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Primarie e caos a destra: Parigi non è poi così lontana …

Michele Marchi - 17.03.2016
François Fillon e Jean-François Copé

Dopo aver trattato con sarcasmo la “passione socialista” per le primarie, la destra repubblicana francese si trova impegnata in una logorante campagna per trovare il proprio candidato alle presidenziali del 2017. Ufficialmente la corsa delle primarie della droite si aprirà nel mese di settembre, al più tardi entro il 21 dovranno essere validate le candidature. Seguiranno due mesi di campagna, poi primo turno ed eventuale ballottaggio il 20 e il 27 novembre. Eppure al momento sono già nove i candidati dichiarati e all’appello ne mancano probabilmente altri due o tre, compreso naturalmente Nicolas Sarkozy.

Bisogna prima di tutto ricordare che difficilmente gli attuali pretendenti saranno tutti presenti ai nastri di partenza a fine estate. Per essere convalidata, una candidatura deve aver raccolto le firme di 2500 iscritti, di 250 eletti e soprattutto quelle di almeno 20 parlamentari. Per alcuni “illustri sconosciuti” o “semi-sconosciuti”, dei quali si parlerà tra poco, queste cifre appaiono difficilmente raggiungibili.

Una seconda riflessione si può fare proprio in relazione a questa esplosione di candidature e contestualmente al carattere anticipatorio di tali discese in campo. Le ragioni sono strutturali e politiche allo stesso tempo. Da un lato auto-candidarsi alle primarie significa, per soggetti anche poco conosciuti al grande pubblico, sfruttare tutte le occasioni che il panorama mediatico offre. Interventi televisivi e interviste rilasciate ai principali quotidiani e mezzi di informazione elettronica che, altrimenti, non sarebbero possibili. Da un punto di vista politico se poi la candidatura dovesse concretizzarsi, anche un risultato mediocre può garantire un posizionamento nella squadra del futuro candidato alla presidenza. Su questo punto l’esempio più citato è quello di Manuel Valls, attuale Primo ministro e candidato alle primarie della gauche nel 2011. Nonostante un pessimo risultato al primo turno (poco più del 5%), Valls scelse immediatamente Hollande, trasformandosi nel responsabile della sua comunicazione e una volta Hollande entrato all’Eliseo, è stato ricompensato prima con il ministero dell’interno e poi con Matignon.

Infine un’ultima riflessione non può prescindere dall’inserire le primarie della destra repubblicana nella più complessiva evoluzione politica francese dal 2012 ad oggi. L’attuale corsa alla candidatura è direttamente legata alle due evoluzioni chiave del quadro politico: da un lato il fallimento della presidenza Hollande (dominata da un crollo rapidissimo dei consensi, mai poi realmente risaliti se non nei momenti drammatici degli attacchi terroristici) e dall’altro la costante crescita di Marine Le Pen, i suoi successi nelle varie elezioni locali e il consolidarsi dell’ipotesi di un suo successo al primo turno presidenziale. Una dinamica di questo genere ha tramutato le primarie della destra repubblicana nella scelta di quello che, legittimamente, potrebbe essere il prossimo presidente della Quinta Repubblica.

Se dal generale si scende nello specifico, bisogna spendere qualche parola sui principali candidati ad oggi in lizza. Sono al momento cinque quelli che hanno probabilità concrete di ottenere il via libera all’apertura ufficiale di fine settembre e possono essere suddivisi lungo una linea esemplificabile nello slogan “esperienza versus rinnovamento”.

