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Perché lo spread non scende più?

Gianpaolo Rossini - 02.04.2015
Quantitative Easing

Da quando è iniziato il quantitative easing (QE), ovvero l’acquisto di titoli  sovrani dei paesi euro da parte della BCE, lo spread tra tasso sui titoli di stato tedeschi a 10 anni e il corrispondente italiano non è sceso se non sporadicamente  e di poco.  Era a 103 il primo giorno del QE e rimane più o meno allo stesso livello con lievi variazioni. Lo stesso avviene per Spagna e altri paesi deboli. Perché? E la manovra della BCE prevista protrarsi fino ad autunno 2016 ha già esaurito i suoi effetti?

Lo spread era sceso parecchio nelle settimane precedenti l’inizio degli acquisti di titoli della Bce. Per i mercati finanziari contano gli annunci. Quando sono credibili gli operatori aggiustano immediatamente le loro posizioni in attività finanziarie anticipando cifre e tempi. Una volta che tutti i dettagli della operazione sono noti non si verificano più grandi cambiamenti. Gli operatori si muovono in anticipo. D’ora in poi sposteranno le loro posizioni  in maniera marginale e con effetti minimi sui tassi a meno di eventi inattesi. Per far cadere le mura di Gerico bastò il suono delle trombe a prova che gli uomini erano consapevoli della potenza della comunicazione e della parola fin dai tempi più remoti.

Gli acquisti della BCE non faranno diminuire ulteriormente i tassi neppure in Germania dove sono già vicini allo zero anche su scadenze lunghe. Le fastidiose distanze tra i tassi dei paesi più deboli da quelli teutonici potrebbero essere ridotte anche se non eliminate del tutto. Secondo regola, ora la BCE non acquista relativamente più Btp italiani di Bund tedeschi per ridurre lo spread tra Italia e Germania. E neppure lontanamente pensa di fare questo per la Grecia che soffre di uno spread tragicamente alto.  Anzi per ora di titoli greci non ne compra proprio.  La BCE acquista titoli in proporzione al peso che l’economia di ciascun paese ha in eurolandia. Per l’80% questi titoli restano in pancia alle banche centrali nazionali e quindi non impongono condivisione di rischi e di eventuali perdite tra i partners euro. Questa innovazione, introdotta in occasione della manovra in corso da inizio marzo, potrebbe essere un primo passo verso una maggiore autonomia delle banche centrali nazionali visto si devono accollare quasi per intero i rischi del QE. Qualcuno la pensa diversamente e afferma che si tratta di un primo passo verso la disgregazione dell’unione monetaria. Forse è vero. Ma cercando di pensare positivo questa potrebbe essere un’opportunità per ritrovare una politica monetaria unica, così come ce l’avevamo prima del 2009. Da allora eurolandia è invece orfana. Non gode di un unico tasso d’interesse perché gli spread lo frantumano in tanti bizzosi livelli privandoci così di uno dei pilastri di un’unione monetaria ovvero un tasso d’interesse uguale in tutte le aree dell’unione. Di una politica monetaria veramente unica beneficerebbero tutti. La Germania perché avrebbe tassi un po’ più alti, seppur di poco, evitando di alimentare bolle speculative nel suo settore finanziario e in quello immobiliare. I paesi periferici  vedrebbero alleggerite le loro pene finanziarie spingendone la crescita. Inoltre se i tassi salissero in Germania, grazie ad un QE non più proporzionale ma congegnato per conseguire una politica monetaria unica, i maggiori interessi finirebbero in gran parte nella pancia della Bundesbank e poi nelle tasche dei contribuenti tedeschi. Dunque nessun trasferimento di ricchezza da paesi del Nord a quelli del Sud.  Se invece la BCE prosegue con un acquisto di titoli secondo il rigido criterio della proporzionalità può addirittura accentuare gli spread invece che ridurli. I titoli di stato dei paesi virtuosi disponibili sul mercato sono relativamente meno di quelli dei paesi con conti pubblici meno sani. Quindi gli acquisti della BCE in forma rigida finiscono per far scendere troppo i tassi dei paesi già in salute e poco nei paesi con debiti più alti. Di conseguenza la politica monetaria potrebbe divenire ancora più disomogenea e inefficace rispetto agli scopi che si è prefissa di impedire la deflazione e di fare ripartire le economie, soprattutto quelle più deboli. Se poi la situazione greca dovesse peggiorare ulteriormente, interventi rigidi, ovvero non  a favore dei paesi più esposti al contagio, vanificherebbero non poco il QE. Meglio sarebbe se l’assicurazione di Draghi del 2013 di essere disposto a fare “whatever it takes” possiamo tradurla letteralmente con “tutto ciò che si richiede” includendo la possibilità di andare oltre le odierne inutili rigidità. Chissà. La speranza non muore mai.