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15 maggio 2024
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Le spine di un cambio di contesto

Paolo Pombeni - 07.06.2023
Brunetta e Gentiloni

Non c’è soltanto il cambiamento climatico che tanta comprensibile attenzione suscita dopo gli ultimi eventi catastrofici. Anche il cambio di clima politico che si è registrato con i risultati elettorali, non solo in Italia, ma anche in Europa, porta con sé non pochi problemi. Come nel primo caso pure nel secondo abbondano gli apocalittici che vedono arrivare sciagure tremende, così come quelli che da incoscienti cercano di convincere che sia tutta retorica a buon mercato.

Siamo tra quelli, pochi o tanti non sapremmo, che cercano di esercitare un po’ di capacità critica. Lo facciamo sul fronte della politica, nel tentativo di mettere in fila un po’ di elementi per capire, perché questa è la cosa più importante.

Il quadro generale è la crescente aspettativa di un deciso cambiamento di equilibri a livello europeo. Dal risultato delle elezioni italiane dello scorso 25 settembre a quello recente delle elezioni in Grecia e poi in Spagna, per non parlare delle ultime amministrative da noi, si parla molto del cosiddetto “vento di destra” che spirerebbe con forza sul nostro continente. Questo provoca continui sussulti negli equilibri istituzionali, perché la classe dirigente burocratica che li governa nei vari contesti è frutto, come succede spesso, del clima dei decenni precedenti. Ciò implica che le sue componenti tentino di difendere i poteri e le posizioni che hanno acquisito, tranne quelli (ci sono sempre) che pensano semplicemente di traslocare armi e bagagli presso i previsti nuovi vincitori.

Un esempio curioso lo si è avuto a livello dei vertici UE a fronte di alcuni cambiamenti in Italia nel sistema burocratico di gestione dei fondi PNRR. Giovedì primo giugno esce una dichiarazione del commissario Gentiloni che specifica che Bruxelles non entra nei meccanismi di gestione e controllo interni, ma valuta documenti e progressi del governo. A ruota viene contraddetto da un evidentemente distratto portavoce della Commissione che invece agita lo spettro di un venir meno in Italia del rigore necessario e prospetta qualche intervento di Bruxelles. Immediata stizzita e motivata reazione del nostro governo che richiama alla correttezza istituzionale e poco decorosa marcia indietro del disinvolto portavoce che, immaginiamo, si sarà preso anche una reprimenda da Gentiloni.

Cosa ci dice questa commediola? Che ai vertici UE una parte non sappiamo quanto consistente della burocrazia vuole schierarsi nella lotta contro il prospettato cambio di maggioranze nel futuro parlamento, con un passaggio dalla storica alleanza PPE-PSE ad una ipotetica PPE-conservatori e forse liberali (ipotetica perché è tutt’altro che certo che un passaggio del genere avrà i numeri necessari). Al di là di questo c’è naturalmente il tema, piuttosto concreto, di un possibile cambio di orientamento nell’azione del Consiglio, cioè dell’organo che riunisce i governi dei 27 paesi aderenti, i cui membri sono per varie ragioni orientati in modo piuttosto confuso.

Questo clima si riversa sul nostro paese dove ormai le forze politiche ragionano con l’ossessione del risultato che potranno raccogliere alle elezioni europee del 9 giugno 2024. Si sta così esasperando il quadro. Da un lato la gestione del PNRR diventa sempre più una questione di accreditamento o meno dell’attuale maggioranza di governo che punta a cavare il massimo possibile da queste risorse anche con mosse a volte irrazionali e di bandiera. In contrapposizione le opposizioni di PD e M5S puntano a creare il massimo possibile di difficoltà, ad esasperare le polemiche, per intestarsi il famoso “noi ve l’avevamo detto” di fronte a fallimenti ipotizzati.

In questo contesto va inquadrata la querelle sui controlli concomitanti della Corte dei Conti in materia di PNRR. In sé è l’ennesima questione se la miglior tutela dell’interesse pubblico sia moltiplicare i controlli, più burocratici che di merito e competenza, sull’azione della pubblica amministrazione. La difesa dello status quo da parte di vari esponenti dell’opposizione con toni catastrofici sono abbastanza ridicoli, ma la scelta della maggioranza di intervenire con l’accetta infilando in un decreto una norma al riguardo non denota una buona cultura istituzionale. Un po’ preoccupante la decisione della magistratura di chiedere di essere controparte del governo nel discutere sul contenuto dei provvedimenti: se i magistrati passano dall’applicare (ed interpretare: anche troppo) le leggi, al concorrere a scriverle non si vede dove finirà il ruolo del Parlamento e la divisione dei poteri.

Un osservatore interessato più alle prospettive del bene comune che a quelle della spettacolarizzazione della politica si chiede se sia possibile passare un intero anno, che è quanto ci separa dalle elezioni europee, con forze politiche scatenate solo a sventolar bandierine pseudo-identitarie, all’ombra delle quali peraltro dibattono della ben più prosaica questione della formazione delle liste dei candidati. Ed è questa una faccenda molto complicata, perché i collegi per le europee sono enormi e con la crisi dei partiti politici, che quanto a radicamento sul territorio sono messi male, si finirà per puntare più che altro sull’effetto trascinamento della “immagine” (mediatica) dei singoli canditati e delle bandiere di parte (tanto la partecipazione di votanti è tradizionalmente bassa, figurarsi di questi tempi, per cui tutti puntano più che altro a mobilitare i rispettivi pasdaran).

Non per essere pessimisti per principio, ma i motivi di preoccupazione per i mesi che ci attendono temiamo non manchino.