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Referendum, il gioco delle somiglianze

Luca Tentoni - 08.10.2016
Referendum sondaggi politici oggi

Il referendum costituzionale del 4 dicembre si avvicina, portando con sè polemiche e contrasti che difficilmente potranno essere superati nei mesi immediatamente successivi al voto. In questo nostro appuntamento con Mentepolitica, perciò, cerchiamo di proporvi qualcosa di più "lieve": non un'analisi politologica ma un semplice gioco, alla ricerca di somiglianze che forse non hanno attinenza fra loro e forse non spiegano nulla della mobilitazione elettorale in vista del 4 dicembre: speriamo tuttavia di fornire elementi per una riflessione. Partiamo dal sondaggio pubblicato dal "Corriere della Sera" il 3 ottobre, secondo il quale gli elettori disposti ad approvare la riforma costituzionale sarebbero pari al 23% degli aventi diritto al voto (circa 11,5 milioni), i contrari il 25% (12,5 milioni), gli indecisi l'8% e i non votanti il 44%. In proporzione sulle preferenze espresse, i "sì" avrebbero il 48%, i "no" il 52%. Altri sondaggi danno invece percentuali diverse (EMG: sì 46,7%, no 53,3%; Demopolis, sì 49,5%, no 50,5%; Ixè, sì 51,3%, no 48,7%) ma è un dato di fatto, in questo momento, che le due opzioni oscillino fra il 48 e il 52%: la campagna elettorale - ormai iniziata da mesi - non ha ancora spostato decisamente le preferenze degli italiani verso una delle due scelte. La rilevazione di Pagnoncelli evidenzia inoltre che le appartenenze di partito giocano molto a favore del voto al referendum: nel Pd, il 56% voterebbe "sì", il 13% no; nel M5S, 12% "sì" e 50% "no", così come nella Lega (12% "sì", 45% "no"). In altre parole, i partiti maggiori più schierati fanno registrare, fra i propri sostenitori, un 25-35% di possibili astenuti, un 5-7% di indecisi ma - quel che più conta - un rapporto di circa 80 a 20 (fra chi ha già scelto come votare) per l'opzione "di bandiera": 81% di "sì" nel Pd, 80,6% di "no" nel M5S, 78,9% di "no" nella Lega. Nel campo dei "moderati", invece, le differenze fra le due opzioni sono minime: i centristi alleati di Renzi si esprimono per il 34% a favore del "sì" e per il 24% contro la riforma (58-42 per i favorevoli, insomma) mentre i limitrofi elettori di Forza Italia sono per il 37% schierati col "no" e per il 25% col "sì" (60-40 per i contrari). Quando Renzi dice che il referendum si vince o si perde con quei voti dimostra di aver ben chiaro il quadro della situazione. Ad oggi, infatti, le possibilità sono due: o i partiti più nettamente schierati sono stati tanto convincenti nei confronti dei propri elettori, riuscendo a farli schierare per la scelta "di bandiera", oppure fin qui è stato prevalentemente il giudizio sul governo e sul presidente del Consiglio ad aver avuto la meglio su ogni altro ragionamento. Poichè centristi e FI sono "in mezzo al guado", si spiega il perchè della modesta differenza nelle intenzioni di voto fra "sì" e "no" nei rispettivi elettorati. Qui cogliamo la prima somiglianza, con i dati di sondaggi che commentammo già su Mentepolitica del 30 aprile scorso. Allora c'erano due rilevazioni: una di Euromedia per "Ballarò", secondo la quale il 26% degli interpellati era per il "sì" alla riforma, contro il 28,1% per il "no" (48,2% contro 51,8%) e una di Ixè per “Agorà”, che dava al “sì” il 53% delle preferenze espresse contro il 47% dei “no”. A distanza di più di cinque mesi, sembra che non sia cambiato nulla. È una curiosa "coincidenza", che ci fa pensare alla prevalenza di un fattore che aveva caratterizzato la prima parte della campagna elettorale e che Renzi ha cercato di attenuare nella seconda: la personalizzazione del voto. L'accostamento fra sondaggi distanti nel tempo non solo ci restituisce un quadro pressochè identico nel rapporto fra favorevoli e contrari, ma persino nel grado di convincimento e di identificazione degli elettori con la scelta preferita dai rispettivi partiti. Sembra il segno che la personalizzazione, essendo una semplificazione