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Cosa resta della “stella” Macron?

Michele Marchi - 12.01.2019
Gilets juanes

Tornerà a splendere la “stella” Macron? O la sua carriera politica è destinata ad essere archiviata al termine del primo mandato presidenziale? Difficile dirlo e complicato fare previsioni in una congiuntura di crisi politica strutturale come quella che sta vivendo l’Europa. Un elemento è certo: sembra trascorsa una generazione dal soleggiato maggio del 2017 quando il più giovane presidente della V Repubblica risaliva in posa marziale, ritto in piedi su un veicolo militare, i Champs-Elysées, diretto all’Arc de Triomphe al momento del suo insediamento. E se possibile la distanza temporale aumenta ancor più se si accosta questa immagine di una leadership salda e volitiva alle devastazioni dei gilets jaunes, giunti addirittura a danneggiare proprio l’Arc e a sfondare il portone di un ministero. Come è potuto accadere tutto ciò e in così breve tempo? Può forse essere utile ritornare su alcune istantanee dell’ultimo anno di presidenza Macron.

I primi sette mesi all’Eliseo sono stati quelli dell’attivismo e delle riforme a tambur battente (su tutte quella del codice del lavoro), del ritorno della Francia in Europa e nel mondo. Macron era quello promesso in campagna elettorale: attraverso un riformismo accelerato, Parigi sarebbe tornata al tavolo dei grandi e si sarebbe rinsaldato e riequilibrato l’asse franco-tedesco. Da un punto di vista della forma, il giovane presidente aveva poi deciso di surrogare la mancanza di esperienza politica con un esercizio del potere particolarmente “verticale”. Dopo le presidenze “blin bling” (Sarkozy) e “normale” (Hollande), ecco ricomparire il leader provvidenziale di matrice gaullienne.

In realtà già ad inizio 2018 Macron mostra qualche segnale di incertezza o perlomeno sembra percepire un malessere diffuso che accompagna le principali riforme (della scuola superiore, della SNCF e del codice della strada). L’inquilino dell’Eliseo si era però dimostrato piuttosto sicuro di sé nel definirsi “il frutto di una sorta di brutalità della storia, un’effrazione dovuta ad una Francia inquieta e infelice”. Il suo riformismo doveva essere la risposta a tale situazione di malessere. Le violente manifestazioni di piazza in occasione del 1° maggio sono un altro campanello d’allarme, ma Macron rilancia e nel fare il bilancio del primo anno all’Eliseo ribadisce la sua convinzione: la sua presidenza ha ridato fierezza al Paese e se si percepiscono qua e là dei segnali di rigetto, questo è dovuto soltanto a motivi congiunturali. E’ necessario che i cittadini, a livello individuale e nel quotidiano, comincino a percepire gli effetti positivi delle riforme. E tutto ciò avverrà solo nel medio periodo.

Sul breve termine però comincia la discesa agli inferi dell’inquilino dell’Eliseo. E questa essenzialmente in tre ambiti. Innanzitutto le immagini della coppia presidenziale alla festa della musica, con l’Eliseo “occupato” da rapper e ballerini del movimento Lgbt in abbigliamento a dir poco informale. A seguire quelle di Macron abbracciato a due giovani sull’isola di Saint-Martin, con uno di questi a torso nudo e intento a rivolgere gesti osceni all’obiettivo. Insomma dalla verticalità del potere alla nuova desacralizzazione dell’Eliseo il passo pare essere breve. In secondo luogo mentre Macron cerca di sfruttare la vittoria della nazionale di calcio al mondiale di Russia, esplode il cosiddetto affaire Benalla. Vari media pubblicano una serie di istantanee che ritraggono l’uomo di fiducia della sicurezza del presidente intento a manganellare alcuni manifestanti in una piazza di Parigi il 1° maggio. In breve tempo la fulminea carriera del giovane “assistente” esperto di sicurezza e di dossier sensibili occupa le prime pagine di tutti i media e le aperture di tutti i notiziari televisivi. Colpire Benalla diventa la strada più semplice per arrivare a Macron e quest’ultimo che afferma di fronte ai deputati della maggioranza riuniti per rintuzzare una mozione di censura, “se cercate un colpevole per il caso Benalla, eccomi”, rappresenta l’apice della sua discesa agli inferi.

Ma se possibile è il terzo passaggio ad essere ancora più mortifero. La rentrée di fine agosto vede la perdita dei due “pezzi da novanta” del suo esecutivo: si dimettono, in maniera più o meno polemica, prima il super ministro dell’ecologia Hulot e poi Collomb, colui che aveva portato la sua esperienza al ministero degli Interni e che rappresentava il socialismo municipale che aveva scelto sin dalla prima ora il giovane Macron. Nonostante tutto ciò le riforme procedono, ma i media e le opposizioni (estrema destra e sinistra, LR e ciò che resta dei socialisti) hanno un unico obiettivo: indebolire il presidente.

È in questo momento che giunge il catalizzatore del malcontento, sino ad allora assente. L’opposizione alla carbon tax parte in sordina, poi in un crescendo impressionante si coagula nel movimento dei cosiddetti gilets jaunes. Frustrazione e malessere delle classi medie e popolari impoverite, France d’en bas e tradizione poujadista, umiliati e offesi della globalizzazione e rivolta contro le élites e i cosiddetti tecnocrati. Tutto ciò si concretizza nello slogan numero uno dei gilets: “Macron Démission!”

In realtà vi sono due elementi forse più profondi di questa crisi, che lasciano il futuro politico della Francia e di Macron indefinito ma anche piuttosto aperto.

Da una parte i cosiddetti gilets jaunes sono la metafora francese, più violenta perché la Francia è terra di fièvre exagonale, di una crisi diffusa della democrazia rappresentativa classica che rischia di debordare e tramutarsi in crisi della democrazia tout court.

Dall’altro lato se i gilets jaunes hanno distrutto ciò che vi era di più positivo nella proposta di Macron, cioè riportare la Francia al centro dell’Europa e di conseguenza dare una nuova chance al processo di integrazione, in realtà la parabola dell’inquilino dell’Eliseo e le nuove barricate transalpine sono due rette che si intersecano, due facce della stessa medaglia. Come era stata presentata la vittoria di Macron nel maggio 2017? Come la fine della contrapposizione classica destra/sinistra. E i politologi come avevano commentato? Evidenziando l’eclissarsi dei due partiti cardine della V Repubblica, gollisti e socialisti, a favore di una nuova contrapposizione: progressisti versus conservatori o globalisti contro localisti o ancora meglio tribù degli anywhere contro quella dei somewhere (copyright di D. Goodhart). Scontro iniziato nel Regno Unito, proseguito negli Usa, continuato in Italia e oggi nella sua fase ascendente in Francia. Senza trascurare le specificità nazionali, se tale evoluzione si consoliderà, le categorie politiche inizieranno a mutare e il quadro si farà ancora più indefinito. E a quel punto Macron contro i gilets jaunes diventerà solo il primo atto di una lunga e pericolosa partita politica, ancora tutta da giocare.