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17 aprile 2024
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Sussulti di buon senso?

Paolo Pombeni - 02.11.2016
Norcia - Basilica di San Benedetto

Ci voleva un terremoto devastante per richiamare la politica italiana ad un po’ di buon senso? Certo non si poteva lasciar cadere l’appello del presidente Mattarella a mettere da parte le polemiche furenti e talora a capocchia sul referendum costituzionale per ritrovare una necessaria unità nazionale di fronte all’enormità della ricostruzione necessaria. In un primo momento è sembrato che tutti si riallineassero, ma ben presto si è capito che non era esattamente così.

Tanto Brunetta quanto Salvini non hanno rinunciato alla solita polemica. Il primo chiedendo che Renzi riconosca i suoi errori e sia più umile (verrebbe da commentare: da che pulpito!), il secondo tirando in ballo la solita storia per cui non bisogna investire sugli immigrati ma sugli italiani (cosa c’entrasse lo sa solo lui). Grillo è stato più abile, perché si è limitato ad assicurare a Renzi il suo appoggio incondizionato contro l’Europa. Anche questa è una posizione discutibile, ma coglie meglio i sentimenti del paese che di fronte a tragedie come quella in corso non apprezza chi cerca di specularci sopra. Una dimostrazione in più che i Cinque Stelle stanno anche iniziando a fare politica e capiscono che la loro posizione attuale di unica alternativa al PD li deve portare ad interpretare un “sentimento nazionale” rinunciando a quelle fantasie e a quelle occasioni da cui non sanno staccarsi alcuni dei loro membri rimasti ancorati al passato.

Quanto durerà il buon senso necessario a far fronte comune contro l’emergenza? Se dovessimo andare a sensazione, diremmo poco, perché la posta in gioco in questo momento è troppo grande e si è troppo diffusa la sensazione che sia la volta buona per regolare i conti una volta per tutte. Vale sul fronte governativo e vale per quello dei suoi avversari.

E’ vero che c’è anche chi lavora per immettere un po’ di razionalità nello scontro. In questa direzione va quasi sicuramente l’incontro tra Berlusconi e il presidente Mattarella, che sembra essere stato animato dall’aspirazione a verificare se ci siano margini per una gestione equilibrata del post-referendum, comunque vada. Non sappiamo come sia andata, ma quel che invece sappiamo è che colui che fu un tempo il leader indiscusso del centrodestra oggi non è più in grado di mantenere il controllo su quell’area. Ed infatti prontamente Salvini glielo ha ricordato.

Nella stessa direzione avrebbe dovuto andare lo sforzo di smontare il mito del “combinato disposto” fra Italicum e riforma costituzionale. Non si è ancora capito se lavori in quella direzione la commissione messa in piedi dai vertici del PD, perché per arrivare ad una riforma efficace della attuale legge elettorale ci vorrebbero disponibilità concorrenti a trovare una soluzione condivisa. Invece al momento sembra che il massimo sia dimostrare da una parte e dall’altra che “ci si vuole parlare”, senza però che nessuno receda veramente dal considerare intoccabili i rispettivi tabù.

In verità Renzi è piuttosto ondeggiante nell’affrontare questa nuova contingenza. Da un lato pare inclinare verso offerte di dialogo, dall’altro poi in ogni occasione pubblica non riesce a sottrarsi alla tentazione di polemizzare con tutti. Lo si è visto nella manifestazione romana dove il segretario/premier non è riuscito a fare un discorso che volasse alto. I temi affrontati sono stati magari anche quelli giusti, ma il tono, che notoriamente fa la musica, è stato molto aggressivo fino a mettere in difficoltà il povero Cuperlo che era andato alla manifestazione come atto di buona volontà. E’ stato un errore non tenere conto del fatto che si trattava pur sempre di un esponente della minoranza che fa fatica a convincere i suoi della necessità del dialogo.

Gli interpreti delle sensibilità dei circoli renziani informano che lì si dà per scontato che la minoranza non abbia alcuna intenzione di rientrare nei ranghi. E’ quasi certamente così, perché è difficile non vedere la cecità di cui sono vittime quegli ambienti, ma non è una ragione sufficiente per non impegnarsi a che questo diventi evidente anche per tanta gente che invece ritiene ancora che non si tratti di risentimenti generazionali, ma di ragioni politiche in qualche modo solide.

Peraltro va riconosciuto che Renzi ha non poche difficoltà a muoversi in maniera più pacata, proprio perché gli avversari sono prontissimi ad imputargli ogni ragionevolezza come una sua resa all’evidenza che sin qui aveva esagerato e si era mosso in maniera sbagliata. Ovvio che un leader non possa accettare di essere presentato in questo modo. Così paradossalmente l’unica cosa su cui diventa facile convenire per maggioranza ed opposizione è la critica alla UE. Si tratta però di un abbraccio mortale, perché se è vero che lì non c’è pericolo che si possa presentare Renzi come uno che ha cambiato direzione, è altrettanto vero che spingere il nostro paese ad un conflitto con Bruxelles significa metterlo su una china pericolosa.

Si potrà anche avere una vittoria sul fronte dei conti, perché difficilmente la UE potrà vestire i panni di chi strangola un paese alle prese con una tragedia, ma sarebbe la classica vittoria di Pirro: per riprenderci non ci basterà poter sforare un po’ di parametri (ottusi) per un anno, perché con la nostra situazione economica assai poco brillante abbiamo bisogno di un sostegno convinto e in profondità da parte dei nostri alleati.

Qui davvero bisogna avere più che un sussulto di buon senso: la prova che attende il nostro paese non durerà certo per un tempo breve e dunque ci serviranno molti puntelli, sia a livello di politica interna, che a livello di politica europea e internazionale.