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27 aprile 2024
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L’alternativa inesistente

Paolo Pombeni - 04.10.2023
Meloni e Draghi

C’è un po’ di battage sulla prospettiva che si possa andare ad un governo di tecnici. Se ne scrive, poco in verità, anche buttando lì qualche nome di possibile candidato. Giorgia Meloni tuona che i soliti noti non devono farsi illusioni perché non ci sarà nessun governo tecnico: se cade lei si torna alle urne.

Esaminando la cosa per quel che si dice c’è da chiedersi se siamo alla follia. L’ipotesi di un governo tecnico richiederebbe per essere minimamente percorribile condizioni che non ci paiono o auspicabili o semplicemente possibili. I governi tecnici precedenti, Monti e Draghi, sono arrivati sull’onda di una crisi economica pesante ed evidente a tutti: naturalmente è sperabile non capiti nulla di simile. Anche in quei casi peraltro si è trattato di governi tecnici a metà, perché non solo basati su maggioranze parlamentari che hanno dato loro la fiducia (senza di questo si avrebbe un colpo di stato), ma anche includenti rappresentanti indiretti o diretti dei partiti che l’avevano votata.

Facciamo fatica a pensare che nell’attuale parlamento si possa costruire una maggioranza che darebbe la fiducia ad un governo nelle mani di tecnici. Sarebbe come minimo necessario che ci fosse una convergenza fra un po’ di forze di centro destra e un po’ di forze di centrosinistra, il che di questi tempi sembra più che arduo.

Dunque perché Meloni, che conosce benissimo la situazione, grida al lupo, al lupo? La possibile questione che è dietro l’angolo non è un ritorno di Draghi, Monti o chi per loro, ma il tema del rimpasto, se non di un Meloni bis. Che l’attuale governo possa pagare alcune difficoltà oggettive e alcune indubbie fragilità è quanto sperano comprensibilmente le opposizioni, ma anche quanto non dispiacerebbe del tutto, o magari sarebbe benvenuto da parte di alcune componenti della maggioranza che non amano il rafforzamento dell’attuale premier.

Molto dipende, nei calcoli di queste componenti, da come andranno le elezioni europee. Un ridimensionamento della supremazia di FdI potrebbe aprire le porte alla richiesta di una diversa distribuzione del potere nell’attuale governo. Ciò anche per impedire, o quanto meno rendere difficile che Meloni possa diventare un tassello importante nella composizione del futuro assetto di comando dell’Unione Europea. Per varie componenti della destra, ma anche per buona parte della sinistra la nostra premier che si insedia come partner significativo della futura maggioranza a Bruxelles portando i suoi “conservatori” nell’alleanza popolari-socialisti-liberali (al momento l’asse fra i grandi paesi) è un vero incubo. Se le urne di giugno ridimensionassero il consenso a Meloni varie cose potrebbero cambiare.

Non certo l’avvento di una maggioranza sostitutiva, perché i numeri in parlamento non ci sono, anche ammesso e non concesso che M5S accettasse di fare asse col PD. In più non è detto che questi due partiti escano bene da quella prova elettorale e in questo caso molto probabilmente nel PD si aprirebbe una questione sulla segreteria Schlein e anche per Conte non sarebbe un bel momento.

Potrebbe esserci però nelle fila del destra-centro la richiesta di un nuovo governo, o semplicemente con un rimpasto (pratica sempre complicata e non troppo popolare), o magari con il classico Meloni 2, che renderebbe più facile un negoziato a tutto campo nell’ambito di quella coalizione. Sembra di capire che è quel che spera Salvini, il quale naturalmente lo nega. È abbastanza evidente che i membri del governo che in questo momento godono di maggior favore sono esponenti di Fratelli d’Italia. Nonostante il grande agitarsi del ministro delle infrastrutture gli uomini della Lega non hanno posizioni da protagonisti (Giorgietti non è identificato con quel partito) e quanto a FI a parte Tajani non si sa che esista.

Tuttavia Meloni non ha alcuna intenzione di farsi obbligare a seguire quel copione. Anzi mette subito un freno all’agitarsi di Salvini che pensa di prepararsi qualche punto di vantaggio. Chiarisce infatti che se cade questo governo non sarà disponibile a sostenerne un altro, neppure con lei sempre alla guida, il che significa andare allo scioglimento delle Camere e ad elezioni anticipate. Per evitarlo, come dicevamo sopra, sarebbe necessaria una nuova sorta di grande alleanza destra-sinistra, il che getterebbe, dopo tutte le polemiche di questi anni, nel totale discredito la politica. Ma andare ad una prova elettorale per Salvini sarebbe disastroso: significherebbe perdere il molto che ha accumulato in termini di potere e sottopotere e probabilmente mettere anche a rischio mortale la sua leadership sulla Lega.

Per queste ragioni è molto improbabile che il pur effervescente ex “Capitano” sia disposto a correre i rischi del caso. Dovrà accontentarsi, se gli va bene, di rosicchiare qualche ulteriore spazio di visibilità in attesa di tempi migliori. Meloni però non può pensare di giocare un ruolo importante in Europa rimanendo nell’ambiguità fra la scelta di confermarsi come un leader conservatore e la pulsione a non perdere i legami con la storia del barricadierismo della cosiddetta destra esclusa.

Quanto la sinistra sarà capace di inserirsi in queste dinamiche anziché continuare ad arroccarsi nella recita di vecchi e nuovi mantra alla moda è tutto da vedere.