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Un ultimo giro di Valls?

Michele Marchi - 28.08.2014
François Hollande e Manuel Valls

Il governo di “combattimento” di Manuel Valls è durato meno di cinque mesi. Ora via libera a quello della “chiarezza”. Se il Valls I non è stato protagonista di grandi “battaglie”, il Valls II ha, sin dalla lista dei suoi membri, il pregio della linearità e dell’omogeneità.

 

Una squadra compatta


La coppia Hollande-Valls sembra aver scelto la strada della decisione. Senza cambiare le caselle di ministeri di rilievo (Esteri, Interni, Difesa, ecc..), si è concentrata in maniera “chirurgica” sugli elementi di disturbo. Il nucleo “dissidente” era composto da tre ministri, più uno solidale a questi. Capeggiati da Arnaud Montebourg, ministro dell’economia, critico nei confronti della linea social-liberale della coppia Presidente-Primo ministro, la pattuglia comprendeva anche il ministro dell’Educazione nazionale BenoÎt Hamon e la ministra della cultura Aurélie Filippetti. A questi, più per affinità ideologica che per prese di posizione pubbliche, si era soliti aggiungere la ministra della Giustizia Christiane Taubira. Ebbene i tre non fanno più parte del governo, e fino a qua non si tratta di una grande novità. Interessante è osservare le scelte per sostituirli e quella di non privarsi di Taubira.

Senza dubbio la decisione di portare Emmanuel Macron a Bercy è il vero “colpo” di questa seconda crisi di governo del quinquennato di Hollande (tanto che Alain Minc pare abbia mandato un biglietto a Macron, subito dopo la nomina, nel quale ha scritto “la politica è la sola vera erede del surrealismo!”). L’inversione di rotta rispetto al teorico della “de-globalizzazione”, del colbertismo e della lotta all’austerità teutonica è evidente. Viene promosso all’Economia l’ex consigliere economico di Hollande (durante il governo Ayrault), 36 anni, molto legato a Michel Rocard e a Jacques Attali, studi dai gesuiti, poi a Sciences Po e infine all’ENA, ma soprattutto con un passaggio significativo alla Banca Rothschild  e sherpa per le questioni economico-finanziarie in occasione dei consigli europei e dei vertici economico-finanziari tra il 2012 e il 2014. La guida dell’economia francese passa nelle mani di un protetto del Medef (Confindustria francese), il vero ispiratore (insieme al nuovo segretario generale della presidenza della Repubblica Jean-Pierre Jouyet) di quel patto di responsabilità con il quale da inizio 2014 Hollande ha avviato la sua svolta social-liberale. Insomma dal giacobino Montebourg al “Mozart della finanza” la svolta non può essere negata. Facendo però attenzione a non dimenticare che Macron resta un fedele di Hollande sin dalla prima ora, un pragmatico e un fine politico (anche se mai eletto), che è rimasto accanto a Hollande quando questi attaccava i ricchi e il mondo della finanza in campagna elettorale e che tra il primo e il secondo turno ha garantito per l’inquilino dell’Eliseo presso gli ambienti francesi della borsa di Londra.

Meno clamorosamente, anche le promozioni di Fleur Pellerin al ministero della Cultura e di Najat Vallaud-Belkacem a quello dell’Educazione, hanno un chiaro significato politico. Nel primo caso si tratta di un’altra nomina sulla via del social-liberalismo, in discontinuità dunque con la gauchiste Filippetti. Nel secondo il discorso può essere legato alla conferma di Taubira come guardasigilli. Vallaud-Belkacem, prima donna nella storia alla testa dell’importante ministero dell’Educazione nazionale (forse unico simbolo rimasto della Repubblica laica e meritocratica), non è solo una giovane e brillante fedelissima di Hollande (dopo essere stata portavoce di Segolène Royal nel corso della campagna del 2007), ma rappresenta proprio per il suo impegno sui temi dell’uguaglianza di genere e sulla lotta per i diritti degli omosessuali, il simbolo (insieme a Taubira e alla sua battaglia sul mariage pour tous) dell’impegno a “sinistra” sui temi di società, così cari alla componente bourgeois-bohème del PS, in realtà molto liberale su quelli dell’economia.

