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L'analisi del sabato. Fra due referendum, verso la Terza Repubblica

Luca Tentoni * - 11.07.2015
Matteo Renzi e Alexīs Tsipras

In dieci mesi e fra due referendum la situazione politica, economica e internazionale potrebbe prendere direzioni del tutto impreviste e imprevedibili. Il voto di Atene del 5 luglio e quello italiano (nella tarda primavera del 2016) sulla revisione costituzionale sono altrettanti passaggi cruciali di due vicende ben diverse fra loro. Visti in un'ottica più ampia, tuttavia, sono due eventi che possono rappresentare le tappe di un processo che ci porterà comunque verso nuovi equilibri nazionali e internazionali. Comunque vada a finire la vicenda del debito greco, l'Europa non sarà più la stessa. Sarà più forte o più debole, a seconda delle risposte che gli attori politici nazionali e quelli sovranazionali comunitari sapranno dare. Così in Italia: al di là del dibattito sulla forma, i poteri, l'elezione dei componenti del nuovo Senato (e persino oltre la stessa approvazione o meno, al referendum confermativo, del testo che uscirà dal Parlamento) avremo in ogni caso un prima e un dopo. Come nel '93 (anno di altri importanti referendum) o, andando indietro, nel '74 (altro referendum, sul divorzio) o ancora nel '64 (il "rumore di sciabole") o nel '60 (il governo Tambroni) o nel '46-'48 (fra voto per la Costituente e successive prime elezioni per Camera e Senato segnate dalla vittoria della Dc), ci troveremo, alla fine dei prossimi dieci-undici mesi, al cospetto di un altro cambiamento irreversibile, di qualsiasi segno sia. Il sistema dei partiti sta già cercando un nuovo assetto, che sarà faticosamente raggiunto (come nel periodo '91-'95) soltanto dopo una serie di sperimentazioni e aggiustamenti non sempre indolori. L'andamento dell'economia nazionale (che ebbe un peso anche nelle crisi di sistema degli anni '60, '70, '90) avrà un ruolo di primo piano, essendo peraltro legato ad un contesto internazionale ora più difficile da decifrare. Il tutto, senza considerare la minaccia terroristica e possibili destabilizzazioni di aree non troppo lontane dall'Italia, che potrebbero ulteriormente influenzare la situazione. In questo quadro la politica italiana potrà ancora cercare di gestire il cambiamento, se ne sarà capace o se ne avrà concretamente la voglia. Sarà interessante capire, in questi lunghi mesi, come (e se, ma soprattutto quanto) il sistema produttivo nazionale si dimostrerà capace di risollevarsi dalla crisi e quale politica economica cercherà di promuovere lo sviluppo. I mutamenti all'architettura istituzionale (sebbene stiano seguendo la tendenza di quelli del 2001 e del 2005: quella, cioè, di venir approvati da maggioranze sensibilmente più ristrette di quella che diede vita alla Carta Fondamentale repubblicana nel dicembre 1947) dovranno misurarsi con il difficile momento delle Regioni, che attraversano una flessione di consenso evidenziata anche dall'alta astensione fatta registrare in occasione del voto del maggio 2015. Il "Senato delle Regioni" è un'idea che risale ai tempi della Costituente ma fu rilanciata anche nel 1975 da Nicola Occhiocupo in un suo famoso libro e ripresa periodicamente durante la Seconda Repubblica: il problema che ci si dovrà porre in questi dieci mesi (prima della richiesta di un "sigillo" nelle urne) è come restituire smalto e popolarità ad istituzioni locali che nel prossimo futuro potrebbero essere chiamate (in caso di vittoria dei "sì") a farsi rappresentare a Palazzo Madama in misura pari ai tre quarti dei seggi dell'Assemblea. Del resto, com'è noto, sono soprattutto le persone che "fanno" le istituzioni, permeandole del proprio modo di intenderle. Un discorso analogo può farsi per la legge elettorale, che ha ora una configurazione precisa (l'Italicum) ma non ancora la vigenza (l'avrà nella seconda metà del 2016, verosimilmente poche settimane dopo il referendum confermativo costituzionale). Sebbene l'Italicum tenda a incanalare i processi politici verso aggregazioni monopartitiche o liste comuni (il premio, salvo novità che non vanno escluse, è al partito, non alla coalizione) non è detto che l'attuale configurazione fluida dei poli possa essere superata agevolmente col ricorso alle leadership o ai progetti politici "single-issue" (l'atteggiamento sull'euro, per esempio). Soprattutto se fra i quattro competitori maggiori (il Pd, il M5S, la Lega con o senza centrodestra e il non voto) l’unico “partito” capace di raccogliere consensi da tutti e senza limitazioni è quello dell'astensione. La mobilitazione dell'elettorato, dunque, e la "rimobilitazione repubblicana" verso un nuovo sistema più funzionante e partecipato, dipenderà dalla politica, ma soprattutto dalle politiche, cioè dalla qualità di argomenti e proposte, dalla capacità di disegnare un progetto coinvolgente per il Paese che vada oltre le necessità di vincere le prime elezioni utili per conquistare il "potere". Nel viaggio verso la Terza Repubblica l'Italia appare ancora poco e mal equipaggiata. Quello "spirito repubblicano" che in Francia fa discutere aspramente i partiti sulla possibilità che uno di essi (quello di Sarkozy) si fregi dell'aggettivo, da noi appare poco diffuso (o, almeno, si nasconde molto bene). Non è questo, però un motivo per non cercare di affrontare con senso di responsabilità il tempo che ci viene incontro, in un appuntamento non più procrastinabile.

 

 

 

 

* Analista politico e studioso di sistemi elettorali

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