Ultimo Aggiornamento:
20 aprile 2024
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La corsa al Colle

Luca Tentoni - 06.11.2021

Il dibattito sull'elezione del Capo dello Stato è iniziato da alcune settimane, praticamente quando alla riunione dei Grandi Elettori mancavano ancora tre mesi. Si sono fatte molte ipotesi: troppe, bruciandone alcune e lanciandone altre che hanno suscitato speranze malriposte o infondate. Persino Berlusconi, ottantacinquenne, si augura (vanamente, si auspica) di essere eletto con i voti del destracentro e magari di un Renzi al quale, dal Colle, potrebbe essere tentato di "donare" Forza Italia (forse è fantapolitica, forse no). Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla disputa sul "semipresidenzialismo" innescata dalle frasi di Giorgetti inserite nell'ennesimo libro natalizio di Vespa. Sebbene il semipresidenzialismo non sia un'istituzione "di fatto" ma abbia le sue regole e la sua interpretazione più pura e importante in Francia, si crede che la semplice azione del Quirinale - sia pure autorevole, nel caso dei governi ispirati dal Colle come l'Esecutivo Draghi - si possa in qualche modo appena solo accostare a quella d'Oltralpe. Un'eresia, dal punto di vista dottrinale. Vero è, invece, che i poteri del nostro Capo dello Stato sono "a fisarmonica" e che dunque si possono espandere ma mai fino a fare del Presidente del Consiglio il proprio Primo ministro, una sorta di valletto del Presidente della Repubblica. Anche perché, com'è leggi tutto

La fine del "traino dei sindaci"

Luca Tentoni - 09.10.2021

Sull'esito del primo turno delle elezioni amministrative è stato scritto molto, soprattutto per quanto riguarda le liste e le coalizioni. È passato invece un po' sotto silenzio il rendimento reale dei candidati sindaci. Il destra-centro ha scaricato l'insuccesso nelle metropoli sugli aspiranti primi cittadini (dopo averli scelti) ma forse bisognerebbe guardare oltre, anche al centrosinistra. Ad una coalizione che - in due casi col M5s - ha saputo mettere insieme un milione e 56mila voti (compresi quelli ai candidati sindaci) nelle sei metropoli andate alle urne, col 43,3% delle liste, si può dire poco, soprattutto se si considera che il destracentro si è fermato al 31,5% e 772mila voti (fra liste e consensi ai candidati sindaci). Eppure, qualcosa non torna. Se i due maggiori schieramenti hanno raccolto nelle sei "capitali regionali" (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Trieste) il 74,8% dei voti di lista, spazzando via i "terzi incomodi", è però vero che i voti ai soli candidati sindaci dei due poli ammontano solo al 55,3%, cioè 103,9 mila sui 187,6 totali. La facoltà di esprimere un voto solo per il candidato sindaco è ormai utilizzata da pochi (75 votanti su mille), però si tratta di espressioni di consenso alla persona che hanno un valore politico. A Roma, per esempio, è successo di tutto: su 94.959 leggi tutto

L'egemonia fragile

Luca Tentoni - 11.09.2021

Manca poco, ormai, al voto per il rinnovo dei consigli comunali di sei importantissimi capoluoghi regionali (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Trieste). Cinque anni fa si votò in condizioni politiche e sociali completamente diverse da quelle odierne: da allora, la leadership di Renzi è tramontata (con la doppia pesante sconfitta al referendum del '16 e alle politiche del '18), poi c'è stato il periodo d'oro del M5s (iniziato col 32% dei voti nel 2018 e finito già alle europee del 2019), quindi abbiamo avuto il boom della Lega alle scorse europee (34% nel 2019) che ora è sostanzialmente rientrato (il partito di Salvini ha ora circa il 19%, cioè poco più del 17% delle politiche); oggi in vetta è Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, cioè quello che fino a due anni fa era un piccolo-medio partito e che oggi supera il 20% dei voti (ma quanto durerà?). Fatto sta che siamo di fronte ad un fenomeno ormai duraturo, tipico della fase di scomposizione (si potrebbe anche dire: di decomposizione) del secondo sistema dei partiti della Repubblica. L'"egemonia fragile" caratterizza gli anni dal 2014 in poi: ciascuno a suo tempo - prima il Pd ('14-'17), poi il M5s ('18-'19), poi la Lega ('19-'21), ora FdI - ha avuto un buon numero di consensi ed esercitato una presa sull'elettorato e sull'opinione pubblica. leggi tutto

I limiti di una classe dirigente

Luca Tentoni - 17.07.2021

I mugugni del M5s sulla riforma della giustizia sono emblematici non soltanto della difficoltà di stare in una coalizione eterogenea (i pentastellati, però, dovrebbero aver imparato qualcosa durante le due precedenti esperienze di governo), ma soprattutto di come sia complicato far entrare le forze politiche italiane in una logica di riassetto complessivo del sistema istituzionale. Decenni di immobilismo - o di riforme fatte male o con intenti personalistici o ideologici - possono ora essere spazzati via grazie al Recovery Plan e agli impegni assunti dal Paese. Su giustizia, fisco, pubblica amministrazione possiamo e dobbiamo cambiare, ma c'è sempre il problema delle "bandierine" (come le chiama Draghi). Sull'obbligo vaccinale le destre (che sanno di avere svariati sostenitori fra gli scettici, se non anche fra qualche settore "no vax") minacciano le barricate se passerà anche da noi la "linea Macron". Certo, quest'ultimo non è un tema da Recovery Plan (così come non lo è il ddl Zan, sul quale infuria la battaglia) ma ci restituisce bene il senso della situazione. I partiti sono ingabbiati nella coalizione attuale e nell'intelaiatura disegnata fino al 2026 dal programma europeo, ma non hanno affatto intenzione di esercitare la propria ragionevolezza. Pochi mesi con Draghi fanno già fibrillare la maggioranza: lo si leggi tutto

La battaglia sui sondaggi

Luca Tentoni - 16.06.2021

Poiché il mondo politico non riesce ad occuparsi d'altro (per fortuna, i provvedimenti più importanti e le scelte da compiere sono nelle mani di Draghi) c'è bisogno di scatenare qualche polemica di corto respiro. L'ultima è sui sondaggi. Salvini non gradisce che le rilevazioni demoscopiche diano Fratelli d'Italia (e persino il Pd, che tanto in crisi forse non è, differentemente da ciò che reputano alcuni settori minoritari del partito) alla pari col Carroccio, se non addirittura sopra la Lega. Non sfugge a nessuno che l'appello dell'ex vicepremier a Berlusconi per dar vita ad un "rassemblement" fra i due rispettivi partiti è una manovra per evitare a Salvini di dover cedere prima o poi la leadership del destra-centro (in base alla vecchia norma del Cavaliere in base alla quale il capo della coalizione di centrodestra è quello del partito che ha più voti). Ad oggi, Lega e FI valgono rispettivamente fra il 19 e il 22% la prima e fra il 6 e il 9 la seconda. Complessivamente oscillano fra il 26,5 e il 29,5%, teoricamente. Ciò vuol dire, considerando che una parte dei forzisti non approva "connubi" con la Lega e che quest'ultima subisce un'erosione a destra (che sarebbe verosimilmente accentuata dall'ingresso di Salvini e dei suoi nel PPE), che leggi tutto

La corsa al Quirinale

Luca Tentoni - 19.05.2021

La battaglia per il Quirinale è ormai iniziata, ma - differentemente rispetto alle altre volte - non sono i candidati a cercare consensi e a costruire aggregazioni e partiti trasversali. Stavolta, a guidare il gioco, è una questione di metodo che nasconde un problema politico. Da un lato, Sergio Mattarella conclude il suo mandato a fine gennaio 2022, quindi è verosimile che il collegio dei Grandi elettori (senatori, deputati, consigli regionali) si riunisca nella prima metà del mese, subito dopo l'Epifania, per scegliere il successore. Ad oggi, i candidati sono due e mezza, se ci si permette l'espressione, perché il principale è Mario Draghi, poi arriva l'improbabile bis (a tempo, come vedremo) di Mattarella e infine la scelta di una terza personalità come Marta Cartabia (una outsider che, a sorpresa, potrebbe farcela). Ad ogni nome corrisponde uno scenario politico. L'elezione di Draghi provocherebbe l'immediata fine del suo governo, dunque i partiti dovrebbero trovare subito un nome per un nuovo presidente del Consiglio: ma Salvini vuole le elezioni e può sfasciare tutto, a meno che Forza Italia non confermi il sostegno alla coalizione con Pd, M5s, Leu e centristi, dando vita ad una "maggioranza Ursula" forse guidata dalla Cartabia. Se non si votasse, Draghi non potrebbe comunque far leggi tutto

L'Italia dell'antipolitica

Luca Tentoni - 14.04.2021

L'antipolitica è ormai la cifra distintiva della nostra epoca. Dalla fine della Prima Repubblica si sono affermate forze che - usando l'antipolitica e aggiungendovi una buona dose di populismo - hanno conquistato consensi: da Forza Italia al M5s, passando per la Lega. Il tutto, oscillando fra il disprezzo della “Casta” (che è sempre riferita agli avversari politici, ovviamente, e rispetto alla quale i nuovi soggetti si proclamano estranei) e la messa in discussione della democrazia parlamentare, giudicata inefficiente, corrotta e - talvolta - persino inadeguata a rappresentare il popolo (la lotta dei primi Cinquestelle al divieto di vincolo di mandato è solo una delle tappe di una lunga storia, che ogni tanto contempla anche la favola bella dei “governi non eletti”, quando - come si sa bene - nessun governo è eletto direttamente, come spiega bene la Costituzione a chiunque abbia un minimo di alfabetizzazione). C'è chi, come Roberto Chiarini (nel suo “Storia dell'antipolitica dall'Unità ad oggi”; Rubbettino, 2021) superando il “disinvolto ricorso che si usa fare del vocabolo antipolitica con il facile impiego nella polemica spicciola dei partiti” cerca di individuare e analizzare i “troppi e diversi motivi e progetti che animano il rigetto della politica”, al di là del semplice “chiamarsi fuori”. Lo studioso individua due reazioni: una, leggi tutto

