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27 marzo 2024
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Lo sguardo del Terzo Settore su EXPO 2015

Miriam Rossi * - 19.02.2015
Slowfood EXPO 2015

C’è chi la ama e c’è chi la odia a prescindere. C’è poi chi si è fatto un’idea sulla base dell’enfasi posta dagli organizzatori sui numeri grandiosi della manifestazione e c’è chi la collega a cantieri in ritardo, corruzione e appalti truccati, sulla scorta dell’impronta giornalistica sinora conferita all’evento dal circuito organizzativo. L’Esposizione Universale di Milano, la cosiddetta Expo, ha già diviso l’opinione pubblica. E non solo. “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, il filo conduttore per esposizioni, convegni ed eventi culturali dei 184 giorni dell’evento clou milanese non poteva non mobilitare gli addetti ai lavori del Terzo settore, quello dell’assistenza e della cooperazione internazionale, che di giorno in giorno sono chiamati a individuare la corretta ricetta per uno sviluppo sostenibile.

Prima ancora di aprire le porte alle riflessioni e ai dibattiti dei 20 milioni di visitatori stimati, la partecipazione ad Expo è da mesi divenuta oggetto di scontro tra le organizzazioni che si occupano di alimentazione ed energie alternative. La condivisione del presupposto della fallibilità e dei comprensibili limiti di singoli progetti è fuori questione, così come la percezione della globalità della sfida per individuare nuovi modelli di sviluppo volti a garantire cibo e acqua a tutta la popolazione mondiale, salvaguardando inoltre la biodiversità e la salute del pianeta. La contrapposizione non sta dunque tanto nella percezione della necessità di agire, da subito, per una modifica delle strategie globali sullo sviluppo sostenibile, quanto nel confronto tra l’industria e le agenzie mondiali da un lato e i molti piccoli coltivatori dall’altro, tra assicurare il diritto al cibo a ogni costo e fare invece ricorso solo alle risorse di un territorio e della comunità che lo abita, anche a scapito di una importazione di prodotti o di una produzione più intensiva che consentirebbe di sfamare tutta la popolazione ma con costi elevati in termini ambientali, economici e ambientali: in sostanza, tra promuovere la sicurezza alimentare oppure la sovranità alimentare. Mentre però la macchina organizzativa di Expo procede per la sua strada nel sempre più concitato conto alla rovescia verso l’apertura del prossimo primo maggio, il Terzo Settore si mostra estremamente diviso e frastagliato nel suo approccio, quasi a dare testimonianza del “magma caotico” (ben descritto da Giovanni Moro in “Contro il no profit”) che in esso converge.

Sono molte le organizzazioni, associazioni, fondazioni, enti non governativi che, pur occupandosi di nutrizione ed energie alternative, non parteciperanno a Expo, negando alla manifestazione quella testimonianza e quelle expertise accumulate nei settori dell’agricoltura, della produzione, del commercio dei prodotti e della ricerca scientifica che potrebbero essere determinanti per dare risposte concrete ed efficaci alla sfida lanciata alla comunità internazionale. Non convince il modello proposto dalla vetrina mondiale di Expo: una grandiosa manifestazione che appare ipocritamente riverniciata di temi “green”, equi e solidali promossi proprio da quegli Stati, quelle multinazionali e quelle società che ogni giorno si macchiano di crimini ambientali indelebili, di sfruttamento del lavoro, di impoverimento (se non di sottrazione) di risorse naturali non rinnovabili. Una percezione rafforzata da sponsor quali Nestlé e McDonald’s, poco noti per produrre cibi sani e nutrienti né tantomeno per policy ambientali e lavorative esenti da macchie; o anche l’assai contestata Monsanto, il colosso mondiale delle sementi e dei prodotti chimici per l’agricoltura. Il margine di dialogo tra le parti sarebbe stato fra l’altro ridotto, se non annichilito, dalla priorità concessa dagli organizzatori di Expo alle logiche di queste potenti aziende, unita alla cementificazione degli oltre 1.700 ettari di terreni agricoli per le strutture, ai prezzi esorbitanti per ottenere spazi espositivi, alla gratuità delle prestazioni lavorative dei molti giovani impiegati.

Non tutti gli esponenti del settore sono d’accordo con i contestatori dell’Expo e con lo slogan “il pianeta si nutre da solo – No Expo”. Perché se è vero che esistono ragioni per criticare la manifestazione, lo è altrettanto che si tratta di un’occasione unica per partecipare a un dibattito globale e incentivare lo scambio di buone pratiche, per coinvolgere e rendere più consapevole la società civile, ignara o disinteressata di certi problemi, per porre sotto gli occhi dei media le soluzioni ideate anche da piccole realtà. In questa interpretazione, partecipare a Expo equivale ad accettare la sfida per costruire, insieme, un mondo migliore e sostenibile. È per questa ragione che “Vita”, la rivista del mondo del No Profit, ha scelto di dedicare il numero di gennaio a un lungo approfondimento a Expo, nel quale ha individuato 10 elementi validi per valorizzare al meglio l’esperienza e ricalibrare l’approccio all’evento: dalla constatazione che Expo costituirà un moltiplicatore di idee e di imprese che puntano su temi assolutamente condivisibili per lo sviluppo, alla creazione di “cluster”, ossia la coabitazione in padiglioni dedicati a comuni culture alimentari per quei Paesi che non possono permettersi una presenza autonoma all’Esposizione. Nella “battaglia” sul cibo il Terzo Settore italiano potrà inoltre puntare sulla forte rappresentanza di Coldiretti e su un brand internazionale di prestigio come Slowfood, due baluardi contro l’omologazione. Infine, ma fondamentale, alla società civile è stato dedicato un apposito spazio nel cosiddetto, “Expo dei popoli. Modelli alimentari alternativi”, che si terrà nella Cascina Triulza contestualmente alla grande manifestazione, in una posizione strategica rispetto ai padiglioni dove si svolgeranno i lavori. In fin dei conti, dunque, si cercherebbe invano una “guida” unica del Terzo settore a Expo, così come non ne esiste (ancora) una per i problemi globali legati alla nutrizione e all’energia.

 

 

 

 

* Redattrice di Unimondo e Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali