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Limiti e risorse della "Grande coalizione" all'italiana

Luca Tentoni - 09.09.2017
Merkel e Schulz

Mentre in Germania si attende il voto del 24 settembre per sapere se sarà confermata al governo del Paese la "Grosse Koalition" fra i democristiani della Merkel e i socialdemocratici di Schulz, in Italia i due possibili alleati di una maggioranza consimile provano a mantenersi distanti: un po' per l'approssimarsi delle elezioni siciliane (che vedranno contrapporsi il candidato del Pd a quello del centrodestra unito), un po' perchè nessuno può dare per scontata oggi un'intesa "necessitata" che si concretizzerebbe eventualmente dopo le elezioni generali di marzo (con più che probabili durissime reazioni della Lega: Salvini, se escluso dall'accordo Berlusconi-Renzi, denuncerebbe il "tradimento" del Cavaliere). Inoltre, soltanto accennare all'eventualità di un'alleanza Pd-Ap-FI farebbe "fuggire" una parte dell'elettorato "di frontiera": da una parte, verso Mdp e sinistra; dall'altra, verso Lega e FdI. Secondo i sondaggi più recenti, oggi i tre partiti avrebbero complessivamente circa il 44% dei voti, contro il 47,2% ottenuto nel 2013 da Pd e Pdl. Con una buona campagna elettorale, Berlusconi, Renzi e Alfano potrebbero riuscire a raggiungere quota 47, ma la conquista della maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere non sarà né scontata, né facile. I possibili protagonisti italiani della "Grande coalizione" si presentano alle elezioni politiche con alcuni problemi "strutturali" in parte compensati da vantaggi (anch'essi ormai "storici"). Il problema più grave è costituito dalla minore capacità di conquista dei voti delle classi più giovani. Come riporta uno studio dell'Osservatorio elettorale LaPolis (Università di Urbino), nel 2013 i giovani al primo voto hanno dato solo il 30% dei consensi a Pd e Pdl (17,9% al primo, 12,1% al secondo) contro il 30,5% del solo M5S. Nella più ampia fascia d'età 18-29 il dato non cambia in modo sensibile: 30,5% Pd-Pdl, 31,6% M5S. La conquista della maggioranza alla Camera potrebbe rivelarsi difficile, sia perchè già nel 2013 Pd e Pdl hanno avuto il 2,8% in meno che al Senato (mentre il M5S ha ottenuto l'1,7% in più che a Palazzo Madama), sia perchè Ap deve cercare di raggiungere il 3% (al Senato, invece, può ottenere seggi alleandosi nelle regioni meridionali col Pd), sia infine perchè il sistema per l'elezione dei senatori (su base regionale, quindi con la ripartizione in sede locale di pochi seggi e - anche grazie alla soglia dell'8% - un effetto premiante per i maggiori partiti: M5S, Pd, Lega e FI) potrebbe lasciar fuori gruppi politici che invece hanno buone probabilità di ottenere una rappresentanza alla Camera. L'asimmetria dei sistemi elettorali per i due rami del Parlamento si abbina, dunque, al comportamento dei votanti non ammessi alla scelta dei senatori (i giovani fra i 18 e i 25 anni, praticamente tutti nati durante la "Seconda Repubblica"): il risultato è che la "Grande coalizione" può avere la maggioranza a Palazzo Madama, ma forse non a Montecitorio. Nel 2013 Pd e Pdl ebbero al Senato il 49,74% dei voti contro il 30,79% di Lega, M5S, FdI e Destra: un divario di quasi 19 punti, che alla Camera fu invece ridotto a poco più di 13 (46,93 a 33,24). La "questione generazionale" non è un peso di poco conto per la "Grande coalizione": la differenza fra voto delle coorti è enorme, tanto che fra gli ultrasessantacinquenni Pd e Pdl hanno avuto nel 2013 (sempre fonte LaPolis) il 63,6% dei voti alla Camera, contro il 30,5% della fascia 18-29, il 38,6% di quella 30-44, il 54,3% di quella 45-54 e il 49,4% della 55-64. Per quanto riguarda il Pd in particolare, non è un mistero che la fascia più anziana di elettori sia stata quella che ha votato maggiormente a favore della riforma costituzionale, al referendum del dicembre 2016: secondo Ipsos ha optato per il "no" solo il 51% dei votanti con più di 64 anni. Oltre al “limite generazionale” che accomuna Pd e Forza Italia, c'è quello territoriale. Nel Settentrione, i due partiti non mietono grandi successi (ancor meno Ap di Alfano), soprattutto nel Triveneto (2013: Pd-Pdl 38,8% contro il 46,9% nazionale, alla Camera) e, per quanto riguarda il partito di Berlusconi, anche nel Nord-Ovest (2013: 20,1% contro 21,5% nazionale). Già nel 2013 il Pdl raggiungeva il 20% solo in Lombardia, restando sempre sotto quella quota fino alle soglie del Lazio. Oggi, per di più, il partito di Berlusconi è accreditato del 13%, cioè circa l'8% al di sotto del Pdl 2013 e perdendo il 3,5-4% anche in confronto alle europee 2014. La presenza di Ap sembra far recuperare all'ipotetica "grande coalizione" un 3%, ma il totale dei tre partiti è ancora inferiore a quello del 2013, come si diceva in precedenza. L'ipotesi di una Lega al 15% nazionale postula che il Carroccio batta i suoi record precedenti e si attesti almeno al 25% nel NordOvest, al 29-30% nel Triveneto, al 10% nelle regioni centrali e fra l'1 e il 2% da Roma in giù. In altre parole, nel Settentrione ci sarebbe pochissimo spazio per Forza Italia. I competitori più forti sarebbero Lega, M5S e Pd. Nelle regioni centrali i due maggiori sarebbero Pd e M5S, mentre al Sud e nelle Isole la "Grande coalizione" potrebbe avvalersi - in Senato - dei voti di Pd, Ap e FI contro quelli del M5S (non pochi, ma praticamente quasi i soli "traducibili in seggi", poichè Lega e FdI non sono accreditati di percentuali rilevanti, mentre i partiti di sinistra dovranno misurarsi con l'impegnativa soglia dell'8%). Se nascesse, la "Grande coalizione" avrebbe, in Senato e soprattutto per quanto riguarda FI e Ap, una caratterizzazione territoriale degli eletti prevalentemente centromeridionale. Per contro, la compresenza di un M5S che nel 2013 ebbe il 23% al Nord (ma, nel 2014, il 18,7%) e di una Lega attestata oltre il 25% potrebbe dare all'opposizione una nutrita pattuglia di eletti settentrionali. Si avrebbe così il paradosso di un M5S verosimilmente più forte al Sud e nelle Isole, ma di una maggioranza di governo Pd-Ap-FI che proprio da Bologna o da Firenze in giù avrebbe i suoi risultati migliori. Gli stessi equilibri nella coalizione "necessitata" potrebbero essere molto diversi nella distribuzione territoriale dei voti e dei seggi: dominante il Pd su Ap-FI al Nord e nel Centro, prevalenti gli ultimi due nel Mezzogiorno e soprattutto in Sicilia. Queste tendenze sono state confermate dalle elezioni comunali del 2017, nei 64 comuni più grandi (capoluoghi e non).