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27 aprile 2024
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Il secondo turno delle elezioni municipali francesi è stato l’attesa debacle per il presidente Macron.

Michele Marchi - 01.07.2020
Macron debacle

Qualsiasi considerazione politica sulla tornata elettorale deve tenere conto delle condizioni straordinarie nelle quali si è svolta, ad oltre tre mesi dal primo turno, con l’emergenza sanitaria ancora in atto e nel mezzo di una potenziale ed imminente crisi economico-sociale.

Tale premessa è fondamentale per ragionare sul primo dato inequivocabile: il più elevato tasso di astensionismo per elezioni municipali nella storia della V Repubblica. Il 59% dei francesi ha disertato le urne, con punte che hanno raggiunto il 77% e con sindaci eletti con il sostegno di un decimo dell’elettorato. Come detto la crisi sanitaria è stata certamente un fattore. Più in generale, un livello così scarso di partecipazione aumenta gli interrogativi sul mal funzionamento degli strumenti tradizionali di esercizio della democrazia. Il dato è ancora più preoccupante dal momento che riguarda l’elezione del sindaco, l’unico rappresentante politico ad oggi giudicato positivamente da tutte le indagini di opinione.

Il secondo elemento da sottolineare è la dimensione politica del voto, che dovrà essere prima di tutto meditata ed interpretata dal presidente della Repubblica, impegnato nel tentativo di rilancio dell’ultima parte di quinquennato, decisiva per le sue possibilità di rielezione nel 2022.

Non vi sono dubbi sul fatto che il primo sconfitto di questo secondo turno delle municipali sia Macron.  E questo per tre ragioni fondamentali. Il pessimo risultato del soggetto politico macronista, La République En Marche, incapace di radicarsi a livello locale. LRM non era un partito nel 2017 e ad oggi se possibile ha fatto passi indietro. La seconda pessima notizia per l’inquilino dell’Eliseo è la netta vittoria del Primo ministro Eduard Philippe, rieletto sindaco di Le Havre con il 59%. Il moderato inquilino di Matignon, in crescita costante di gradimento grazie all’attenta gestione dell’emergenza pandemica, doveva far parte dell’atteso rimpasto governativo. Oggi sarà davvero complicato per Macron prendere una decisione così “impolitica” e sostituire un Primo ministro appena rilegittimato dall’elezione. Infine Macron potrà con fatica nasconderlo, ma il voto ecologista, o almeno una quota di questo, è composto da socialisti che nel 2017 hanno scelto il giovane candidato alla presidenza tra speranza e fastidio nei confronti dell’apparato del PS e che si ritrovano profondamente delusi dai tre anni di sua presidenza.

Da un lato dunque duro colpo per Macron e dall’altro trionfo ecologista. La conferma a Grenoble (unica città con più di 100 mila abitanti guidata da un sindaco ecologista prima di questo voto), ma soprattutto le vittorie a Bordeaux (feudo gollista da Chaban-Delmas ad Alain Juppé), a Lione (feudo socialista), a Strasburgo, a Marsiglia (seconda città di Francia per abitanti) ma anche il contributo determinante per la riconferma di Hidalgo a Parigi e per la storica vittoria in coalizione con i socialisti a Nancy (da 70 anni a destra) non devono essere minimizzati. Si è verificata un’onda verde e questa deve essere inserita in una dinamica. Dopo la scelta delle presidenziali 2017, con la decisione di ritirare il candidato per sostenere la fallimentare candidatura socialista di Hamon, le europee del 2019 avevano regalato un insperato 14% e avevano fatto parlare degli ecologisti come protagonisti di un nuovo polo di centro-sinistra. Nel voto “verde” di domenica scorsa vi si condensa tutto ciò unito all’onda lunga di quella “rivolta” urbana e generazionale sui temi ambientalisti, per certi versi incentivata dalla crisi pandemica. Ma vi è anche la penetrazione della sensibilità ecologista nei quartieri popolari e nei piccoli comuni e villaggi. L’impressione è quella che si stia strutturando una nuova e diffusa sensibilità politica ambientalista, legata a progetti concreti e ad un complessivo cambio di paradigma con i temi del risparmio energetico e della difesa dell’ecosistema oramai centrali per qualsiasi riflessione politica, si tratti della dimensione globale così come di quella dell’amministrazione locale. In questo senso l’avanzata ecologista potrebbe tratteggiarsi come nuovo collante ideologico, ma anche organizzativo, per una nuova forma di gauche plurielle (modello Jospin) non più a trazione socialista ma appunto con leadership ambientalista. La situazione è però in divenire e occorre fare molta attenzione nel proporre analisi definitive. Da una parte il voto municipale è comunque legato a dinamiche locali. E non sono mancati i casi di “duello fratricida” a sinistra, tra ecologisti e ciò che resta dei socialisti. I casi più emblematici a Lille (con Aubry eletta di misura contro un ecologista) o di Poitiers, dove il sindaco uscente socialista è stato sconfitto proprio da un ecologista. Seconda considerazione: eccedere nell’attribuire un significato “nazionale” al trionfo ecologista significherebbe accreditare una possibile candidatura unitaria a gauche a guida ecologista per il 2022, al momento difficile da scorgere all’orizzonte.

