Ultimo Aggiornamento:
08 maggio 2024
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Si sbloccherà la politica italiana?

Paolo Pombeni - 15.09.2015
Minoranza PD

La domanda più urgente che si pone in questo momento riguarda la possibilità di sblocco di una situazione politica che sta pericolosamente scivolando verso la palude. Naturalmente a parole tutti giurano che basterà un nulla per pacificare la situazione: peccato che ciascuno sia disposto a contribuire a quel nulla al prezzo dell’umiliazione dei propri avversari. E’ importante aggiungere che ciò avviene non per pura cattiveria, ma per la pessima gestione del confronto politico che ha contribuito ad ingessare tutto senza dare spazi di manovra. Lo si è detto e scritto in continuazione, ma fra poco si vedrà all’opera la gigantesca trappola in cui tutti hanno concorso ad infilarsi.

I termini della questione sono ormai noti e sono stati illustrati all’infinito. Avendo trasformato tutto in una sfida sull’elettività diretta del Senato, su un versante Renzi e i suoi debbono assicurarsi la vittoria con l’approvazione sostanziale della seconda camera come prodotto dei consigli regionali, mentre sul versante opposto la minoranza interna al PD deve ottenere che il senato sia espressione di un voto popolare diretto.

Perché le mediazioni sono di fatto difficilissime se non impossibili? Perché manca la materia del contendere: non ci sono veri interessi attorno a cui trovare una formula che faccia funzionare bene il nuovo senato, ma solo una lotta per il predominio della scena politica. Tutte le proposte di mediazione avanzate si sono infrante su un punto: ogni parte in campo ha detto,  benissimo, purché sia chiaro che con ciò abbiamo vinto noi.  Come si può capire, con premesse del genere il compromesso è escluso a priori.

Il nuovo senato è una camera evanescente se si sta al testo legislativo e solo la sua storia futura gli farà guadagnare eventualmente uno spazio politico. Ma questo può avvenire o meno a prescindere dal meccanismo con cui sarà eletto, dipenderà dalla qualità dei suoi membri e soprattutto di quelli che ne prenderanno la leadership. Non c’è alcuna presunzione che una selezione all’interno delle classi dirigenti regionali dia risultati peggiori di una scelta affidata alla elezione diretta dei cittadini: i meccanismi di selezione della classe politica rimangono gli stessi, gli elettori che hanno determinato le basi di scelta sono eguali nell’uno e nell’altro caso. In più c’è poca per non dire nessuna attenzione a cercare equilibri su punti veramente delicati, come i meccanismi di elezione del Presidente della Repubblica o la regolamentazione dell’intreccio pasticciato fra poteri locali e poteri nazionali. Su queste cose decisive nessuno ha fatto le barricate.

Ciò che sfugge, temiamo, è che l’assurdo braccio di ferro che la minoranza PD ha ingaggiato con Renzi ha portato ad una situazione di destabilizzazione complessiva del sistema in conseguenza della quale se l’attuale premier vincerà, nessuno sarà più in grado di condizionarlo, mentre se al contrario perdesse salterebbe l’attuale impianto della politica italiana senza che si capisca con che cosa sarà sostituito.

L’incertezza dei numeri della maggioranza necessaria per far passare il ddl Boschi ha infatti rimesso in gioco la possibilità di modificare la riforma elettorale che attualmente non va bene a nessuno all’interno delle opposizioni. E’ su questo che è fallito il patto del Nazareno: Berlusconi aveva accettato l’impianto bipolare dell’Italicum nella convinzione che potesse spingere al ricompattamento del centrodestra attorno a lui, ma adesso si è accorto che invece a giovarsene sarà probabilmente Salvini. Il moderatismo di centro che Alfano pensava di aver potuto resuscitare si sta rivelando una melassa inconsistente, per cui c’è tutto da perdere in una competizione con strozzatura bipartitica. Il M5S si è rivelato un fenomeno stabile e dunque un fattore di disaggregazione delle polarità tradizionali del nostro contesto politico.

Risultato: il tema del confronto sul ddl Boschi si è spostato sul negoziato per voti a favore della riforma del senato in cambio di una revisione della legge elettorale con ritorno ai lidi conosciuti degli scontri tra coalizioni. In fondo questo potrebbe dare garanzie a tutti anche a fronte della diminuzione di posti derivante dal ridimensionamento del senato, quantomeno perché consentirebbe le scissioni o, per metterla in forma più dolce, l’invenzione di nuove aggregazioni che potrebbero raccogliere consenso perché in grado di offrire ai potenziali elettori la piccola forza che deriverebbe loro dai poteri di interdizione dentro le coalizioni.

Al momento Renzi fa dire ai suoi che sulla legge elettorale non si torna indietro, e dal suo punto di vista ha mille ragioni. Il problema è che quell’obiettivo è troppo ghiotto per una ampia sezione della classe politica attuale, sicché su di esso si può realizzare quella coalizione per la caduta del governo che altrimenti sarebbe difficile. Far cadere Renzi in questo frangente significa esporre il paese a rischi grandissimi (come minimo quello di non avere la legge di bilancio in termini e maniere decenti) e anche i politici sanno che da una mossa simile non guadagnerebbero certo decoro. Però trattandosi della loro vera possibilità di sopravvivenza come forze con un qualche peso (cosa che è diversa dall’avere o meno uno strapuntino in parlamento) può accadere che si scelga di giocare il tutto per tutto nella speranza di evitare il confronto con l’impervia rivoluzione dell’Italicum.