Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Pirelli, Italia terra di oche molto attraenti

Gianpaolo Rossini - 24.03.2015
Chem & Pirelli

E’ ormai certo. Con una manciata di miliardi di euro il colosso chimico cinese Chem  si porterà a casa il quinto produttore di pneumatici del mondo, l’italiana Pirelli, all’avanguardia tecnologica, eccellenza della ricerca e sviluppo. Pirelli è una delle pochissime grandi imprese italiane rimasteci. Ha costruito la nostra storia tecnologica ed industriale. La sua vendita è un duro colpo che peserà sullo sviluppo e soprattutto sulle opportunità di lavoro di tanti giovani che spingiamo ad investire in istruzione, in ricerca e acquisizione di capacità scientifiche avanzate. Dopo la svendita delle Ansaldo ai giapponesi  da parte della azienda pubblica Finmeccanica, adesso si sale di livello. Se ne va un pezzo fondamentale della tecnologia italiana. Un’azienda sana e ricca. E non c’è la scusa di sinergie, come si poteva a torto accampare per le Ansaldo acquisite da Hitachi. Non ci sono di mezzo neppure “sane” forze di mercato. Solo qualche sprovveduto lo può credere o affermare. Chi compra è un colosso chimico senza un grande pedigree tecnologico. E’ impresa di stato, cresciuta in un capitalismo corrotto, disciplinato da una capillare presenza pubblica in un paese che non conosce democrazia né politica né economica anche se cresce a razzo. Pirelli è invece un’impresa presente nei settori più sofisticati degli pneumatici e nei mercati più esigenti  con una rete produttiva fortemente globalizzata e diversificata.

Ma chi vende? L’attuale azionista di controllo e amministratore delegato viene da decenni di avventure finanziarie con  investimenti  in numerosi settori industriali con l’obiettivo, deleterio per la crescita delle imprese, di diversificare e con risultati deludenti. Questa farfalloneria finanziaria, molto in voga in Italia fino a qualche anno fa e per fortuna ora esaurita, ha impedito il rafforzamento di tante imprese e dell’impresa Pirelli che avrebbe avuto bisogno di un maggiore impegno finanziario e di acquisizioni per evitare di diventare facile preda.  Con tante buone imprese i cui boss hanno preferito diversificare piuttosto che rafforzare le produzioni in cui avevano vantaggio competitivo (il core business)  l’Italia ha finito per diventare sul piano finanziario un grande prato gremito di procaci oche giulive. Anche perché le regole stabilite per le relazioni tra paesi dell’area euro noi le facciamo valere anche nei confronti del resto del mondo, ovvero di paesi dove il mercato non esiste o, quando se ne dà parvenza,  è indecente  e infestato da abusi continui. Non lo ripetiamo mai abbastanza: l’Italia deve attrarre investimenti dall’estero per nuove realtà produttive, ovvero investimenti greenfield che producono nuova occupazione. Non ci servono acquisizioni a prezzi di saldo di imprese esistenti (investimenti brownfield ovvero grigi)  frutto di anni di fatica, sussidi dei contribuenti e investimenti in ricerca. Per giunta ora i compratori vengono da un paese finanziariamente chiuso, dove l’acquisizione di una impresa cinese del calibro della Pirelli da parte di un’impresa italiana non sarebbe mai possibile.

C’è un’ulteriore morale in tutto questo. Il settore privato italiano ha fatto di tutto nel corso dei passati decenni per  affossare la chimica pubblica e quella semipubblica impedendo di creare colossi capaci di competere sul mercato internazionale. Ora una impresa chimica pubblica cinese fa un boccone di uno dei gioielli del settore privato dell’economia italiana.

Scrivono che Pirelli potrà crescere solo con l’acquisizione da parte della cinese Chem. Una affermazione un po’ bislacca che molta stampa incredibilmente avvalla.  Non si vende un’impresa in salute perché altri la facciano crescere. Ci possono essere problemi di passaggio generazionale o di difficile conduzione (governance) dell’impresa con partners con i quali non si riesce a trovare un’intesa. Certo è  amaro vedere banche come Unicredit e Intesa ampiamente salvate con denaro pubblico aiutare un colosso di stato cinese ad acquistare un’eccellenza della nostra economia invece che aiutare uno sviluppo finanziario della Pirelli italiana. Significa che molte cose non funzionano nell’economia italiana. E questa volta non è colpa della politica così tanto vituperata. E’ il settore privato fatto di banche e imprese. E qui le oche a volte arroganti e supponenti sono un po’ troppe.