Ultimo Aggiornamento:
11 maggio 2024
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Napolitano-Mattarella, dall'invettiva alla speranza

Luca Tentoni - 05.02.2022
Giuramento Mattarella

Giovedì abbiamo ascoltato il secondo discorso di rielezione di un Capo dello Stato. Rispetto al precedente del 2013, quando Giorgio Napolitano colse l'occasione per sferzare i partiti che l'avevano costretto ad un sacrificio più grande delle proprie forze, necessitato dalle circostanze di un Paese che allora era senza un governo e stentava a scegliere il Capo dello Stato, il panorama è cambiato. Non nell'emergenza, come Mattarella ha ricordato: la pandemia ha anzi aggravato problemi già esistenti, ampliato la sofferenza sociale ed economica. Se però nel discorso di Napolitano si avvertiva la tensione verso la classe politica incapace di trovare soluzioni, nelle parole di Mattarella si è colto un nuovo inizio, per il Parlamento e per l'Italia. Napolitano puntò molto sulla drammaticità e sul rimprovero; Mattarella ha scelto la "pars construens". Quello di ieri è stato il discorso del riscatto di un Paese provato ma che ha grandi potenzialità e un’eccezionale guida morale al Quirinale. Le Camere tornano centrali: lo si capisce col riferimento al "necessario, indispensabile dialogo collaborativo fra Governo e Parlamento" e all'importanza che quest'ultimo "sia sempre posto in condizione di poter esaminare gli atti fondamentali e valutarli in tempi adeguati". In altre parole, Mattarella augura buon lavoro e un futuro fattivo al governo Draghi, mentre lo esorta a valorizzare il Parlamento, mettendo fine all’abitudine della Seconda Repubblica di comprimere il dibattito delle Camere sulla legge di bilancio e su altri atti importanti. E c’è il richiamo al "ricorso ordinato alle diverse fonti normative, rispettoso dei limiti posti dalla Costituzione", per uscire dall'emergenza anche sul piano della legislazione. Si riparte, dunque, dal Parlamento che nel 2013 applaudì ipocritamente Napolitano che fustigava i politici e che ieri, invece, ha riservato ancora più ovazioni - stavolta sincere, perché è stato un discorso rivolto a tutti, di altissimo profilo morale e politico - al "progetto di Italia" delineato da Mattarella. Se Napolitano aveva detto di non poter compiere l'intero secondo mandato, Mattarella ha invece ripreso il filo del discorso del settennato precedente e ha rilanciato, parlando delle urgenze (sanitaria, economica, sociale) ma ribadendo che è da due punti che si deve ripartire: "l'Italia è un grande Paese" che deve costruire il "dopo emergenza"; la parola chiave del futuro deve essere "dignità", per tutti. Il discorso del presidente, ieri, è stato apprezzato perché ha descritto l’Italia di oggi così com’è, indicando il percorso che al Parlamento e al Governo spetta compiere, ma anche le risorse che la società possiede e quelle che le forze politiche devono ritrovare (come veicoli di socializzazione: ha parlato di partiti che devono diventare "coinvolgenti"). Se l'Italia vuole uscire dall'emergenza deve "crescere in unità" superando le diseguaglianze territoriali, sociali, economiche. Soprattutto, deve riflettere "sul funzionamento della nostra democrazia" (per esempio con la riforma della Magistratura) rendendo più veloci le decisioni e rispettando i percorsi di garanzia. Temi come la promozione del ruolo della cultura, la valorizzazione della scuola, l’attenzione alle autonomie e all’Europa sono pilastri dell'azione futura. Il tutto, nella "lectio magistralis" che Mattarella ha voluto dare sulla dignità, declinata e declinabile nel futuro in tutte le situazioni e casi nei quali oggi è negata o negletta: "la dignità come pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione civile". La speranza siamo noi, come ha ricordato citando David Sassoli. Da ieri, il 2013 è ancora più lontano: il futuro è ormai scritto nella nostra responsabilità.