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Valls il riformista: niente di nuovo sotto il sole?

Michele Marchi - 01.11.2014
Martine Aubry e Manuel Valls

La recente intervista al rinnovato “L’Obs” (“Le Nouvel Observateur”) del Primo ministro francese Manuel Valls è il “piatto forte” del dibattito politico francese. Valls è entrato con una certa decisione nella querelle che si è aperta dopo il rimpasto di governo di fine agosto e nel tentativo conseguente di strutturarsi di una vera e propria “opposizione interna” al PS, guidata dagli ex-ministri Filipetti, Hamon e Montebourg. A questi, peraltro, si è aggiunta dopo mesi di silenzio Martine Aubry, con una tagliente intervista il 19 ottobre scorso. Il tutto deve poi inserirsi nel quadro degli Stati Generali del PS, voluti dal segretario Cambadèlis, la cui conclusione è prevista per inizio dicembre.

Insomma i socialisti si dividono, litigano, meditano scissioni. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire. La storia del socialismo francese è ricca di duelli, ideologici e personali. Senza rimontare alle differenze tra Guesde e Jaurès, si può ricordare lo scontro Blum-Mollet, all’indomani della Seconda guerra mondiale, passare a quelli tra Mitterrand e Rocard per giungere, naturalmente semplificando e sintetizzando, alla “rissa” tra Aubry e Segolène Royal nel 2008, dopo il congresso di Reims. In questo ennesimo scontro all’interno del PS alcune novità devono essere considerate.

Intanto bisogna partire dalle parole di Valls. Il Primo ministro in carica ha parlato di una sinistra “pragmatica, riformista e repubblicana”. Ha poi ribadito di non voler pronunciare il termine “socialista” e ha aggiunto di non escludere l’ipotesi di cambio del nome “parti socialiste”. Ha poi proseguito affermando che l’ideale della sinistra del XXI secolo deve essere l’emancipazione dell’individuo, ha ribadito come non sia possibile “militare nel XXI secolo come si militava nel XIX” e infine ha chiuso preconizzando la creazione di una casa comune di tutti i riformisti francesi, compresi quelli che oggi abitano quella sorta di terra di nessuno che è il centro, nel sistema politico francese. Dal punto di vista italiano viene da chiedersi se a parlare fosse Manuel Valls o Matteo Renzi. Certamente il “modello italiano” ha un certo appeal in questa fase oltralpe. Ma il punto in questione è un altro. Valls ha voluto rispondere all’ala sinistra del partito (in 39 non hanno votato la legge di bilancio) e a Martine Aubry, che quattro giorni prima aveva avanzato la necessità di ricostruire una forza politica socialdemocratica. Ma il dato da sottolineare è che Valls non ha fatto altro che ribadire concetti già espressi e chiariti da tempo. Per la precisione nel 2008 nel suo pamphlet Pour en finir avec le vieux socialisme … et être enfin de gauche! aveva con precisione e metodo stilato il programma per una rifondazione o meglio dire una decostruzione del socialismo francese. Se si cerca ancora conforto nella storia del socialismo, Valls riattualizza concetti già espressi da Michel Rocard a fine anni Settanta (già allora ci si batteva contro l’“arcaismo” del socialismo francese) e poi ripetuti dallo stesso Rocard, oramai marginalizzato da Mitterrand, nel 1993. A poche settimane dalla clamorosa debacle delle legislative del 1993 (quella che apre alla seconda coabitazione e soprattutto quella del PS ridotto a 50 deputati, con la coppia RPR-UDF ad oltre 450), l’ex Primo ministro ribadiva la necessità che il socialismo francese si aprisse ideologicamente ed elettoralmente al riformismo e al centrismo. Insomma di nuovo molto rumore per nulla e niente di nuovo sotto il sole?

La novità c’è, al contrario, ed è almeno duplice. L’intervista “maligna” di Valls è opera del Primo ministro in carica, cioè di colui che, insieme ad Hollande, sta cercando di governare un Paese nel bel mezzo di una profonda crisi di natura economica e sociale e di conseguenza anche politica. Non siamo di fronte alle parole di un peso massimo del partito impegnato in una “querelle di bottega”. In secondo luogo di notevole importanza è la tempistica. Le parole di Valls arrivano a metà del mandato di Hollande, con almeno diciotto mesi davanti prima che si apra ufficialmente la nuova campagna elettorale. Quali le reali intenzioni di Valls? E il presidente Hollande può essere considerato estraneo a questo dibattito?

Naturalmente si è entrati nel campo delle ipotesi. Ma forse qualcuna è lecito avanzarla. Prima di tutto Valls è consapevole che se, come previsto, Sarkozy conquisterà la guida dell’UMP, il PS reagirà compattandosi in funzione anti-sarkozista e di conseguenza la possibilità, già remota, di una scissione a sinistra tramonterà. Per questo motivo “maltrattare” l’ala sinistra del partito non è poi così rischioso. In secondo luogo Valls ha preso atto di come sia oramai opinione comune, a livello generale ma anche fra i militanti socialisti, che Hollande difficilmente potrà essere candidato alla sua successione e come si prospetti per il 2017 uno scontro tra Marine Le Pen e chi vincerà il “duello” Sarkozy-Juppé. Se si accredita questa visione, ogni giorno è quello propizio per avviare la rifondazione del partito, vero obiettivo di quelli che ad oggi sono i due principali contendenti, lo stesso Primo ministro e Martine Aubry. Vi è però anche un’ultima ipotesi da non sottovalutare. E questa volta un posto di rilievo spetta al presidente in carica. E’ vero che i sondaggi sono impietosi, ma Hollande resta pur sempre in carica e può sfruttare tutte le prerogative che il sistema istituzionale gli offre (tra le altre, la minaccia di uno scioglimento che manderebbe a casa la maggior parte dei deputati socialisti). Peraltro Hollande potrà non essere adeguato per incarnare la presidenza, ma è senza dubbio un fine politico e conosce a menadito gli equilibri interni al mondo socialista. Per questo motivo non è da escludere che la coppia Hollande-Valls, che conduce da sei mesi quella che molti in Francia definiscono una sorta di “coabitazione amichevole”, abbia stretto un tacito accordo, una sorta di suddivisione dei compiti, caratteristica peraltro del settennato. All’inquilino dell’Eliseo il compito di “rassembler”, di unire e cercare di “apaiser”. Al Primo ministro quello di leader della maggioranza parlamentare e insieme del partito, che ha il dovere di sferzare e se necessario allargare o comunque modificare il perimetro del sostegno a Presidente e governo. Il tutto perlomeno sino alle prossime elezioni regionali del marzo 2015. A quel punto le strade dei due si divideranno e ognuno di loro avrà davvero più chiaro se l’orizzonte potrà essere il 2017 o se per il Presidente non resterà altro che salvare il salvabile e per il Primo ministro la rifondazione del partito della candidatura per il 2022.

Il campo è quello delle ipotesi e come tale va considerato. Un dato di certezza però esiste. Il dibattito che attraversa destra e sinistra, così come l’attivismo del nuovo FN di Marine Le Pen, mettono in evidenza un’evoluzione complessiva del sistema politico-istituzionale transalpino. Senza esagerare si può dire che qualcosa di nuovo, sotto il sole di Francia, sta comunque emergendo.