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Il tempo del Capitano

Michele Marchi - 30.10.2019
Barbieri - La bestia di Salvini

Dopo il Cavaliere e il Professore, è giunto il tempo del Capitano. E a coniare questa definizione di Matteo Salvini è stato un lustro fa il suo attuale guru della comunicazione, all’anagrafe Luca Morisi, inventore e deus ex machina della cosiddetta Bestia (the Beast era la macchina della comunicazione informatica della prima campagna presidenziale di Obama). Veronese, 45 anni, laurea e dottorato in filosofia, dieci anni di cattedra nell’ateneo scaligero, poi l’impresa ma soprattutto la politica. Leghista della prima ora, incontra Salvini nel 2012 e non lo lascia più. E anzi lo porta a sfondare il tetto dei tre milioni di amicizie su Facebook (tutti gli altri leader di primo piano oscillano tra i 2 milioni di Di Maio e i 900 mila di Meloni) e di oltre un milione di follower sia su Twitter, che su Instagram.  Salvini, grazie al lavoro del suo consulente di comunicazione e al suo team (circa dieci persone) che lavora costantemente sull’identità virtuale del leader leghista, è il vero campione della nuova comunicazione politica italiana e non solo (basti pensare che doppia in termini di like e follower Marine Le Pen).  

Ebbene su tutto ciò e sulle principali ricadute politiche si è soffermata la giornalista forlivese Margherita Barbieri, proponendo un interessante studio dal titolo La Bestia di Salvini. Manuale di comunicazione leghista (casa editrice Edizioni del Girasole, 2019). Nell’agile volume Barbieri ha ricostruito, in diciotto capitoli, la comunicazione social di Salvini mettendone in evidenza da un lato i toni e i contenuti spesso aggressivi e polarizzanti. Dall’altro lato non nascondendone il carattere innovativo e la portata senza dubbio rivoluzionaria, in particolare nel contesto italiano. Tra i molti passaggi interessanti del volume, se ne vogliono evidenziare tre.

Il primo di questi è legato all’utilizzo del termine “populismo” e alla scivolosità del suo significato, così come spesso applicato al dibattito politico contemporaneo. Salvini che scrive sui social “gli italiani dopo il 2019 ragionano con la loro testa” vuole in realtà mandare un messaggio chiaro: “tranquilli, io faccio soltanto ciò che voi volete” e così facendo egli incarna l'essenza del populismo, cioè il leader che odia le elites e le competenze e che si tramuta in megafono, interprete e “lasciapassare” per un sistema, quello appunto populista, che ha abbattuto ogni tipo di mediazione. Un leader “eterodiretto” dal suo popolo, il quale ribadisce che tutto ciò che farà sarà portato avanti da un leader comunque “pieno di difetti”. Questa “umiltà ostentata” è ancora parte integrante della logica del populismo applicato in modo idealtipico ed è il classico segnale che chi ascolta vuole sentire: sono uno di voi. Il volume di Barbieri ci mostra in maniera evidente, studiando la comunicazione social, quanto sia errato assimilare il cosiddetto “salvinismo” a forme più o meno larvate di fascismo o comunque di approccio finalizzato all’instaurazione di un regime autoritario, se non addirittura totalitario. E contemporaneamente ci fa capire quanto invece sia centrale nel suo agire politico e nella sua elaborazione ideologica, la tendenza populista.

Un secondo passaggio di notevole interesse è quello nel quale si accostano l’uso social (e non solo) dei simboli religiosi da parte di Salvini (rosari e immagini di Madonne) e le critiche anche aspre, al limite dell’infamante, nei confronti delle gerarchie vaticane e, nello specifico, del pontefice. Qui Salvini compie una duplice importante operazione. Da una parte si inserisce in quella frattura che da sempre attraversa il mondo cattolico italiano e che per lungo tempo ha trovato nella Dc un’emblematica rappresentazione nella contrapposizione tra cattolicesimo progressista e cattolicesimo conservatore. Dall’altro però se possibile è anche più sottile, contrapponendo una religiosità “personale, intima”, legata al “comune sentire” a rituali che fanno delle icone quali il crocifisso e i santini della Madonna un elemento di testimonianza e di appartenenza più cultural-identitaria che profondamente fideistica ad una religiosità invece istituzionale, rappresentata dalle “elites” vaticane e plasticamente impersonata dall’attuale pontefice. Come la cosiddetta “sinistra intellettuale e delle elites” ha smesso di capire il “popolo”, così le alte gerarchie vaticane optano per posizioni umanitarie e terzomondiste destinate, sempre secondo Salvini, ad incentivare il distacco tra Chiesa di Roma e “popolo” dei credenti. Il messaggio è molto semplice, come sempre, quanto efficace almeno potenzialmente: la Chiesa di Roma e di Papa Francesco dimentica le sofferenze degli “italiani”, per occuparsi di quelle di migranti e Rom.

Interessante è infine la riflessione finale, dedicata ad una comparazione tra i cosiddetti “due Mattei”, Salvini e Renzi, accomunati da una sorta di sindrome da invincibilità, se non da un delirio di onnipotenza. Senza dubbio il tema del leader politico che, all’apice del suo livello di popolarità e di gradimento, fatica poi ad istituzionalizzare la dimensione carismatica e anche mediatica della sua leadership è sempre più interessante, in particolare di fronte all’irruzione dei cosiddetti “nuovi media”. Nello specifico il caso di Salvini dovrebbe forse indurre a meno pessimismo, rispetto a quello che trapela dalle ultime righe del volume di Margherita Barbieri. Nel senso che la parabola discendente, almeno temporanea, di Salvini ha messo in evidenza che, nonostante l’attacco concentrico subito, molte delle istituzioni tradizionali, e il Parlamento in particolare, godono di una discreta salute. La nemesi per Salvini si è compiuta infatti nel momento in cui lui leader mediatico per eccellenza, paladino della disintermediazione, si è visto defenestrare dal più tradizionale degli strumenti istituzionali, il Parlamento. E ha visto nascere un governo giallo-rosso, ancora una volta frutto di un accordo parlamentare, molto simile a quelli operati in epoca di trasformismo da Depretis.

Il quadro italiano, oramai ad un trentennio dal grande crollo di Tangentopoli, non è ancora stabilizzato. Il “ciclone” Salvini e in particolare la sua “Bestia”, non hanno contribuito, e credo difficilmente lo vorranno fare in futuro, a consolidarlo. Grazie a Margherita Barbieri abbiamo qualche elemento in più per valutare questo lavoro di destabilizzazione condotto sfruttando i social network, che corrono veloci e stanno segnando profondamente la nostra evoluzione democratica. Il caso Salvini ne è davvero la prova lampante.