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17 aprile 2024
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Renzi e il PD dopo Marino

Paolo Pombeni - 13.10.2015
Manifestazione pro Marino a Roma

La vicenda del sindaco di Roma Ignazio Marino travalica i pasticci di un personaggio innalzato dal teatrino mediatico a ricoprire un ruolo per il quale palesemente non aveva le qualità. Certo si trattava quasi della classica “mission impossibile”, ma il Nostro ha rivelato di non avere avuto neppure la capacità di comprendere il guaio in cui si andava a cacciare.

Detto questo, rimane il fatto che la vicenda romana apre un capitolo incognito nello sviluppo della crisi italiana. Proprio mentre Renzi si avvia a portare a casa la riforma del senato, mentre sta per varare una ambiziosa legge finanziaria (vedremo poi se ci riesce) , e dunque mentre stava per cogliere una sorta di incoronazione per la sua leadership, il panorama si complica perché sulle prossime amministrative di primavera torna ad aprirsi una sfida all’equilibrio politico che si andava delinenado.

Va bene che anche in politica come in altri campi gli esami non finiscono mai, ma il passaggio che si profila rischia di essere particolarmente difficile. Da un lato infatti esso diventerà una prova sullo stato del PD e di conseguenza sulla tenuta del suo segretario; dal lato opposto Renzi non potrà giocare la partita disponendo direttamente i pezzi sulla scacchiera. Certo ci si aspetta che sia lui in prima persona a far campagna elettorale in tutte le città chiave, ma poi la gente voterà principalmente per i candidati sindaco e sceglierà inevitabilmente e giustamente in base alla fiducia o meno che si può avere in loro quanto a gestione del futuro delle città.

Qui sta il primo scoglio in cui incapperà la nave della leadership renziana. La scelta dei candidati si preannuncia già come una battaglia interna al PD fra renziani e anti-renziani: ciascun gruppo è una coalizione non proprio omogenea e già questo ingarbuglia le cose. Aggiungiamoci che il trend vorrebbe personaggi scelti fuori dai politici di professione, che non godono più di buona stampa. Sebbene proprio il caso Marino mostri la fragilità di questa fiducia aprioristica negli uomini presi “dalla società civile”, è innegabile che la sfiducia verso i prodotti della classe politica giochi un ruolo.

Entra così in gioco il rebus, per non dire il pasticcio delle primarie. Tornare indietro da questa modalità di selezione che è stata sbandierata come il mezzo per far scegliere direttamente al popolo si sta rivelando impossibile. Però ci si rende conto che le primarie sono un meccanismo infernale almeno nel nostro contesto: se le si apre sostanzialmente a chiunque si dichiari “elettore” del PD si rischia molto concretamente di metterle nelle mani degli umori delle folle, magari anche sapientemente manipolati; se le si restringe ad una qualche tipologia di “militanti” c’è la quasi certezza di non avere un sondaggio degli umori dell’elettorato futuro, ma di essere incastrati nelle passioni dei pasdaran delle varie tribù interne.

Aggiungiamoci che il PD si presenta a questa tornata elettorale con una consistente sfida populista che viene da vari ambiti. Quello dei grillini è il più macroscopico e quello con maggiori possibilità di successo: sfrutta la disillusione della gente verso la capacità della classe politica e al tempo stesso la voglia di facce nuove e provenienti dalla “società civile” (essendo di recente formazione quelli del M5S non hanno, per ovvie ragioni, politici di professione e con grande abilità non hanno mai accettato “riciclati”). Non va sottovalutato neppure l’appeal del neo-leghismo, visto che si vota in città dove problemi di sicurezza e impatto dell’immigrazione non sono marginali. Il meno accreditato come sfidante è quel che resta del berlusconismo, visto che il suo leader non riesce ad inventare nulla di più del vecchio mantra secondo cui in politica ci vogliono “manager” (salvo poi dover dire che possono andar bene anche Salvini e la Meloni, che quanto a manager non sono proprio il massimo …)

A Renzi e al PD è necessario poter combattere la battaglia con il meglio delle risorse a propria disposizione e mai come in questa occasione il destino del leader e quello del partito di cui è segretario sono intrecciati. Ora sul fronte del partito già c’è il problema dello scontro interno, che torna ad inasprirsi nel momento in cui la minoranza esce fortemente ridimensionata dalla sua battaglia contro la riforma del senato. Non è stato difficile cogliere proprio nella vicenda di Marino sintomi dei futuri propositi bellicosi, con la difesa preventiva del sistema delle primarie (dove, come s’è detto, i pasdaran hanno più chance), ma anche in alcuni casi sia pure di militanti di base con la incredibile incitamento alla permanenza del sindaco dimissionario.

Aggiungiamoci che quasi ovunque c’è il tema della competizione a sinistra da parte di ex esponenti del PD o dei partiti che l’hanno preceduto, che, magari con un po’ di appoggi nei partiti dell’Estrema, mettono in difficoltà le componenti più tradizionali e quelle più legate ai venti dei talk show dell’elettorato pidiessino. La difficoltà cresce se si tiene presente che da un lato Renzi dovrà scontare qualche impopolarità che gli verrà dalla legge finanziaria e dal mondo economico e sindacale (essendo impossibile lì accontentare tutti) e dall’altro che il PD pagherà spesso il prezzo di scelte non sempre lungimiranti nella selezione delle classi politiche locali.