 

Un doppio messaggio


Dietro le scelte di Hollande, pressato da Valls affinché non ci si limitasse a rimuovere il ministro dissidente ma si procedesse ad un “nuovo inizio”, si possono individuare due messaggi, uno di forza e l’altro di debolezza. Da una parte Hollande imprime uno scossone al suo quinquennato e chiude il cerchio aperto ad inizio anno con il lancio del patto di responsabilità. Ora si marcia tutti nella stessa direzione. La squadra di governo è omogenea, nessuno spazio per i dissidenti. I tagli alla spesa pubblica saranno accompagnati dagli incentivi per le imprese e dallo sforzo per rendere di nuovo competitivo il sistema economico-sociale francese. Dall’altra parte l’esecutivo Valls II nasce sotto il segno della debolezza politica. Hollande ammette di non essere più in grado di comporre le differenze anche marcate all’interno della sua maggioranza. Addirittura accompagnando alla porta il terzetto Montebourg-Hamon-Filippetti dichiara implicitamente che dopo i Verdi, ora tocca alla sinistra del suo stesso partito abbandonare la barca. Da un punto di vista istituzionale la coppia alla guida del Paese ha tutti gli strumenti per tirare dritto e  imporre al Paese quella ristrutturazione economico-sociale non più prorogabile. Hollande può contare su tre armi importanti per tenere a bada una maggioranza riottosa all’Assemblea nazionale. L’articolo 49.3 che impone il via libera ad una legge sostanzialmente senza dibattito né voto, l’utilizzo delle ordinanze e in ultima battuta, e come extrema ratio, la minaccia di uno scioglimento che aprirebbe di certo una fase di coabitazione complicata prima di tutto per l’Eliseo, ma vedrebbe anche la non rielezione della maggior parte dei deputati PS.

 

I tormenti del PS


Questa crisi di fine agosto ha però anche un’importante valenza politica, accanto a quella istituzionale. E qui il discorso riguarda la linea politico-ideologica del PS. Forzando la mano, Valls (più che Hollande) ha voluto aprire il Vaso di Pandora del suo stesso partito. Le parole di Montebourg, così come quelle di Hamon e Filippetti, hanno evidenziato che, all’interno del PS, vive ancora una feconda corrente legata ad una visione arcaica del socialismo, inadatta per un partito che si candida al governo del Paese in questa congiuntura storica. L’idea di Montebourg di contrapporre una politica dell’offerta, definita di destra, ad una della domanda, definita di sinistra, sintetizza a quale livello si trovi ancora il dibattito interno al PS. Anche su questo punto non devono essere sottaciute le responsabilità di Hollande: nei lunghi anni a rue Solferino si è limitato ad “equilibrare” le differenze; giunto all’Eliseo ha cercato di “composer”, proponendo compagini di governo eterogenee e che confermavano la volontà di non scegliere tra socialismo old style e social-liberalismo di matrice europea. Peraltro proprio sull’Europa il PS ciclicamente mostra le sue divisioni. Così accadde nel 1983 con la svolta economica imposta da Delors a Mitterrand, con il referendum su Maastricht nel 1992 e con quello fallimentare del 2005. Anche su questo punto Hollande ha scommesso sulla sua capacità di bilanciare gli opposti, forte della sua elezione all’Eliseo. Oramai a metà del suo mandato è tempo di bilanci e anche su questo fronte non paiono positivi.

 

Orizzonte 2017


Il rapido quanto convulso passaggio dal Valls I al Valls II può anche essere letto come la prima pagina del “dopo Hollande”. Lo scontro Valls-Montebourg, anche per le ricadute interne al PS e all’evoluzione dello stesso non solo in quanto apparato partitico ma in quanto cultura politica, prefigura una sorta di resa dei conti alle prossime primarie per il candidato all’Eliseo del 2016. Valls ora ha la squadra per esprimere quel volontarismo e quel decisionismo che lo hanno contraddistinto da ministro degli Interni. Montebourg, dal canto suo, dovrà lavorare per conquistare la leadership di quella componente del PS che sino ad oggi è stata identificata con uno sparuto drappello di parlamentari dissidenti rispetto alla svolta social-liberale del presidente. Ma anche per cercare, al di fuori del PS, sostegno alla sua campagna anti-austerità. Interessante sarà poi vedere quale ruolo deciderà di giocare l’inquilino dell’Eliseo in questa ennesima guerra tra le due sinistre, così caratteristica della storia politica francese.

Con le spalle al muro e i sondaggi al minimo, Hollande ha finalmente optato per chiarezza e coerenza. Ha così lanciato un segnale di volontarismo anche oltre Reno. I prossimi mesi diranno se la svolta è giunta fuori tempo massimo. C’è da augurarsi di no poiché senza un uomo forte all’Eliseo, l’Europa è orfana dell’unico asse ad oggi in grado di garantirne la guida. Se negli ultimi anni stiamo navigando a vista, molte responsabilità vanno proprio cercate nel peso specifico sempre minore garantito da Parigi al decisivo asse franco-tedesco.