Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
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Ancora una volta.

Rojava

Aleppo. Le notizie che giungono dalla Siria nelle ultime settimane mostrano un quadro militare in veloce trasformazione a fronte dell'immobilità sostanziale del quadro politico. Il governo di Damasco sta cercando di cingere d'assedio Aleppo, la seconda città della Siria e una volta centro economico e produttivo del Paese. I soldati dell'esercito siriano, assieme alle truppe iraniane e altre formazioni paramilitari alleate, sfruttano la potenza di fuoco dell'aviazione russa che da settembre attacca senza sosta principalmente le forze di opposizione armate: laici, islamisti. Ovviamente, a farne le spese sono principalmente i civili. Negli ultimi mesi sono riusciti a riconquistare e "mettere in sicurezza" le roccaforti governative sulla costa mediterranea. Successivamente, negli ultimi dieci giorni sono riusciti ad avanzare nelle campagne a ovest, sud ed est della città di Aleppo, riconquistando terreno tanto alle opposizioni armate quanto all'Organizzazione dello stato islamico. In questo modo, hanno tagliato una delle due linee di comunicazione e rifornimento della città di Aleppo con il confine turco. I portavoce del governo di Damasco tornano a parlare di vittoria, militare.

 

Il successo della controffensiva del fronte Damasco-Mosca-Teheran mostra la potenza, e finora l'efficacia, dell'integrazione tra aviazione e intelligence russa e truppe iraniane e siriane. Da un punto di visto organizzativo, e politico, riporta in auge il primato delle forze armate regolari rispetto alle milizie paramilitari, qui spesso comunitarie e confessionali, che dal 2014 all'autunno del 2015 avevano caratterizzato la strategia "iraniana" di difesa del regime. L'arrivo in forze dei russi ha invece riportato le forze dell'esercito regolare al vertice e al comando della campagna militare.

 

La strategia degli assedi ai centri urbani è praticata sistematicamente da Damasco e dai suoi alleati essenzialmente perché non hanno le risorse umane, cioè le truppe, da impegnare in una conquista quartiere per quartiere: sperano quindi di prendere per fame e sfinimento i propri nemici, anche qui gravando la popolazione civile del grosso delle sofferenze e delle morti. I successi di questa strategia sono relativi e comunque non immediati: spesso sono più utili come "merce" di scambio in sede di trattative. Le esperienze di Madaya e la prospettiva di un assedio alle parti di Aleppo controllate dai ribelli portano decine di migliaia di persone e cercare rifugio altrove. Legittimamente, da tutti i punti di vista.

 

Il rifiuto della Turchia di far entrare nel proprio territorio la nuova ondata di rifugiati, oltre che moralmente, è illegale dal punto di vista del diritto internazionale. Tuttavia, il governo Erdogan-Davutoglu si arrocca sulla "sicurezza" e sull'accoglienza di già oltre due milioni e mezzo di siriani per bloccare alla frontiera i nuovi arrivi. E' probabile, invece, che cerchi di convincere gli alleati della Nato a far entrare l'esercito turco in territorio siriano per costruire una "zona cuscinetto" in cui "difendere" i profughi: questo sulla falsariga di quanto fatto con i curdi nel 1991 nel nord dell'Iraq. Gli Emirati Arabi Uniti si sono detti pronti ad intervenire con le proprie truppe. Unico problema: Damasco ha minacciato di ritorsioni militari, ma soprattutto l'intervento turco, e della Nato, si scontra con le forze militari russe ed iraniane già sul terreno. I Paesi della UE non hanno intenzione di scontrarsi frontalmente con la Russia "per" Erdogan o per i profughi siriani: nel complesso chiusi nella loro autoreferenzialità continuano ad esternalizzare la questione nelle zone di frontiera, al massimo monetizzando la propria irresponsabilità. La soluzione potrebbe essere permettere e sostenere le forze curde e siriane della Rojava a prendere il controllo dell'intero confine con la Turchia, contro il regime e contro l'ISIS. Questa opzione, accarezzata da alcuni Paesi europei e dagli USA si scontra però, ancora una volta, con il disastroso veto politico della Turchia e della paranoia anti-curda dei suoi dirigenti.

 

La situazione sul campo è dunque mutata a favore del governo di Bashar al Assad, che comunque non dispone di uomini e mezzi sufficienti per riconquistare tutto il terreno perso in cinque anni di guerra. La strategia iniziale (2011) di repressione delle rivolte è fallita nel 2012; la prima riconquista (2013) del terreno perduto è avvenuta solo grazie all'intervento sul campo di Iran e Hizb'allah; la seconda riconquista (2016) del terreno perduto nel 2015 può avvenire solo grazie all'intervento diretto della Russia. Le risorse sono ora dispiegate al massimo perchè è improbabile che Mosca invii l'intero esercito in Siria. Intanto, le opposizioni sono in crisi per la debolezza militare di fronte all'arsenale russo-iraniano e le divisioni politiche: i "non"-negoziati di Ginevra a gennaio 2016 hanno mostrato la difficoltà di tenere assieme una compagine minimamente rappresentativa e unita. Hanno certamente resistito alle pressioni russe, Onu e Usa per accantonare le legittime richieste di tregua umanitaria. Ora, però, rischiano di trovarsi in una situazione ancora peggiore dal punto di vista umanitario, militare e dunque negoziale. Sebbene indebolita anch'essa, l'Organizzazione dello stato islamico sfrutta ancora le tre fratture che le hanno permesso di consolidarsi: fratture tra regime e opposizioni; tra Coalizione internazionale a guida USA e il fronte Russia-Teheran-Damasco; ultima, ma non per importanza, le fratture sostanziali all'interno della stessa Coalizione internazionale.

 

Nonostante questi cambiamenti sul campo, ancora una volta siamo di fronte ad una situazione in cui nessuna delle parti in causa ha i mezzi materiali per vincere militarmente e definitivamente sul campo. E tuttavia, nessuna delle parti in causa abbandona l'obiettivo della vittoria assoluta e dunque dell'eliminazione, fisica o politica, del nemico. Ne deriva uno stallo strategico che solitamente trova soluzione solo tramite negoziati politici. Ma per negoziare bisogna che le parti riconoscano le rispettive incapacità strategiche. Solitamente, nelle fasi di negoziato, le operazioni militari aumentano perché ognuno tenta di rafforzarsi: oggi, però, le posizioni tanto di Damasco quanto dei ribelli, e dei rispettivi alleati regionali, parlano ancora di vittoria completa o di cambio di regime. Dunque, nessuna soluzione in vista, almeno a breve. Ma spero sinceramente di sbagliarmi.