Ultimo Aggiornamento:
11 maggio 2024
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Pratiche di didattica interculturale

Angela Maltoni * - 03.09.2016
Alunni con cittadinanza non italiana

Senza dover rileggere tutte le numerose e fondamentali circolari ministeriali riguardanti l’educazione interculturale, a mio parere è d’obbligo porre l’attenzione sui dieci punti delineati nel recente documento – settembre 2015 – “Diversi da chi? Raccomandazioni per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura”[1] che risultano imprescindibili quando si vuole mettere in atto una didattica interculturale per costruire la scuola delle “cittadinanze” – europea, ma anche e soprattutto mondiale - capace di valorizzare le tante identità locali e, nel contempo, di far dialogare la molteplicità delle culture entro una cornice di valori condivisi. In questo documento, infatti, vengono evidenziati tutta una serie di punti di criticità che dovrebbero essere superati perché “una “buona scuola” è una scuola buona per tutti e attenta a ciascuno.

Al di là delle buone pratiche e delle singole iniziative di accoglienza e di integrazione, ancora oggi alla luce dei molti episodi di intolleranza occorre ripensare l’approccio del “fare scuola”. L’educazione interculturale come pratica quotidiana con cui “condire” tutte le proposte didattiche deve perciò costituire lo sfondo da cui prende avvio la specificità di percorsi formativi rivolti alla totalità della classe. La scuola, infatti, dovrebbe diventare sempre più il luogo centrale per la costruzione e la condivisione di regole comuni, dove si mettono in pratica modalità di vita quotidiana che attivino il rispetto delle forme democratiche di convivenza. La scuola dovrebbe cercare di trasmettere le conoscenze storiche, sociali, giuridiche ed economiche indispensabili nella formazione di una cittadinanza globale, tollerante e rispettosa, aperta al riconoscimento e allo scambio fra culture diverse.

Tutto ciò per contrastare sia la logica dell’assimilazione, sia la costruzione e il rafforzamento di comunità etniche chiuse; per favorire il confronto, il dialogo, il reciproco arricchimento attraverso la valorizzazione delle differenze e delle diversità.

Un’impostazione di questo tipo comporta azioni di tipo organizzativo e didattico, ma soprattutto richiede la revisione dei modelli culturali e implica l’attivazione di processi formativi volti ad “allenare” gli alunni alla molteplicità, facendo acquisire loro una particolare “forma mentis”. Un impegno molto gravoso, se si pensa quanto sia generalmente monoculturale la società e quindi anche la scuola. Dare attenzione all’interculturalità nella costruzione del curricolo implica un riesame della nozione di cultura, che deve essere in movimento, e non fossilizzata e stereotipata. È necessario rivisitare i linguaggi e i concetti etnocentrici, ampliandoli per fare spazio alla storia, alla geografia, agli aspetti culturali anche di quei paesi considerati marginali. Bisogna, quindi, mettere in campo tutta una serie di strategie volte a rielaborare i contenuti disciplinari, rendendoli adeguati alle strutture cognitive, socio-affettive, comunicativo-relazionali e motivazionali di tutti gli alunni. L’approccio interculturale del curricolo rimanda a un lavoro di ridefinizione e di ristrutturazione del curricolo verticale che inevitabilmente rimette in gioco saperi, metodologie, forme di comunicazione e atteggiamenti all’interno del gruppo in una prospettiva internazionale e internazionalista dell’educazione.

Può quindi essere necessario – e per me lo è stato – cercare di stravolgere la “didattica tradizionale” e dare un taglio diverso al curricolo lavorando su uno “sfondo integratore” trasversale a tutte le discipline. L’educazione interculturale, nella mia didattica quotidiana, non è un’aggiunta ai normali programmi didattici, da trattare in modo episodico, ma è il punto di partenza di ogni lavoro. Le attività, trasversali a tutte le aree di apprendimento e alle discipline sono mirate perciò a costituire e consolidare in ogni bambino il senso di appartenenza, la coscienza della propria identità culturale e delle proprie radici e nello stesso tempo la consapevolezza della propria pluri-appartenenza a gruppi culturali diversi. È altrettanto importante cercare di aiutare ognuno a superare il proprio punto di vista per entrare in quello dell'altro e favorire la possibilità di scambi e relazioni non centrati solo sulla propria individualità e identità. Tutto ciò non può prescindere, a mio avviso, dalla capacità di lavorare insieme e di condividere esperienze educative comuni nell’ottica del superamento del conflitto.

Lo scopo di questo mio approccio didattico è quello di dare una forte valenza educativa a ciò che viene proposto e di assegnare agli alunni una parte attiva nel processo di apprendimento. Il fine non è quello di “riempire” un vaso vuoto o di colmare mancanze: importante non è la memorizzazione quanto piuttosto suscitare interesse e far crescere la motivazione verso ciò che si propone. In questo modo il docente “perde” il ruolo di “unico detentore dei saperi” - quello che John Dewey definiva “rivoluzione copernicana in pedagogia” -, diventa “facilitatore” e, mutuando la pedagogia frenettiana ma anche Lodi e Don Milani, “compagno di avventure”. Ogni bambino nel suo percorso impara, anche attraverso le esperienze personali pregresse, una quantità di nozioni che sperimenta attivamente interagendo con la sua conoscenza, diventando così “soggetto” e non “oggetto” di apprendimento.

Il lavoro per temi/argomenti che caratterizza il Progetto di Sperimentazione “Insieme per un futuro più equo” attuato nella mia classe, mi pare utile per orientare e facilitare la comprensione da parte di tutti, cercando di spostare l’attenzione dalla centralità del programma alla centralità del bambino. La scelta condivisa degli argomenti nasce dalla loro necessità-curiosità di approfondire, tenendo conto della "pluralità dei punti di vista" e delle singole esperienze personali e culturali. La discussione nel circle time - angolo morbido, come lo chiamano i miei alunni per la presenza di un tappeto e di cuscini - diventa il punto di partenza della maggioranza dei temi da affrontare e approfondire. Un modo di fare scuola non certo “perfetto” e probabilmente discutibile perché differente dalla “normalità”, in cui cerco di mettere al primo posto la voglia di conoscenza e di confronto in un sistema in cui ognuno di noi cresce – io per prima - grazie agli altri e in cui lo scambio è reciproco.



[1] http://www.centrocome.it/?post_type=matepub&p=717

 

 

 

 

* Insegnante di scuola primaria, sperimenta da anni il Metodo Naturale di Célestin Freinet e il plurilinguismo in una classe multiculturale, si occupa di intercultura e di narrativa dell'infanzia