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24 aprile 2024
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Mercato unico digitale e frammentazione

Patrizia Fariselli * - 01.09.2015
The Digital Market

Il metodo funzionalista, che mira a costruire de facto l’Unione Europea mediante politiche incrementali di integrazione in aree chiave della realtà socio-economica (le frontiere, gli scambi commerciali, l’agricoltura, la concorrenza, la giustizia, la moneta, etc.), creando così le condizioni per l’integrazione politica e de jure, spiega buona parte dei risultati acquisiti nell’architettura EU nel corso della sua storia, ma non assicura il loro automatico raggiungimento. Quando lo spirito nazionale prevale su quello europeo, come in questi lunghi anni, da una parte i risultati sono frutto di compromessi al ribasso, dall’altra l’espansione tecnica del processo di integrazione ad un numero crescente di aree di policy tende a generare un ingorgo amministrativo invece che contribuire ad un organico disegno. In questo contesto si rafforzano simultaneamente due fenomeni divergenti: da una parte la burocrazia europeista, a cui viene affidato il ruolo di protagonista nella direzione tecnica del processo di integrazione, dall’altra l’avvitamento antieuropeista degli Stati membri, che priva il processo stesso della leadership politica necessaria. L’indebolimento economico innescato dalla crisi finanziaria americana a partire dal 2007 e la sottovalutazione delle conseguenze sociali, oltre che politiche e di sicurezza, dei conflitti mediorientali e interni al mondo islamico hanno contribuito ad esasperare questa divergenza. Quando il PIL e la capacità produttiva diminuiscono, le diseguaglianze sociali si acuiscono, il debito sale, la spesa per il welfare si contrae, il terrorismo alligna e i flussi migratori intra-extra-europei si intensificano, la reazione degli Stati membri tende a essere difensiva e a sacrificare lo spirito europeista in nome dell’interesse nazionale. Al centro resta la burocrazia europea, cioè un sistema amministrativo che possiede una coerenza interna ma a cui manca il propellente politico unitario. In queste condizioni il linguaggio europeista che sopravvive alle ondate dello scetticismo, del populismo e dell’antieuropeismo perde molto del suo mordente e non è più sufficiente a generare la profezia che si auto-avvera.

Ne osserviamo gli effetti anche nel settore delle tecnologie dell’informazione di rete, che ci è più famigliare, in cui dal 2012 le politiche europee gestite dalla Commissione (DG CONNECT) ruotano attorno alla Digital Agenda e al progetto di Digital Single Market (DSM) e sono attualmente coordinate da due Commissari, Ansip e Oettinger, sulla base di un bilanciamento politico più che di una reale divisione del lavoro. Il progetto DSM mira a ridurre le barriere che ostacolano lo svolgimento del commercio elettronico (che è intrinsecamente globale) in Europa (che è frammentata), interrompendo la continuità degli scambi che attraversano online i confini degli Stati membri a causa del patchwork di differenti regimi fiscali, sistemi di prezzi dei servizi di pagamento e consegna delle merci, disposizioni sui diritti di proprietà intellettuale (IPR) e sulla protezione dei dati. Il ragionamento della Commissione è ‘obiettivo’: la frammentazione fa aumentare i costi delle transazioni digitali, quindi il mercato digitale a scala europea resta asfittico a fronte invece di un potenziale calcolato in 415 miliardi di Euro di crescita economica e in centinaia di migliaia di posti di lavoro. Tecnicamente, gli obiettivi del DSM sono articolati in 3 pilastri, 16 iniziative, 88 priorità, distribuiti su 46 unità operative.

Ma il DSM non si crea a tavolino, e tantomeno con campagne di sensibilizzazione sulla superiorità dell’idea di mercato unico rispetto alla frammentazione, poiché gli Stati hanno interessi diversi e ognuno gioca la sua partita indipendentemente dalla retorica del linguaggio europeista e dalle tabelle di marcia della Commissione Europea. In particolare, nel caso dell’industria dell’informazione e comunicazione digitali di rete il contrasto tra sistema unitario e sistema frammentato ha delle implicazioni complesse e contraddittorie. Le tecnologie digitali di rete consentono di collegare oggetti e attività diversi su piattaforme comuni, nella misura in cui tutto si traduce in bit che possono essere elaborati da software. Attività tradizionalmente separate (ricerca, amministrazione, produzione, marketing, consumo, comunicazione, organizzazione, intrattenimento) possono essere integrate, e ciò conduce a una loro riconfigurazione da una parte, e alla configurazione di nuove attività, organizzazioni, reti, business, prodotti e servizi dall’altra. Internet è diventata la piattaforma delle piattaforme, i più importanti player dell’economia oggi sono imprese/piattaforme (Over-The-Top, OTT) come Google, Amazon, Apple, Facebook che generano il loro business offrendo servizi digitali in rete che sono virtualmente indifferenti ai confini geopolitici.

Si pone pertanto un problema quando la globalità della tecnologia e del business si scontra con la frammentazione dei mercati e dei sistemi istituzionali. In particolare, si crea un problema quando imprese digitali, che hanno una determinata nazionalità, fanno business zigzagando da un paese all’altro in base al vantaggio fiscale, normativo, occupazionale, ecc. che possono trarre dalla differenziazione dei sistemi commerciali e istituzionali in cui si insediano mentre offrono servizi a un pubblico globale. Dall’altra parte, anche i singoli Stati o operatori nazionali di servizi digitali di rete – specialmente gli intermediari nel settore dei contenuti, degli IPR, della logistica, della sicurezza, dei pagamenti – in molti casi traggono vantaggio dalla frammentazione, nella misura in cui riescono ad attrarre investimenti diretti da parte di OTT globalizzati offrendo trattamenti fiscali di favore, o riescono a mantenere una rendita dal cosiddetto geo-blocking che entra in azione nel passaggio transfrontaliero di servizi e contenuti digitali. Esamineremo in un prossimo articolo il contrasto tra frammentazione reale e mercato unico virtuale nel caso della tassazione delle imprese americane che operano servizi digitali di rete negli Stati europei.

 

 

 

 

* Patrizia Fariselli è docente di Economia dell'innovazione presso l'Università di Bologna