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Veri e falsi problemi

Paolo Pombeni - 03.09.2015
Turista salva profugo

Col Parlamento chiuso la politica continua a funzionare, perché i problemi, veri o falsi che siano, non vanno in vacanza. Quelli veramente seri sono due, e cioè la gestione dell’emergenza migranti e la preparazione della manovra economica. Quello sempre meno serio è la battaglia tutta ideologica sulla riforma del Senato.

Per sbarazzarci subito di questa questione, ci permettiamo di ricordare a tutti quelli che vedono nell’abbandono di un Senato ad elezione diretta un vulnus mortale alla democrazia e alla costituzione, che la prima proposta che nella Commissione per la stesura della nostra Carta (la cosiddetta Commissione dei 75) tenne banco sino a fine gennaio 1947 era quella di un Senato eletto per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi dai Consigli comunali (dunque con elezione indiretta). Quelli che allora sostennero o non si opposero a questa impostazione (si andava da Mortati ad Einaudi tanto per citare due nomi) erano degli sciocchi che non si rendevano conto dei rischi che avrebbe corso la democrazia? Ci si obietterà che allora non c’era l’Italicum, le regioni dovevano ancora essere costituite e via dicendo, ma i problemi di incertezza circa il futuro del nostro sistema politico non erano minori di oggi.

Eppure rischiamo di essere appesi al gioco perverso delle impuntature di gruppetti di irriducibili infiammati dalla visibilità guadagnata nel circo mediatico che si sommano ai calcoli di tutte le opposizioni, tanto quelle in crisi quanto quelle in ascesa, che sognano vuoi la spallata vuoi la rivincita. Impazzano di conseguenza gli oroscopi sull’andamento del futuro voto in senato sul ddl Boschi, ma capire oggi come finirà è tirare ad indovinare.

Il problema dei migranti diviene invece sempre più pressante. Ormai non si tratta più solo di gestire gli sbarchi in un contesto in cui certo la UE si disinteressava dell’emergenza, ma d’altro lato ci lasciava fare. Ora che è diventato evidente che la questione coinvolge tutti aumentano le pressioni sulla nostra capacità politica di tenere sotto controllo la situazione. La Germania e l’Austria chiedono controlli al Brennero e più o meno tutti vorrebbero ripristinare un contesto in cui i migranti rimangano il più possibile in Italia. Il loro numero è però tale e il sistema di accoglienza, fra il resto pensato per altre condizioni, così mal messo da creare una emergenza che incide non poco sulle paure dell’opinione pubblica. In un sistema politico divenuto estremamente mobile quanto a distribuzione dei consensi i populisti non si fanno scrupolo di soffiare sul fuoco, mentre il governo e la maggioranza sono in affanno quanto a comunicazione.

Renzi spende le sue capacità indubbie in questo campo verso altre direzioni, convinto che per lui sia meglio richiamare l’attenzione sui risultati raggiunti che danno qualche speranza, per quanto piccola, anche sul fronte economico piuttosto che affrontare di petto un tema come quello del controllo dei flussi migratori che è un terreno troppo favorevole per i suoi avversari.

Certo in questo caso una squadra di governo più forte e un vertice di partito con qualche figura più comunicativa gli gioverebbe, ma si capisce che deve accontentarsi di quel che gli ha passato il convento. Così concentra il suo messaggio sul tema della riduzione delle tasse a partire da quella sulla prima casa, tema su cui non è facile che le opposizioni possano attaccarlo (a parte il ritornello sul favore ai ricchi del vecchio radicalismo di sinistra, che lascia il tempo che trova).

Qui Bruxelles gli dà involontariamente una mano. C’è davvero da dubitare dell’intelligenza dei burocrati della sede UE che si sono affrettati a dire che non approvano l’abolizione di quelle tasse. Qualcuno potrebbe spiegare loro che già l’opinione pubblica li considera squalificati sia per come hanno gestito l’emergenza economica sia per come è stata affrontata quella migratoria. In più attaccare la sovranità degli stati in materia fiscale non è proprio un terreno facile di questi tempi. E infine mettere a rischio la stabilità politica di un paese (costringere Renzi ad una marcia indietro sull’IMU mette ovviamente in crisi la sua credibilità) per precipitarlo verso una avventura al buio meriterebbe l’assegnazione dell’Oscar della stupidità agli anonimi funzionari che si sono lasciati andare a rendere pubbliche preoccupazioni che quanto meno andavano gestite riservatamente (ma qualcuno li sanzionerà mai per questo?).

Tuttavia in un clima di antieuropeismo come quello attuale la mossa avventata di Bruxelles dà modo a Renzi di mostrare i muscoli e di far vedere ai suoi detrattori che lui non è schiavo né della Merkel né dei vertici UE. Significa un colpo non da poco in termini di acquisizione del consenso, per di più ottenuto senza neppure troppo sforzo perché in questo momento la capacità di incidere della burocrazia dell’Unione è piuttosto bassa, visto che i partner sono divisi e litigiosi, che c’è il problema spinoso dell’atteggiamento inglese e che dunque i vertici politici responsabili sono giustamente refrattari ad aprire fronti di scontro.

Renzi dunque ha ancora le sue carte da giocare, ma d’ora innanzi deve calcolare molto bene le sue mosse, perché non è il caso che faccia troppo affidamento sulla fortuna di circostanze favorevoli.