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PD: più divisioni che visioni

Paolo Pombeni - 15.02.2017
Scilla e Cariddi

C’era da aspettarselo: la direzione del PD è stata più una sfilata a pro dei rispettivi gruppi di riferimento che un tentativo di confrontarsi con i due temi forti del momento. Oggi si devono capire innanzitutto due cose. La prima è come sia possibile affrontare questo difficile passaggio storico evitando Scilla (il populismo fantasioso) e Cariddi (il populismo reazionario). La seconda è come inventarsi una nuova “forma partito” visto che quella tradizionale non sembra più in grado di offrire occasioni di inquadramento alle forze vive del paese.

Sul primo punto ci sono due variabili che si devono tenere in conto. Innanzitutto c’è il problema di escogitare un sistema elettorale che riesca a responsabilizzare i cittadini, senza tuttavia ricorrere a manipolazioni forzate. E’ quello che ha messo in luce la Corte Costituzionale, senza tuttavia che al momento si veda all’orizzonte una ipotesi di risposta. Questa infatti non può consistere semplicemente nell’inventarsi un qualche sistema elettorale che sulla carta prospetti magnifiche soluzioni. Si tratta piuttosto di trovare la via per costruire la necessaria coalizione che possa consentire l’approvazione di una legge elettorale capace di essere sufficientemente convincente per una larga fascia di elettorato e non semplicemente per i candidati che si aspettano di essere eletti o rieletti. Se non si costruisce questa coalizione, che è altra cosa da quella che eventualmente si batterà poi alle elezioni, mancherà la prova di credibilità che il sistema elettorale deve dare agli elettori.

In secondo luogo bisogna studiare come affrontare di petto la sfida dei nuovi populismi nelle loro opposte versioni. Illudersi che per batterli basti appellarsi alla “ragione”, magari sfruttando anche qualche scivolata presente nei due campi, è deleterio. Chi si affida alle “sparate” dei pentastellati o dei leghisti è corazzato contro ogni obiezione, per la semplice ragione che dà per scontato che le critiche vengano solo e sempre da “difensori del sistema”. Si può sperare di contenere e poi col tempo di circoscrivere definitivamente quelle “narrazioni” solo prosciugando la loro acqua di coltura, cioèrestituendo credibilità alla politica.

Si capisce subito che l’attuale PD ha poca forza nel farsi carico di queste problematiche. Il dibattito in direzione su questi temi è stato a voler essere generosi superficiale. Non si è veramente riusciti ad evitare di concentrare tutto sulla questione di Renzi sì, Renzi no, per quanto quasi tutti si siano sforzati di dire che non si voleva personalizzare. Non si sono sentiti discorsi approfonditi su come sia possibile affrontare a fondo le condizioni in cui prosperano le fortune degli opposti populismi.

Quanto al tema del cambiamento necessario della forma partito tradizionale siamo lontanissimi da una reale consapevolezza del problema. Anzi, a vedere quel che sta succedendo, ci sarebbe da dire che stiamo tornando indietro. Certo rimane un po’ di retorica sulla scelta finale del segretario affidata alla primarie a cui sono chiamati tutti gli elettori, ma l’organizzazione interna è tornata a ruotare intorno ad un sistema di correnti da fare invidia alla vecchia DC. Sarebbe anche da ammettere che, almeno in origine, le correnti DC avevano in molti casi un retroterra di giustificazioni nella costrizione che orientamenti diversi avevano a trovarsi legati all’imperativo dell’unità politica dei cattolici imposto dalla Chiesa. Nel PD non c’è ovviamente nulla di simile a giustificare aggregazioni che sono nate intorno a problemi di posizionamento di alcune personalità. Il mantra su chi è di sinistra e chi no, chi ha deluso il nostro popolo è chi può farlo ritornare al vecchio ovile elettorale, non ci pare il più adatto a conquistare l’attenzione di chi non è già preso dentro quelle vecchie logiche (su questo non è che ci siano grandi differenze con le retoriche populiste).

L’attesa di una svolta rimane forte. Il PD, piaccia o meno, rimane il partito perno del sistema e un suo venire meno in questo ruolo non può essere considerato un vantaggio. L’alternativa moderata non esiste al momento senza quel partito, anche se può essere che per costruirla diventi necessaria per esso la rinuncia ad un po’ di vecchia retorica. Un’alternativa di sinistra nelle attuali circostanze non è alle viste, non tanto in sé, quanto perché manca una capacità di elaborare una nuova concezione della sinistra.

Il PD deve trovare la forza di fare un serio dibattito su queste tematiche. Non occorrono tempi lunghi, pause di riflessione dalle elezioni, scontri sulla formazione dei gruppi dirigenti. Occorrono sedi e occasioni dove si possa lavorare ad affrontare i temi di fondo senza porsi il problema se questo giovi a Renzi, a Bersani, a D’Alema o a chiunque altro. Non perché anche la questione dei gruppi dirigenti non abbia la sua importanza, o perché si debbano sottovalutare le problematiche relative alle leggi elettorali, ma semplicemente perché solo mettendo questi e altri problemi nel quadro che abbiamo descritto sarà possibile presentarsi agli elettori come una istituzione interessata davvero al futuro del paese e non solo al regolamento dei conti fra varie tribù politiche.