Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Patto di stabilità o grande alibi?

Gianpaolo Rossini - 30.12.2014
Eurolandia e salvagente

Italia a disagio con il patto di stabilità. Germania  poco incline ad aprirlo per renderlo più flessibile. Sembrano due posizioni inconciliabili con una unica via d’uscita per il paese più debole cui non resta che fare i compiti a casa fino all’ultima riga. La realtà è forse un po’ diversa e ancora più cruda di quanto non appaia dalle frecciate a distanza tra governi nazionali, commissione della Ue e qualche banchiere centrale dell’eurogruppo. Il Patto di stabilità è una regola con una bella dote di sanzioni e reprimende per i paesi che sgarrano. Ma è macchinoso ed è politicamente difficile applicarlo. E quindi serve quanto la Sagrada Famiglia di Barcelona per dire messa tutti i giorni. Perché in verità i veri guardiani del patto di stabilità sono altri. Stanno nei mercati finanziari e nelle agenzie di rating molto più spicci nelle loro decisioni e nei loro giudizi di quanto non siano gli organismi Ue. Le discussioni sul Patto di Stabilità sono delle stucchevoli sceneggiate che ormai stancamente narrate dai giornalisti che per mestiere devono occuparsi di questioni europee.  E neppure suscitano più alcun interesse nel  pubblico  che sa benissimo che ciò che è in agguato è lo spread e la simpatia o meno dei mercati per i titoli di stato del proprio paese.  In più la noia per le discussioni sul Patto si accompagna purtroppo ad un senso di solitudine dei paesi in difficoltà che si specchia esattamente nelle fibrillazioni politiche viste nelle ultime elezioni europee e nella crescita di partiti anti Europa.  Sia in politica estera che nella politica monetaria ogni paese sente che la coesione europea è spesso una acida chimera.  Anche se i benefici dell’integrazione ci sono il grande pubblico, e non solo, fatica a percepirli perché le aspettative erano e sono altre soprattutto da parte dei paesi più deboli economicamente. I quali oggi potrebbero beneficiare solamente in pochi  casi. Se la BCE intervenisse con una forte espansione monetaria cancellando non solo temporaneamente gli spread eccessivi per essere sostenibili.  Sappiamo però che tale manovra è molto improbabile e che ci credono solo coloro che appendono la calza il 6 gennaio.  L’altro caso è quello di una progressiva introduzione di eurobonds in luogo  di titoli denominati in termini nazionali. Il che è ancora più di  là da venire della manovra della BCE.  Gli altri strumenti come i vari fondi di intervento (ESM, fondo salva stati, etc.) sono dei salvagenti bucati messi in piedi attingendo risorse anche dai paesi  anemici come l’Italia e la Spagna  aggiungendo un effetto depressivo a quello già presente nelle economie di eurolandia.  Infine un aiuto potrebbe venire da una cospicua crescita dei prezzi nei paesi forti (Germania in primis) e da prezzi fermi o appena cedenti nei paesi che hanno perso competitività come si evidenzia dai loro conti con l’estero sofferenti.  Ciò che vediamo ora sono però prezzi cedenti grosso modo tutti allo stesso ritmo dell’armata prussiana. Purtroppo  nell’establishment tedesco l’inflazione continua a far  paura più di una guerra in Ucraina.  In queste condizioni i paesi devono fare da soli e non aspettarsi nulla dall’Europa. Il che non significa che senza l’Europa e l’euro si possa fare meglio. Anzi.  Come spiegarlo agli elettori non è però facile. Europa ed euro sono il nostro futuro, ma il presente è talvolta un po’ oscuro. Si seguita a discutere di temi  inconsistenti che appaiono  alibi per non affrontare i veri problemi che sono quelli di adottare politiche che conducano ad una maggiore condivisione. Oggi alcuni paesi traggono enorme beneficio dall’euro in quanto le difficoltà delle zone deboli calmierano il tasso di cambio dell’euro e regalano tassi d’interesse eccessivamente bassi solo ai forti.    Queste disparità di costi e benefici sono durate anche troppo a lungo. Se prolungate ulteriormente potrebbero erodere in modo irreversibile le basi della fragile integrazione europea. Uno dei suoi membri più importanti, la Gran Bretagna lo sta facendo da tempo con parecchio vigore.