che taglia in un sol colpo il nodo della complessità di un testo di riforma costituzionale ampio e articolato, è entrata nel dibattito - ma soprattutto nelle menti dei potenziali elettori - e difficilmente si dissolverà nei due mesi restanti di campagna elettorale. C'è poi un secondo elemento del sondaggio pubblicato giorni fa dal "Corriere" che ci autorizza ad ulteriori accostamenti, forse non molto scientifici, ma che certo sono impressionanti per il carattere di verosimiglianza. Il punto debole del "sì", secondo Pagnoncelli, è nel centrosud e nelle isole (20% contro il 26-28% del "no", calcolati sugli aventi diritto al voto). In altre parole, il "sì" avrebbe il 42-43% da Roma in giù, mentre supererebbe il 55% nelle "zone rosse". Abbiamo provato a fare un confronto con i dati delle europee 2014, cioè con la consultazione in occasione della quale tanti elettori - non necessariamente dell'ex Unione - che guardavano con attenzione e fiducia a Renzi diedero il voto al Pd. L'attuale "fronte del sì" ebbe allora a livello nazionale 12,7 milioni di voti, contro i 14,2 dell'odierno "fronte del no" (abbiamo escluso i partiti pulviscolari e quelli non schierati): il rapporto è di 47,2 a 52,8, non distante dal 48-52 del sondaggio pubblicato giorni fa sul "Corriere". Ma c'è di più: al Sud e nelle isole i partiti del "sì" (Pd, Ncd-Udc, altri minori) ebbero il 42,7-43% dei voti contro il 57-57,3% di quelli del "no". Anche nell'Italia centrale e nel Nord-est i rapporti fra i voti del 2014 e quelli della rilevazione di Pagnoncelli coincidono o, meglio, "si rassomigliano". Fa eccezione il solo Nord-ovest. Si potrebbe inoltre aggiungere che il maggior sostegno al quesito del referendum dello scorso aprile contro le trivellazioni in mare venne proprio dal centrosud (anche se in quel caso le ragioni erano diverse, almeno in gran parte) e che in quell’occasione i contrari alla legge (il “fronte del sì” era allora quasi sovrapponibile all’attuale coalizione per il “no” alla riforma costituzionale) furono 12,8 milioni. Torniamo sempre, dunque, un po' per caso, un po' forse no, intorno alla quota dei 12-14 milioni che oggi i sondaggi accreditano a ciascuno dei due "fronti" in lizza. Guardando ancora indietro, alle politiche del 2013, ci accorgiamo che l'attuale coalizione del "sì" ebbe 12,5 milioni di voti (più una certa quota non calcolabile di quelli del Ncd, ancora incluso in Forza Italia), mentre i partiti che oggi sono per il "no" avevano 19,5 milioni di consensi, sette dei quali per il partito di Berlusconi. Sottraendoli, abbiamo (politiche 2013) 12,2 milioni per i partiti del "no", 12,5 per il "sì" e i 7,3 milioni di Forza Italia (che ancora comprendevano il Ncd). Una situazione di possibile equilibrio, insomma, che poteva e può essere alterata dal movimento in una direzione o nell'altra da parte degli elettori "di frontiera": quelli, appunto, fra Udc-Ncd (governo) e FI (opposizione). Così come sono fattori fondamentali l'affluenza alle urne e la capacità di ciascun "fronte" di portare i propri elettori al voto per l'opzione indicata dai partiti. Procedendo nel nostro esperimento sulle "coincidenze", abbiamo ormai l'impressione che almeno alcune linee di tendenza siano più vere che verosimili: la competizione sembra vissuta dagli elettori come prevalentemente "politicizzata" e personalizzata; il sud appare meno orientato verso il "sì" rispetto al resto d'Italia (come nel referendum del 2006, fra l'altro); i partiti "moderati" sono decisivi per far pendere l'ago della bilancia a favore di una delle due opzioni referendarie. Inoltre, la consistenza di ciascun "fronte" può oggi essere stimata intorno ai 12-14 milioni di voti, il che fa pensare ad un'affluenza probabilmente superiore al 50%, forse vicina a quelle delle europee e delle recenti consultazioni regionali. Si tratta solo di ipotesi non scientifiche, ovviamente, ma le sottoponiamo al lettore sperando di offrire un contributo al dibattito sulla natura, le modalità, i rapporti di forza di questa campagna referendaria.