Alla guida degli “esperti” si trova naturalmente Alain Juppé, forte della sua quarantennale carriera politica e dei suoi numerosi incarichi ministeriali. La sua figura è legata a filo doppio a quella di Chirac, sin dai tempi del municipio di Parigi e dello sciagurato scioglimento anticipato del 1997, quando Juppé era alla guida del governo. Dopo gli anni dei guai giudiziari (ancora una volta affrontati per fidelité nei confronti del suo “padre politico” Chirac), la riabilitazione e la lunga esperienza come sindaco di Bordeaux, Juppé è anche tornato alla guida del Quai d’Orsay negli ultimi anni di presidenza Sarkozy. La sua corsa alla candidatura è iniziata addirittura nel maggio 2013 e da allora è il grande favorito, non solo per ottenere la candidatura, ma anche per essere eletto presidente, sia in un eventuale ballottaggio contro Hollande, sia contro Marine Le Pen. La sua candidatura al momento è sinonimo di esperienza, ma anche di moderazione e rassemblement e in questo si contrappone nettamente ad un’eventuale (ancora non esplicitata) candidatura Sarkozy. Juppé si presenta come l’unico in grado di raccogliere i voti dei delusi “centristi” dell’hollandisme, ma allo stesso tempo di non frustrare l’elettorato più conservatore su temi quali sicurezza e gestione dell’immigrazione.

Gli altri due candidati dell’“esperienza” sono François Fillon e Jean-François Copé. Quella del primo è un’esperienza reale, dato che Fillon è stato l’unico Primo ministro del quinquennato di Sarkozy. Già nel corso della campagna elettorale del 2012 Fillon aveva però preso le distanze da Sarkozy e oggi si candida con un programma ultraliberale in economia, una vera e propria cura thatcheriana per una Francia da lui giudicata incapace di entrare nella globalizzazione. A stupire è proprio questa “virata liberista”, considerati gli strettai legami tra Fillon e il compianto “gollista sociale” Philippe Séguin. Dal canto suo Copé con il suo progetto di “droite décomplexée” sembra copiare il Sarkozy 2007. Peraltro tutta la sua esperienza politica è legata, in realtà, proprio all’ex presidente. Infatti egli, prima di scegliere opportunisticamente Chirac, era stato nella prima metà degli anni Novanta uno dei giovani di Balladur (proprio come Sarkozy). E’ stato ancora lo stesso Sarkozy a collocarlo alla presidenza del gruppo Ump all’Assemblée nationale e poi anche alla guida dell’UMP dal 2010. Il lungo scontro con Fillon sull’eredità del sarkozismo e sulla guida del partito uniti ai problemi giudiziari relativi al cosiddetto affaire Bygmalion (la società di consulenza che ha emesso false fatture relative all’organizzazione della campagna presidenziale di Sarkozy nel 2012) fanno di lui il più debole candidato di questo terzetto.

Di fronte al terzetto degli “esperti” si trova poi una coppia di “innovatori”. Occorre anche qui sgomberare subito il campo. I due quarantenni Bruno Le Maire e Nathalie Kosciusko-Morizet possono in realtà vantare già una buona carriera politica alle spalle, per entrambi culminata in esperienze di governo nel corso del quinquennato di Sarkozy. BLM eNKM sono anche accomunati da una convinzione: dopo i cinque anni di “isteria” di Sarkozy e i successivi cinque di “apatia” di Hollande, è giunto il tempo di voltare pagina. E chi meglio di una generazione nuova (ma non sprovveduta) potrebbe farlo?

Bruno Le Maire è sicuramente il più titolato per svolgere un ruolo di primo piano alle prossime primarie. La sua competenza è unanimemente riconosciuta, mentre non mancano le critiche relative ad una supposta mancanza di carisma. Il suo profilo di enarca e di diplomato a Sciences Po lo pone inoltre in una posizione non particolarmente privilegiata per parlare a quella Francia “arrabbiata” e “depressa”, stretta fra l’assenza di prospettive di crescita e la minaccia congiunta delle ondate migratorie e del terrorismo islamico. Per cercare di abbandonare la sua immagine di tecnocrate e grand commis, Le Maire ha avviato da mesi una serie di viaggi nella Francia profonda, alla scoperta di quelle “fractures françaises” che non risparmiano certo l’elettorato tradizionale della destra repubblicana.

