Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Sul referendum greco

Duccio Basosi * - 09.07.2015
Referendum Grecia

Nel referendum che si è tenuto lo scorso 5 luglio, una netta maggioranza dei cittadini greci si è pronunciata contro l'accettazione, da parte del proprio governo, delle ultime condizioni avanzate da UE e FMI nell'ambito del negoziato sul rinnovo delle linee di credito aperte da queste istituzioni nei confronti di Atene negli anni scorsi. La coalizione al governo ad Atene, imperniata sul partito di sinistra Syriza, era infatti salita al potere a gennaio con una piattaforma che prometteva di terminare le politiche di "austerità" negoziate negli anni scorsi tra la cosiddetta "Troika" (Commissione UE, BCE e FMI) e diversi precedenti governi greci di varia colorazione (centrosinistra, tecnici, centrodestra) e di mantenere, al contempo, il Paese all'interno della zona euro.

Sulla carta si trattava di una posizione assolutamente ragionevole, oltre che coerente con l'europeismo e la sensibilità di Syriza all'impoverimento di massa nel quale la Grecia è caduta negli ultimi anni. Del resto, persino gli economisti del FMI, a partire dal 2012, hanno messo nero su bianco che l'austerità non solo non serve a rilanciare la crescita economica di un paese indebitato, ma spesso incancrenisce la situazione in una spirale di debito e recessione. Se, finora, le linee di credito aperte sono servite a pagare gli interessi sui prestiti precedenti (mentre dalle virtù dell'austerità ci si attendeva un rilancio economico, poi mai materializzatosi), il nuovo governo greco si presentava al tavolo con una logica diversa: utilizzare i crediti per rilanciare l'economia e, solo in un secondo momento, utilizzare le risorse così generate per saldare i debiti. Tale posizione si è però scontrata con un autentico muro eretto da UE e FMI.

Tale situazione ha reso necessario il chiarimento del governo greco presso il proprio elettorato, attraverso il referendum: nel caso che il duplice obiettivo promesso non fosse raggiungibile, quale tra le due componenti (fine delle politiche di austerità o permanenza nell'euro) deve essere privilegiata? La risposta, lo si è visto, è stata che l'elettorato greco chiede anzitutto la fine delle politiche di austerità, anche a rischio che ciò comporti l'espulsione dall'euro.

In una situazione che è ancora molto fluida, due conseguenze sembrano già essersi ben delineate. In primo luogo, molti commentatori, scioccati dal risultato, si sono attardati a tratteggiare un ritratto "dei greci" secondo categorie morali poco edificanti, come spesso accade quando si tratta di discutere un negoziato tra un creditore e un debitore. La realtà è che se i passati governi greci si sono indebitati, vi sono state anche banche tedesche e francesi che hanno prestato a interesse, cioè  scontando il rischio di non riavere indietro i soldi. D'altro canto, quando le istituzioni europee e il FMI hanno salvato, con denaro pubblico, le banche tedesche e francesi, hanno contribuito a scrivere insieme ai governi greci le politiche di austerità che non hanno dato i risultati attesi. Insomma, rappresentare la Grecia come una pecora nera può essere autoconsolatorio per chi crede in certe politiche, ma non rispecchia bene i fatti occorsi negli ultimi anni. Inoltre, se associato agli opposti ritratti dei "tedeschi", dei "francesi", eccetera, questo pare un modo di rappresentare le cose che riporta in campo pericolosamente nazioni e nazionalismi, oscurando alla vista, allo stesso tempo, il fatto che nella crisi greca qualcuno si è arricchito e molti si sono impoveriti fino all'indigenza. Se si vuole parlare di moralità, forse sarebbe opportuno ripartire da qui.

In secondo luogo, il referendum ha mutato in parte i rapporti di forza al tavolo negoziale. Sia chiaro, esso di per sé non segna né la fine dell'austerità, né l'espulsione della Grecia dall'euro. In astratto, potrebbe anche non cambiare niente. Tanto più che nessuno si illude, nemmeno nel governo greco, che l'uscita dall'euro sarebbe di per sé la garanzia per una rapida e comoda risalita economica. E tuttavia è vero che, suo malgrado, l'unica carta negoziale del governo greco in questi mesi era davvero il rischio connesso a un'uscita della Grecia dall'euro. Infatti, non solo questa presenterebbe una serie di incognite finanziarie ed economiche che potrebbero assumere carattere sistemico, ma si associerebbe anche a una lunga serie di incertezze politiche internazionali (ruolo di Russia e Cina) e simboliche (reversibilità della costruzione europea). Dal referendum di domenica, Alexis Tsipras sa che tale carta ha oggi maggiore credibilità. Le prime reazioni degli altri governi europei e delle stesse istituzioni creditrici sembrerebbero ispirate a una calma noncuranza. Potrebbero essere sincere e esprimere la certezza che il rischio di "perdere la Grecia" valga la candela di non incrinare il fronte dell'austerità. Potrebbero però anche essere espressione dell'imbarazzante situazione in cui si trovano quei bulli che, messi di fronte a una brutta notizia, dicono "ma che m'importa a me" mentre già studiano una via d'uscita onorevole. Le prossime settimane aiuteranno a capire anche questo.

 

 

 

 

* Duccio Basosi insegna Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università Ca' Foscari di Venezia