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27 aprile 2024
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Il duello Italia-Germania sulla flessibilità. Così è (se vi pare)

Gabriele D'Ottavio - 12.07.2014
Duello

L’inizio del semestre italiano di Presidenza dell’Unione europea è stato segnato dal duello sulla flessibilità ingaggiato da Matteo Renzi prima con il tedesco Manfred Weber, neoeletto capogruppo del Ppe, e poi con il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Alle osservazioni critiche del primo ha replicato che l’Italia non prende lezioni da nessuno, rinfacciando alla Germania il fatto di aver in passato chiesto e ottenuto la sospensione della procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Alle insinuazioni del secondo sulla scarsa credibilità del programma di riforme annunciato da Renzi a Strasburgo, il Presidente del Consiglio ha invece risposto invitando la Bundesbank a non immischiarsi nel dibattito politico italiano e contrapponendo all’«Europa dei banchieri» l’idea di un’«Europa dei cittadini».

 

Molto rumore per nulla?


Se l’obiettivo principale era quello elencato al terzo punto della scaletta del suo discorso di Strasburgo («non voglio dare l’impressione di sottovalutare i temi economici»), Renzi è senza dubbio riuscito a raggiungerlo. Con un pizzico di malizia, si potrebbe persino pensare che nel momento in cui ha incrociato la spada, più che duellare, Renzi abbia voluto mettere in scena un vero e proprio «gioco delle parti». Gioco al quale si sono successivamente uniti, sia pure interpretando ruoli diversi, la Cancelliera Angela Merkel, il ministro tedesco delle Finanze Schäuble e il nostro ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Sia ben chiaro, sul tema della flessibilità Italia e Germania hanno posizioni oggettivamente molto diverse. Ma al di là delle divergenze esistenti tra Italia e Germania sui temi economici, non era nei primi giorni del semestre europeo che Renzi poteva realisticamente pensare di imporre alla Germania e all’Europa il proprio punto di vista. Il duello serviva soprattutto a lanciare dei messaggi e forse anche a mettere in bella mostra sul palcoscenico europeo alcune sue attitudini che sono state finora apprezzate dall’elettorato italiano, tra cui sicuramente anche una certa spavalderia. Dunque, molto rumore per nulla? In realtà, il duello con Weber e Weidmann e soprattutto le successive prese di posizione da parte di Merkel, Schäuble e poi di nuovo di Renzi e Padoan sono servite anche a far emergere alcuni elementi di cui occorrerà tenere conto nei prossimi mesi. In particolare, sono serviti a chiarire come si percepiscono rispettivamente Italia e Germania dopo il voto delle europee, quali sono gli effettivi margini di manovra a disposizione degli interlocutori nel dibattito sulla flessibilità, ma anche quali sono le insidie che si nascondono dietro la legittima aspirazione di entrambi i paesi a interpretare i loro ruoli secondo il copione che si sviluppa sul contrasto rigore-flessibilità. L’alzata di testa di Renzi è l’espressione di una nuova consapevolezza maturata all’indomani del voto delle europee, che ha trasformato l’Italia nell’attore più accreditato ad assumere la guida dei paesi desiderosi di rivedere il patto di stabilità e crescita. D’altra parte, anche il governo tedesco dopo il voto europeo si è ritrovato in condizioni ben migliori di quelle che si potevano immaginare alla vigilia. Le forze ostili, che avevano puntato sull’anti-europeismo e dalle quali Berlino se sente accerchiata, hanno fatto alcuni passi avanti, ma non hanno vinto. La riconferma di Schulz alla presidenza del Parlamento europeo e la probabile elezione del lussemburghese Juncker (il cui nome viene pronunciato sempre più spesso con l’accento sulla “u” e non sulla “e”) ne sono la riprova. Gli interventi di Weber e Weidmann sono così serviti a rimarcare i limiti oltre i quali Angela Merkel, anche se volesse, non potrebbe spingere il suo paese. Le aperture annunciate dal suo portavoce Steffen Seibert su un’applicazione flessibile del Patto di stabilità vanno dunque prese con le dovute cautele. Di certo non autorizzano a sperare, almeno per il momento, di poter convincere la Germania a prendere in considerazione soluzioni come gli Eurobond, che erano stati di recente menzionati dal sottosegretario Delrio in una intervista al Corriere della Sera. Dopo le prese di posizione di Weber e Weidmann, le puntualizzazioni della Merkel e di Schäuble – nonostante le parole di questo ultimo siano state in un primo momento letteralmente distorte dalla stampa italiana – da una parte, e alcune dichiarazioni altrettanto (ri)concilianti di Renzi e Padoan, dall’altra, sono infine servite a ribadire che Germania e Italia, nonostante persistano delle divergenze importanti, non sono intenzionate a dichiararsi guerra.

 

Il rischio del «gioco delle parti»


Questi interventi «correttivi» possono essere letti anche come un’importante risposta alle insidie che talvolta si celano dietro un’interpretazione troppo teatrale del «gioco delle parti». Per ogni attore, il rischio principale del calarsi troppo in una parte, infatti, è quello di pirandelliana memoria che la rappresentazione possa confondersi con la realtà e la realtà con la rappresentazione. Concretamente, nel caso della rappresentazione del confronto tra rigore e flessibilità il rischio è che il duello messo in scena a Strasburgo finisca – con la complicità di un sistema mediatico che ha la passione per il dramma – per trasformarsi in un gioco a somma zero, dove alla fine ci saranno davvero un vincitore (e in genere vince il più forte) e un vinto (sorte che invece normalmente tocca al più debole). Per scongiurare questo rischio è opportuno evitare la diffusione di un approccio ideologico che potrebbe sfociare in un’indisponibilità di fondo da parte degli attori principali ad accettare soluzioni di compromesso. Il solo «dare l’impressione» di voler riportare una vittoria netta sull’altro potrebbe essere controproducente, prima ancora che inutile.