Il PD e la legge elettorale

Luca Tentoni - 17.03.2021

Nel suo discorso di investitura alla segreteria del Pd, Enrico Letta ha archiviato la stagione della "vocazione maggioritaria" per tornare ai tempi delle coalizioni prodiane, quelle che - come l'Unione - non puntavano ad escludere ma ad includere, stante anche la presenza (nel 1996 e nel 2001) di un sistema misto a prevalenza maggioritaria uninominale ad un turno come il "Mattarellum" (nel 2006 c'era il "Porcellum", che se dava un premio certo alla Camera, era una lotteria per i premi regionali del Senato, come Prodi purtroppo constatò a sue spese). Se Letta intende ripartire dal Mattarellum (che, come spiegava Sartori, non era certo il sistema migliore possibile) per andare oltre, guardando per esempio al doppio turno uninominale "alla francese" (in uso anche in gran parte del periodo dell'Italia liberale) la proposta è senza dubbio incoraggiante, perché costringe le forze politiche - soprattutto quelle pulviscolari del centro e della sinistra, cioè tutte tranne Pd e M5s - a compiere delle scelte precise: aderire ad una coalizione estesa, nella quale ognuno ha il suo spazio e la sua voce ma non il potere di ricatto, oppure restare fuori e scomparire. Il problema è che, col Mattarellum, chi resta fuori può sopravvivere, anzi può persino diventare determinante, perché la parte proporzionale e leggi tutto

I numeri del governo Draghi

Luca Tentoni - 17.02.2021

Il governo Draghi è il diciassettesimo della Seconda Repubblica (o il diciottesimo, se aggiungiamo il governo Ciampi del 1993-'94, di transizione). Rispetto ai governi della Prima Repubblica, quelli della Seconda sono stati molto più longevi: 542 giorni medi in carica più 34 circa per l'ordinaria amministrazione, per un totale di 576, contro i 313 più 33,5 della Prima (totale 346,5). In altre parole, se fino al 1992-'93 ogni presidente del Consiglio poteva ragionevolmente pensare di restare a Palazzo Chigi per non più di undici mesi e dieci giorni per volta, dal '94 in poi l'aspettativa di permanenza è salita a circa diciotto mesi. Inalterata, invece, la durata media delle crisi. Però, nella Seconda Repubblica, bisogna distinguere fra situazioni molto diverse fra loro: in quattro casi (1996, 2008, 2013, 2018) il nuovo governo si è insediato dopo una lunghissima transizione dovuta alle elezioni, quindi l'interregno medio è durato ben 107 giorni. Negli altri casi, la durata delle crisi è stata minima: da due a diciassette giorni (media: 10). In sintesi, la crisi che ha portato al governo Draghi è stata la più lunga di quelle "ordinarie" ma è durata la metà rispetto alla media della Seconda Repubblica (34,4) e addirittura i cinque sesti in meno delle quattro più lunghe (107). La portata della congiuntura politica e - per certi versi - anche istituzionale seguita alle dimissioni di Conte leggi tutto

Un discorso di alta politica

Luca Tentoni - 06.01.2021

C'è chi, ascoltando superficialmente il discorso di Mattarella, avrà pensato che il presidente, per l'occasione, abbia preferito evitare temi politici. Si tratta di un grave errore di valutazione: chi (come l'autore di questo articolo) ha commentato per i quotidiani i discorsi quirinalizi di fine anno dal 1993 in poi, ha compreso bene che quella di Mattarella è stata un’allocuzione eminentemente politica. La pandemia, la necessità di sconfiggere la mentalità antiscientifica, il nuovo ruolo dell'Europa che ha costretto i sovranisti sulla difensiva, l'importanza di allocare nel migliore dei modi i fondi del Next Generation, la sottolineatura sull'aumento delle diseguaglianze e sulle fragilità del Paese sono tutti argomenti politici, ma che vanno oltre le polemiche quotidiane da pollaio. Il Capo dello Stato si è dimostrato in sintonia con le reali esigenze degli italiani, con la scala di priorità imposta dai fatti e non da qualche leader in cerca di potere o desideroso di mantenere a tutti i costi quello acquisito. Mattarella è sembrato dire agli attori del sistema partitico che adesso c'è altro di cui occuparsi: "è questa la realtà, che bisogna riconoscere e affrontare". Non è certo il caso di perdere tempo, perché "non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte"; è questo il leggi tutto