Due ultime considerazioni vanno aggiunte in relazione alla destra repubblicana e all’estrema destra di Marine Le Pen. Il Rassemblement National può vantare la storica vittoria di Perpignan, con il peso massimo Alliot eletto sindaco, ma in realtà sconta la cronica difficoltà nel radicarsi a livello locale e soprattutto, di fronte all’onda ecologista, non può più presentarsi come unica e vera opposizione a Macron.

Les Républicains confermano la crisi avviata con l’affaire Fillon e proseguita con il flop delle europee. Al di là della difesa dei “feudi” di Tolone e Nizza e di molte città medie, tutti gli esperimenti di alleanza con LRM (il più emblematico quello di Lione) sono falliti. Si apre a questo punto una riflessione importante sulla collocazione del partito rispetto alla presidenza Macron e rispetto all’alto gradimento che ottiene Philippe presso l’elettorato di centro-destra.

Due considerazioni finali sono d’obbligo al termine di queste  strane municipali in tempo di crisi pandemica. È possibile interpretare tale voto in continuità con la profonda destrutturazione della dinamica bipolare (socialisti/gollisti) inauguratasi con il voto presidenziale del 2017. Al nuovo bipolarismo Macron vs Le Pen pare aggiungersi un terzo e potenzialmente potente incomodo, gli ecologisti. Tutto ciò potrebbe innescare la comparsa di un nuovo e credibile polo di attrazione a sinistra, guidato appunto dai verdi? Sul fatto che il sistema sia in profonda destrutturazione non vi sono dubbi. Che la dinamica di ristrutturazione sia avviata qualche dubbio permane. Solo i prossimi mesi, e in particolare l’appuntamento delle regionali del 2021, potrà fornire risposte in questo senso.

L’altra considerazione riguarda Macron. Il voto del 28 giugno e il livello di gradimento in costante calo impongono all’inquilino dell’Eliseo un cambio di passo o meglio il tentativo di rilegittimarsi. Da un lato il rimpasto di governo è quasi obbligatorio, ma molto rischiosa potrebbe rivelarsi la scelta di proporlo così radicale sino a cambiare il Primo ministro. Dall’altro l’idea di sottoporre a referendum alcune delle proposte uscite dalla Convention Citoyenne pour le climat ha il merito di tentare una rilegittimazione elettorale sul tema chiave dell’ambientalismo. Quella dell’appello al popolo resta un’arma a doppio taglio. Il “presidente-Giove” dovrebbe ricordarsi del generale de Gaulle nell’aprile 1969. Il restauratore della dimensione “plebiscitaria” nella V Repubblica concluse, proprio con un referendum, la sua carriera politica.

Le scelte di Macron dei prossimi giorni determineranno senza dubbio il suo futuro politico.