolico engagé en politique, su posizioni conservatrici e non a caso in prima linea proprio accanto ai militanti della Manif pour Tous. Con il nonno Jean-Marie oramai ai margini, la giovane nipote rappresenta la “garanzia” per gli ambienti tradizionalisti e del nazional-cattolicesimo che, altrimenti, potrebbero interpretare il “rinnovamento” operato dalla “laica” Marine e dall’“ateo” (e addirittura omosessuale dichiarato) Philippot come superamento delle  “radici cristiane” del FN.

Insomma con i molti distinguo del caso e senza ancora poter parlare di un “Front catholique”, si può affermare che Marine Le Pen abbia avviato la demolizione del diaframma che, da oltre un trentennio, separa il militantismo e la pratica cattolica dal voto frontista.  E lo stia facendo ancora una volta a suo modo: con un approccio realista (al limite della spregiudicatezza) unito ad un indubbio fiuto politico.