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Battaglia finale?

Paolo Pombeni - 14.04.2016
Giornata parlamentare 12-04-16

Quel che ci si chiede è se siamo veramente arrivati alla mitica sfida all’OK Corral, per cavarcela con una abusata citazione cinematografica, fra renziani e antirenziani. La riforma della costituzione ha finito il suo iter parlamentare e aspetta solo la validazione del referendum. Le opposizioni (tutte: destra ed estrema sinistra unite nella lotta) hanno mandato il segnale per l’inizio della sfida disertando la votazione finale, per sfruttare il mito che una riforma costituzionale non sarebbe legittima se non coinvolge le opposizioni.

Su questo punto c’è molto da obiettare, ma ormai viviamo di miti messi in circolo da gente che il costituzionalismo l’ha imparato dalle chiacchiere al bar (si veda la storiella per cui Renzi non sarebbe legittimato perché non è passato per un voto popolare, mentre il meccanismo della fiducia parlamentare è quanto previsto a costituzione vigente e nella nostra storia repubblicana è stato per lo più così visto che non abbiamo alcuna norma per la elezione diretta del premier). Tanto per dire, la costituzione della Quinta Repubblica francese, tuttora vigente, è stata imposta dalla maggioranza gollista contro tutte le opposizioni e validata da un referendum popolare. Non sarà la costituzione più bella del mondo, ma è arduo affermare che non sia la costituzione di un sistema democratico che ha consentito l’alternanza di governi di diverso colore (e anche “coabitazioni”) e una vita costituzionale di tutto rispetto.

Il fatto è che nella lunga storia che abbiamo alle spalle quanto a ricerca di una via per riformare la seconda parte del nostro testo costituzionale (la prima, salvo una parentesi di esaltazioni berlusconiane all’inizio di quell’era, non è mai stata messa in questione) tutto si è sempre arenato perché per una “sintesi” fra prospettive diverse non si trovava mai una disponibilità generalizzata. In conseguenza prevaleva il potere di veto reciproco perché in fondo andava bene a tutti tenere in piedi un sistema politico zoppicante, ma di cui si conoscevano bene i meccanismi.

Se possiamo gettare un sasso nello stagno, dobbiamo aggiungere che i costituzionalisti di varia scuola e specialità non è che si siano particolarmente spesi alla ricerca di punti di convergenza e nella battaglia per farli passare. Oggi molti di loro si lamentano per un testo che indubbiamente non è un capolavoro sul piano giuridico, ma dovrebbero riflettere sul loro aver preferito schierarsi in questo o quello degli eserciti in lizza per prevalere, piuttosto che contribuire alla ricerca di un punto di approdo comune su cui costruire un largo consenso trasversale.

Comunque sia, sul piano politico oggi si deve rilevare che tutta la faccenda è ridotta ad esprimere un sì o un no alla svolta che si è avuta negli equilibri politici del paese. Questa svolta si è incarnata in Renzi e nel suo gruppo, anziché nel Messia atteso ed invocato per decenni da una miriade di professori e di editorialisti? E’ la storia, bellezza, verrebbe da scrivere, anche qui abusando di un’altra fase fatta.

Detto questo, lo scontro rischia davvero di assumere i tratti della battaglia finale. Ovviamente perché far naufragare il testo appena approvato significa che per un decennio almeno non si metterà mano alle debolezze del sistema attuale (debolezze che fra il resto sono riconosciute anche da coloro che vogliono affossare la riforma). Ancor più perché significa avviare una fase di instabilità politica non essendovi alle viste una leadership alternativa che si presenti all’altezza dei difficili problemi con cui ci dobbiamo misurare. Quale sia la situazione internazionale lo vede chiunque legga con costanza i giornali e quanto ai nostri problemi interni li sperimentiamo quotidianamente.

Peraltro con la attuale legge elettorale, assai criticata, lo spazio per un rovesciamento della leadership renziana c’è tutto e la riforma costituzionale non agisce su di esso. Anche qui sarebbe bene uscire dalle fumoserie: anche la proposta di spostare l’assegnazione del premio di maggioranza dalla lista alla coalizione non risolverebbe nulla, poiché semplicemente spingerebbe alla creazione di ammucchiate senza leadership, cioè alla ingovernabilità (è un film che già abbiamo visto).

Dunque siamo in una condizione senza vie d’uscita? Anche questa è una analisi eccessivamente pessimistica. La storia incide su tutti, anche sui leader e di conseguenza non si può escludere che Renzi tragga lezioni da quel che gli è accaduto in questi anni. Forse capirà che ha bisogno di basi di potere un po’ più solide della forza della narrazione e della fedeltà dei suoi cerchi magici. Forse le classi dirigenti del paese, o almeno una loro quota capiranno che non è detto che nella confusione ci siano più opportunità per tutti di allargare la propria sfera di influenza. Forse le nuove generazioni capiranno che la loro inevitabile rivolta verso i padri non può ridursi a prendere il loro posto, ma deve cominciare col cambiare l’andazzo che questi hanno lasciato loro in eredità.

Ragionare a base di “forse” in genere non piace, perché lascia intendere che le cose potrebbero anche non andare così. E’ verissimo, ma questa è la condizione umana: non potere dare nulla per scontato, perché se si vuole avere almeno una speranza che qualcosa accada bisogna lavorare duramente per farlo accadere.

Una volta la constatazione che avevamo perso questa bussola veniva etichettata “crisi della cultura” o addirittura “crisi della civiltà”. Adesso vedete voi.