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Tutti pazzi per Macron?

Michele Marchi - 28.04.2016
Emmanuel Macron

Nella Francia socialista del declinante François Hollande sembra nascere una nuova stella e si chiama Emmanuel Macron. Ministro dell’Economia dall’agosto 2014 Macron ha, in un primo momento, rappresentato la svolta social-liberale dell’attuale inquilino dell’Eliseo. Da quell’estate 2014, il giovane ed ambizioso enarca, ha però anche avviato una sua personale strategia che il 6 aprile scorso ha fatto segnare un nuovo salto di qualità con il lancio del club En marche! (https://www.en-marche.fr). In corrispondenza con questo momento, Macron ha accentuato le prese di posizione polemiche nei confronti dell’esecutivo del quale fa parte e del presidente che, almeno ufficialmente, lo dovrebbe guidare. Insomma Macron sembra essersi trasformato in poco più di un anno e mezzo da risorsa del presidente Hollande per garantirsi, almeno sui temi economico-sociali, una copertura al centro e a destra, in uno dei più pericolosi competitors alla luce del livello sempre più basso di gradimento raccolto dall’inquilino dell’Eliseo. Un recente sondaggio commissionato dal quotidiano «Libération» parla del 38% degli intervistati che ritengono Macron un potenziale buon candidato per il 2017 e del presidente fermo all’11% di gradimento. Oggi non ha molto senso speculare su un’eventuale candidatura di Macron alle presidenziali della prossima primavera e in realtà l’ipotesi è più di scuola che reale. Al contrario può essere utile riflettere sul personaggio, per sottolinearne potenzialità ma anche punti deboli.

Prima di tutto l’étà e l’ambizione. Macron ha trentotto anni e da un punto vista professionale, così come da quello privato, sembra aver già vissuto tre o quattro vite. Giovane liceale al prestigioso Henri IV di Parigi, al primo anno si innamora della professoressa di francese, l’attuale moglie, di venti anni più vecchia di lui. Agli studi di filosofia (Macron è stato l’ultimo assistente di Paul Ricoeur) segue l’Ena, promotion Léopold Sédar Senghor (una sorta di élite delle élites, se si pensa che nel 2013 lui ed altri sedici colleghi potevano vantare impieghi nei posti chiave dell’alta amministrazione pubblica francese). Ma Macron prima di diventare, a trantaquattro anni, segretario generale aggiunto del Presidente Hollande per le questioni economiche, ha anche percorso un pezzo importante di carriera nella banca Rothschild. E qui in pochi anni, gestendo l’acquisizione da parte di Nestlé di una filiale di Pfizer, ha raccolto una vera fortuna, tanto da renderlo milionario.

Lo sbarco in politica, tra le file del PS, non è casuale. Macron entra nel partito all’età di 24 anni ma, elemento da non trascurare, non ha mai partecipato ad alcuna elezione locale, nazionale o europea (uno dei punti di attacco dei più strenui detrattori). Dell’età si è detto, della carriera anche. Un ambizioso portato nelle stanze del potere dallo stesso Hollande il quale ad inizio mandato stravede per lui e lo vuole fortemente all’Eliseo. Lo vorrebbe già trasferire a Bercy in occasione della nascita del primo gabinetto guidato da Manuel Valls, ma proprio il suo status di non eletto frena momentaneamente la sua ascesa.

Interessante è altresì il suo operato una volta arrivato al ministero dell’Economia. Come detto egli simboleggia la svolta social-liberale impressa da Hollande al suo quinquennato e che ha avuto i suoi punti più emblematici nel rinnovato rapporto con il mondo dell’impresa (patto di responsabilità e solidarietà) e negli scontri con le centrali sindacali (riforma pensionistica e riforma del lavoro). La grande novità di Macron è stata però quella di cercare di scardinare dall’interno una serie di certezze sui temi dell’economia, del lavoro e della società del partito rifondato a Epinay quasi mezzo secolo fa. Macron si è cioè tramutato nel “rottamatore” di una filosofia politica basata sul primato dello Stato, della tassazione a fini redistributivi, del lavoro garantito (meglio se nell’amministrazione pubblica) e in definitiva del primato della società sull’individualismo liberale. Per questo motivo per i commentatori transalpini può essere definito una sorta di ibrido tra Tony Blair e Matteo Renzi, con numerosi richiami storici al Valéry Giscard d’Estaing di metà anni Sessanta, pronto a rompere con il generale de Gaulle per proporre la sua idea di governare la Francia al centro e di “purificare” il quadro stato-centrico e colbertista con forti iniezioni di liberalismo ed europeismo. Novello Tony Blair o redivivo Giscard? Chi è, in realtà, Macron?

È sicuramente un brillante utilizzatore dei media (tradizionali e non) che ha, sin dal primo giorno, lanciato “provocazioni” dirette prima di tutto al suo campo politico di riferimento. Come definire altrimenti le frasi contro la contestata legislazione sulle trentacinque ore (vero “totem simbolico” della gauche), a favore dei giovani che dovrebbero aspirare a fare soldi (letteralmente “diventare milionari”) e a favore degli imprenditori (“la vita di un imprenditore è molto più dura rispetto a quella di un dipendente”)? E cosa dire del richiamo, al limite del “blasfemo” per il mondo PS, al “liberalismo vero valore di sinistra”?

