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24 aprile 2024
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C’è davvero una crisi nel PD?

Paolo Pombeni - 05.11.2015
Anna Finocchiaro e Maurizio Landini

L’ennesima fuoruscita di parlamentari dalle fila del Partito Democratico testimonia la reale crisi di una parte almeno di quel partito o più semplicemente è il frutto di una selezione approssimata di classe dirigente operata da Bersani in vista delle passate elezioni politiche, quando nell’ottica di mostrare quanto era ampio il bacino di riferimento si arruolarono tutti quelli che si pensava potessero “fare opinione”?

La domanda ci sembra legittima nel momento in cui coloro che abbandonano le sponde a cui sono approdati grazie a meccanismi più di cooptazione dal centro che di spinta del consenso popolare giustificano la loro decisione con il disagio a stare in un partito che, a loro dire, ha cambiato DNA, ha avuto una mutazione genetica. Infatti in quest’ottica il PD non sarebbe più un partito “di sinistra”, ma un partito “di centro” (o “della nazione” secondo una formuletta il cui vero contenuto è assolutamente oscuro a tutti, compreso a colui che lo ha distrattamente messo in campo).

Ora, se si pensa alla storia da cui origina il PD, è piuttosto difficile sostenere che essa avesse per obiettivo la creazione di un partito “di sinistra” così come è inteso dai fuorusciti che, non a caso, vanno tutti ad approdare nell’estrema con l’ipotesi di fondare una cosiddetta “cosa rossa” con SEL e compagni. Il PD in termini di personalità a cui si era ispirato all’inizio faceva capo a Veltroni e a Prodi. La regia dal palco dell’assemblea fondativa (a cui chi scrive ha partecipato) era affidata ad Anna Finocchiaro. Francamente nessuno dei tre ci sembra ascrivibile agli orizzonti di un Landini o di un Cofferati (ultima maniera – in precedenza le cose erano meno chiare). Anche a prenderla da un lato più direttamente ideologico i dubbi non sono pochi. La ricercata confluenza nella nuova formazione della tradizione del PCI, specie dell’ultima fase, di quella della sinistra democristiana e poi di altre sinistre laiche (socialiste,repubblicane, ecc.) non disegna un pedigree da “lotta di classe potere alle masse”. Né, per altro, alcuno dei discorsi che prepararono quella svolta e che la giustificarono si muoveva in quella direzione.

In tutto il ventennio di contrapposizione diretta al berlusconismo, ma prima ancora nell’agonia della prima repubblica, l’ottica era stata piuttosto quella del “partito degli onesti”, dell’unità nazionale per la rinascita morale, dell’alleanza dei ceti produttivi in cui andavano a braccetto operai e imprenditori. Se non abbiamo dimenticato tutto questo, come si potrebbe definire quella prospettiva se non come prospettiva “nazionale”? Bersani stesso, espressione importante del comunismo emiliano, non è che sia proprio titolare di una storia, personale e di contesto, che lo spinge verso il populismo del “anche i ricchi piangano”.

Il dissenso dalla linea che Renzi propone al PD è ovviamente assolutamente legittimo, ma parlare di “tradimento” che questa opererebbe nei confronti del DNA del suo partito non ha senso comune. Dalla Resistenza in avanti l’ambizione della sinistra storica è sempre stata quella di essere il partito della nazione, negando questa qualifica alla DC. Da Togliatti che proclamava in costituente i metalmeccanici di Torino eredi del conte di Cavour a Berlinguer che teorizzava il compromesso storico, tanto non per non arrivare a giorni più vicini a noi, l’orizzonte di quello che volle definirsi come “eurocomunismo” fu più o meno quello. Quanto alla sinistra cattolica, il ripudio di qualsiasi ipotesi classicamente classista era un dogma e la sua permanenza nella DC, partito fondato e continuato con l’obiettivo di essere una sintesi del paese, è stata piuttosto lunga e si è interrotta solo quando la DC aveva davvero cambiato quella natura.

Ripetiamo: è assolutamente legittimo che qualcuno ritenga che la politica che propone Renzi non sia quella giusta per realizzare “il bene” del nostro paese. Si avanzino proposte alternative e verranno valutate, ma il procedere a colpi di slogan per scomuniche ideologiche non serve a nulla, se non a consentire all’avversario di fare spallucce, tanto si sa benissimo che le scomuniche vengono accolte solo da chi è già “fedele” all’interno di una qualche chiesa e lasciano indifferenti tutti gli altri. E’ una cosa che non piace anche a chi pensa che la proposta di Renzi sia interessante, perché invece di aiutare a perfezionarla con la critica, la rende inattaccabile per inconsistenza dell’obiezione fondata su presunte ortodossie e costringe ad una adesione ad essa senza distinguo per non favorire una diaspora che semplicemente metterebbe il PD in condizioni di non poter governare.

Infine una notazione. Fuorusciti e oppositori di sinistra di Renzi stimano la loro forza elettorale al 15%. Avendo un’età per la quale abbiamo già visto più volte finire nel nulla entusiasmi per varie scissioni, abbiamo dei dubbi in proposito, ma non importa. Anche se quella percentuale si rivelasse fondata, che se ne farebbe? Da sola non serve a nulla e in coalizione non può funzionare che alleandosi sul centro, cioè sulla propria destra. Oppure si pensa che i grillini abbiano un DNA di sinistra e, soprattutto, che siano disposti a prendersi dentro questi transfughi una volta che vincessero le elezioni?

Sono domande che hanno bisogno di risposte. Per ora più che di una crisi del PD siamo testimoni di un ultimo atto della crisi della politica italiana post-sessantotto, per di più gestita da una generazione che il sessantotto lo conosce più che altro come mito.