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Una nuova questione europea

Paolo Pombeni - 11.05.2022
Draghi a Strasburgo

Lo si è già detto, ma ogni giorno che passa diventa più chiaro che si sta avviando una nuova stagione per l’Unione Europea. Il discorso a Strasburgo di Draghi prima e di Macron poi ha messo sul tavolo una vecchia questione che è divenuta drammatica dopo la nuova politica avventurista della Russia di Putin, politica che è diretta in primo luogo contro l’Europa.

Storicamente i grandi imperi non hanno mai visto bene il sorgere di una potenza europea fuori del loro controllo e con possibilità di diventare un possibile concorrente. La Gran Bretagna e la Russia si opposero a Napoleone, poi fu la volta del blocco alle mire egemoniche del rinato Reich tedesco (secondo e terzo), e infine quella degli accordi di Yalta che dividevano il nostro continente in due: metà sotto egemonia atlantica (anglo-americana nella progettazione, ma ben presto privata della componente “anglo”), metà sottoposta al vassallaggio sovietico. Naturalmente non si tratta di begli esempi di tentativi di unificazione europea, ma li ricordiamo come dinamiche politiche e non certo come esempi di virtuosa volontà di progresso.

Le eredità storiche hanno persistenze lunghe, come si può plasticamente vedere oggi dai russi che non disdegnano di tirar fuori le vecchie bandiere rosse con falce e martello, ma si potrebbe parlare del ritorno della politica del “containement” di George Frost Kennan che fu un argomento chiave della guerra fredda, ma anche di quella…. calduccia che si intersecò con essa (basti pensare al sud est asiatico dalla Corea al Vietnam).

Ora quando Putin il 9 maggio ha parlato di guerra preventiva contro un Occidente che si preparava ad attaccare la Russia, aveva in mente non tanto un inesistente piano di invasione da parte degli USA, quanto l’espandersi di una Europa che superate le vecchie divisioni poteva divenire davvero il nuovo soggetto che tagliava fuori il suo paese dal sogno di rimanere determinante nel ristretto club delle grandi potenze. Al momento chiaramente l’Europa non è ancora in grado di esercitare questo ruolo, ma se si analizza il suo potenziale tecnologico ed economico e lo si paragona a quello russo lo stabilirsi di un nuovo quadro di potenze nel vecchio Continente non è affatto improbabile. La Russia diventerebbe in questo caso una potenza in declino, non potendo più essere né europea, né asiatica, visto il ruolo e le prospettive della Cina.

Putin dice Nato, perché tutti usano sempre i vecchi vocaboli consolidati (lo si fa anche in Italia con i cosiddetti pacifisti che sono rimasti al “Yankee go home”), ma in realtà intende lo spettro di una Unione Europea che possa consolidarsi come stato quanto meno para-federale.

Certo quella strada per la UE è più che in salita. La trasformazione da “mercato comune” a soggetto internazionale di nuovo conio trova molte difficoltà, non da ultimo per le gelosie dei vari membri ciascuno poco incline a vedersi assorbito in un nuovo soggetto politico comune. Tutti i tentativi fatti sinora per raggiungere quell’obiettivo sono abortiti, in parte perché erano congegnati male, dominati come furono dal burocratismo retorico e poco politico degli “europeisti” brussellesi, in parte perché cozzavano contro identità nazionali con tradizioni secolari le quali hanno prodotto classi dirigenti poco disposte, tanto per parafrasare una vecchia citazione, a rinunciare ad essere prime in Gallia per diventare seconde non più a Roma, ma a Bruxelles.

Della necessità di affrontare il problema sono coscienti un certo numero di leader, ma muoversi nei meandri di una costituzione comunitaria che è costruita sul principio di salvaguardare gli stati-nazione-potenza è impresa impossibile. Non fosse altro che per il combinato disposto, come direbbe un giurista, del principio dell’unanimità per fare qualsiasi riforma sostanziale con la spinta ad un allargamento continuo che fa entrare sempre nuovi soggetti poco disposti a vedersi disconoscere un ruolo di parità.

Oggi, quando la necessità di confrontarsi con la sfida dell’avventurismo putiniano che spinge a disgregare l’Europa ha aperto gli occhi sulla necessità di liberarsi da quei vincoli, ecco che sembra prendere corpo l’idea di bypassare tutto creando accanto alla attuale UE un nuovo soggetto: una cooperazione rafforzata, di fatto l’avvio di una para-federazione, fra alcuni stati realmente più “pesanti” (Germania, Francia, Italia, Spagna e forse qualche altro), con accanto una riedizione del “mercato comune europeo”, in sostanza una ammodernata unione doganale, da allargare senza tanti problemi ad un bel numero di stati a cui non si chiederebbe più di una accettazione di forme di cooperazione economica (e sul resto si potrebbe chiudere uno, se non due occhi).

Questo, neppur troppo vagamente hanno lasciato intendere prima Draghi e poi con più forza Macron. Ci permettiamo di notare che così di fatto la UE attuale verrebbe svuotata, perché una parte dei suoi membri andrebbero nella cooperazione rafforzata nell’ottica di creare in qualche forma una federazione europea in grado di mettersi in una posizione determinante nel nuovo scacchiere che distribuisce le potenze, mentre un’altra parte scivolerebbe nel nuovo mercato comune (e sarà da vedere quanto ci vorrà perché questo non venga poi “conquistato” dalla federazione europea se decollerà).

C’è da chiedersi se, vista la mossa di anticipo della Russia e le conseguenze che questa ha provocato negli USA e anche in Cina, tutto potrà svolgersi con la linearità che è facile esibire quando si ragiona in astratto da un podio. Siamo quasi certi che non sarà così e che dunque per i paesi europei sta per aprirsi una fase niente affatto facile. L’Italia non è preparata benissimo ad affrontare questo passaggio: ha un premier che può essere all’altezza, ma ha un contesto di partiti che nella maggior parte non sembrano cogliere il momento storico che ci troviamo di fronte e un’opinione pubblica disorientata da un dibattito dove si preferisce fare spettacolo anziché affrontare il lavoro faticoso delle analisi serie (che, come si sa, fanno poca audience, perché costringono al travaglio di interrogarsi sul futuro).