Sarebbe però da ingrati liquidare Macron come produttore di slogan. Il giovane ministro ha lanciato una ardita triplice scommessa. Il suo è quello di fornire un’interpretazione innovativa della cosiddetta “fatica democratica” di questo inizio di terzo millennio, così favorevole per le forze neopopuliste e contestatarie. Su cosa scommette Macron? Sul fatto che l’opinione pubblica francese in realtà sia molto più avanti rispetto alla classe politica tradizionale. In secondo luogo sul fatto che la Francia sia oramai pronta a rompere con la sua cronica apatia. E infine che lo stato di decomposizione che caratterizza il quadro politico sia così grave da prospettare una sua totale ricomposizione. È su questo punto che egli innesta la sua critica, in realtà non così originale, a proposito dell’inattualità del clivage droite-gauche, per abbracciare l’idea di uno spazio “centrale” riformista, in grado di opporsi alle “periferie” anti-europee e anti-liberali, presenti nel PS, come nei nuovi LR e nel FN.

La sintesi di tutto ciò è al momento contenuta nel lancio del club En marche!, a metà strada tra la boite à idée (o think tank) e lo strumento di ascolto e analisi dell’opinione pubblica. Il sito sembra privilegiare la logica del manifesto, una sorta di ultimo appello per “ripulire” il Paese da tutti i “freni” (blocages) che ne impediscono un coerente sviluppo e una corretta partecipazione ai meccanismi della globalizzazione. D’altra parte però il progetto di raccogliere, entro fine luglio, almeno diecimila questionari per conoscere il punto di vista dei francesi sulla “crisi” evidenzia anche la seconda faccia dell’impresa. In ogni modo Macron sembra insistere sia sullo sfruttamento di tutte le opportunità offerte dai nuovi media senza calpestare la tradizione e da qui il “porta a porta” militante con i questionari, già ribattezzato Grande Marche.

Che tutto ciò, sia nella teoria, sia nella prassi, sia estremamente innovativo è legittimo dubitarlo. La scommessa sulla ricomposizione del quadro politico nel post voto del 2017 è basata su una serie di scenari (Marine Le Pen al ballottaggio, il candidato PS escluso dal ballottaggio e addirittura quarto dietro al candidato dell’estrema sinistra, vittoria travolgente del candidato LR e trionfo della destra repubblicana alle successive legislative), alcuni dei quali non così certi. Peraltro poi una ricomposizione in grado di produrre la nascita di un nuovo grande partito “di centro”, nuova casa dei cosiddetti “progressisti” di destra e di sinistra, difficilmente potrà realizzarsi senza l’introduzione di una robusta quota di proporzionale proprio nel voto legislativo. La permanenza dello scrutinio maggioritario a doppio turno, con elevata soglia di sbarramento per il passaggio al secondo, per le elezioni legislative è la garanzia più certa di una logica fortemente bipolare e bipartitica come dimostrato anche dalle recenti elezioni regionali.

Se dunque Macron sarà in grado di destabilizzare il quadro politico-istituzionale della Quinta Repubblica è tutto da dimostrare. Quello che è certo è quanto stia ulteriormente destabilizzando un già “precario” presidente della Repubblica. Quando il ministro dell’Economia, richiamato all’ordine dal presidente (“è nella squadra sotto la mia autorità” e ancora “sa cosa mi deve, è una questione di lealtà politica e personale”), si permette di chiosare “non sono debitore del presidente” (letteralmente je ne suis pas un obligé du president”), il quadro risulta chiaro. Macron “si è messo in proprio” e da risorsa si è tramutato in problema.

Come detto un conto è far vacillare l’inquilino dell’Eliseo, un altro è fare breccia presso un’opinione pubblica sospettosa e arrabbiata. Teoricamente Macron potrebbe tramutarsi nel Sarkozy del 2007, con la sua capacità di porsi come candidato della rupture rispetto a Hollande, come Sarkozy aveva fatto rispetto a Chirac. Sarkozy però, all’epoca, aveva intrapreso un percorso interno all’UMP e si era garantito il sostegno incondizionato dello zoccolo duro dei militanti. Macron ha scelto un’altra strada, quella di candidato  potenziale all’Eliseo proveniente da sinistra ma ideologicamente più affine ad un elettorato di centro e di destra moderata. Un approccio di questo genere dare garanzie una volta esauritasi la prima ondata mediatica? Come potrà Macron riformare la sinistra a fondo prescindendo da quella legittimità che, seppur in epoca di social e new media, resta ancora legata alla vita interna ai partiti o perlomeno a quella delle istituzioni sostenute dal suffragio e centrate sulla competizione elettorale?

I prossimi mesi diranno come andrà a finire tra il “presidente indolente” e il “ministro insolente”. Ma altresì chiariranno se quella di Macron è soltanto una “speculazione politico-mediatica”, oppure il primo passo per un più ampio, e di conseguenza rilevante, rivolgimento politico-istituzionale della sempre più pericolante Francia.