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La nebbia cognitiva, effetto del Covid
Una ricerca pubblicata sul New England Journal ha avvalorato alcune evidenze cliniche postume riscontrate in chi è stato affetto una o più volte da COVID 19: oltre all’insonnia, la depressione, la sofferenza cardiaca, i disturbi alimentari e intestinali questa pubblicazione si è soffermata su una sensazione diffusamente percepita e fatta oggetto di approfondimenti anche in termini comparativi tra soggetti che ne manifestano i sintomi: mi riferisco al cd. “brain fog” – in italiano “nebbia cognitiva” i cui epifenomeni sono in prevalenza stati confusivi, perdita di memoria, disturbi di concentrazione, disorientamento, difficoltà e fatica a connettere discorsi o azioni anche recentissimi della vita quotidiana.
Per chi è no-vax o negazionista preconcetto si tratta di fantasticherie e suggestioni: la ricerca inglese ha testato un campione di circa 113 mila pazienti, scandagliando nel prima e nel dopo Covid e riscontrando addirittura una ‘diminutio’ cognitiva fino a 6 punti nel quoziente di intelligenza che diventano addirittura 9 nei pazienti ospedalizzati in terapia intensiva.
Che il SARS -Cov2 fosse una brutta bestia lo abbiamo ampiamente e scientificamente riscontrato in questi quattro anni di emergenza pandemica: il Coronavirus compare, scompare, ritorna sotto mentite spoglie poiché uno dei fenomeni più evidenti è dato dalla sua cangianza e dalle mutazioni genetiche, le cosiddette “varianti” che fanno tirare