Nathalie Kosciusko-Morizet, dal canto suo, è molto più outsider rispetto a Bruno Le Maire. Nel senso che se anche lei è una “creatura politica” degli anni Sarkozy, le sue posizioni liberali in economia e molto progressiste sulle questioni di “società”, vedi il sostegno al matrimonio omosessuale, all’adozione tra coppie gay e addirittura alla fecondazione assistita eterologa, la pongono piuttosto ai margini non solo del partito Les Républicains (dal cui gruppo dirigente è stata esclusa proprio da Sarkozy), ma soprattutto di un’opinione pubblica di centro-destra molto segnata dalle recenti querelles sul mariage pour tous e in generale sui cosiddetti temi “identitari”.

Dunque NKM candidata del rinnovamento ma con scarse possibilità di veder concretizzata la sua partecipazione, così come gli altri quattro ad oggi outsider, cioè l’ex fedelissima di Sarkozy e ultraconservatrice Nadine Morano, gli oggetti sconosciuti Hervé Mariton e Frédéric Lefebvre e il presidente del piccolo partito cristiano democratico Jean-Frédéric Poisson.

Non sono escluse altre candidature. Si parla con insistenza della potente, ma al momento piuttosto declinante, Michèle Alliot-Marie. MAM può vantare un’ultra trentennale carriera politica, culminata con importanti incarichi ministeriali (esteri, difesa, giustizia tra gli altri). Oggi siede a Strasburgo, eletta nel 2014. È un personaggio di peso nel partito, ma non è facile valutare quanto sia spendibile poi nella candidatura presidenziale. Ancora meno popolare potrebbe essere la candidatura, più volte ventilata, dell’ex ghostwriter di Sarkozy Henri Guaino. I cinque anni da consigliere speciale del presidente gli hanno già fruttato un posto da deputato all’Assemblée nationale e ad oggi il massimo appare raggiunto.

Il vero convitato di pietra resta proprio Nicolas Sarkozy. In fondo il suo ritorno sulla scena nell’autunno del 2014 è stato determinato dal continuo crollo nei sondaggi di Hollande e dal conseguente decollo della candidatura Juppé. Riprendersi la guida dell’Ump e trasformarlo nei Les Républicains, non ha al momento pagato. Non solo Sarkozy ha perso la possibilità di presentarsi a sei mesi dal voto come il “salvatore della patria”, dopo gli anni “tragici” di Hollande. Egli si trova costretto ad organizzare e gestire delle primarie “aperte”, che non avrebbe mai voluto affrontare e che lo vedrebbero sconfitto, secondo i sondaggi, proprio da Juppé. I più vicini all’ex presidente sono certi che la sua candidatura arriverà solo se vi saranno reali possibilità di vittoria. Non bisogna nemmeno trascurare il fattore giustizia, nel senso che la serie di procedimenti aperti potrebbero proprio sul finire del prossimo anno intaccare non poco l’immagine già segnata dell’ex inquilino dell’Eliseo.

L’incognita Sarkozy e le primarie utilizzate come “strapuntino mediatico” da una serie di outsider più o meno di lusso saranno due fattori determinanti nei prossimi cinque mesi. Al di là del risultato finale, l’esempio transalpino sembra confermare una chiara tendenza all’involuzione di questo meccanismo pensato, perlomeno in Europa, per avvicinare militanti ed elettori alla politica. Da una parte le primarie si presentano come specchio nel quale si riflette una sempre maggiore autoreferenzialità dei partiti politici. Dall’altro la macchina dei sondaggi applicata proprio alle primarie finisce per indirizzare la scelta nella direzione del candidato che si presuppone abbia più possibilità finali di vittoria. L’“infinita primaria” si aggiunge così alla “campagna elettorale permanente”, evidenziando tutte le patologie dell’attuale “democrazia mediatica”. Come italiani e come europei possiamo contare solo su due magre consolazioni. Parigi e Roma non sono così lontane e le Alpi ci dividono solo relativamente. E l’Europa è, almeno su un punto, unita: a diverse realtà nazionali corrispondono medesime preoccupanti derive dei sistemi democratici.