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Le trasformazioni del sistema politico italiano

Paolo Pombeni - 15.07.2014
Berlusconi e Alfano

Il dinamismo del governo Renzi e la capacità del suo leader di monopolizzare la scena pubblica fanno sì che l’attenzione si concentri nel considerare questo fatto come centrale, lasciando a margine le complesse trasformazioni che, ciascuna con i propri tempi, stanno interessando il sistema italiano nel suo complesso.

Il primo rilievo da fare è che al momento gran parte dell’attività dell’opposizione sembra concentrarsi sul tentativo di bloccare a qualsiasi costo l’ascesa di Renzi e della classe dirigente che si è identificata con lui (un gruppo che comprende tanto nuovi adepti che lui porta alla ribalta, quanto pezzi della classe dirigente tradizionale che scommettono sulla sua vittoria finale). La debolezza di questa opposizione sta nel paradosso delle preoccupazioni “democratiche” (evitare lo strapotere di un leader) da parte di uomini e forze che sino a ieri non hanno avuto remore a farsi un comodo nido in un sistema in cui la “democrazia” subiva i condizionamenti (per non dire di peggio) di un sistema spartitorio fra tribù, clan, e quant’altro.

Tuttavia ancor più interessante è notare come si stia sfaldando un quadro politico che è stato a lungo fondato sulla frammentazione estrema senza che peraltro ciò porti, almeno al momento al tanto invocato bipolarismo. Dalla crisi del sistema pluripartitico, ma sostanzialmente circoscritto a circa sei forze significative, della prima repubblica si era precipitati in una polverizzazione che aveva visto in campo sino ad una ventina di “partiti” con un continuo trasmigrare di persone e un fuoco d’artificio di sigle e formazioni più o meno inventate. Ora la dinamica sembra essersi congelata.

La crisi di Forza Italia, sempre più evidente, non riesce infatti a far uscire dalle sue ceneri qualcosa di nuovo, né come rinascita di quel partito, né come fiorire di una formazione alternativa. Il Nuovo Centro Destra di Alfano sembra più o meno il replay, con diversa polarità di schieramento, di quel che fu Rifondazione Comunista nel travaglio del vecchio PCI. Scelta Civica ha mostrato il velleitarismo di calcoli fatti a freddo senza che si avesse a disposizione né un vero progetto politico, né un gruppo dirigente all’altezza della situazione. Le fibrillazioni della destra più radicale non hanno prodotto nulla di più di un partitino del mugugno.

Quanto ai fuochi di artificio della seconda repubblica, cioè l’Italia dei Valori e le varie costole e costoline dell’estrema sinistra, se ne è praticamente persa traccia, nonostante l’impegno di Vendola ad inventarsi di continuo qualcosa per non far morire quella presenza culturale.

E’ tutto un universo che semplicemente farebbe fatica a rendersi ancora visibile se non ci fosse il Gran Circo dei talk show che dovendo mettersi in scena praticamente ogni sera e su una pluralità di reti si trova quasi obbligato a dare palcoscenico a queste vecchie maschere (col sospetto che una parte almeno delle redazioni che fanno quel casting sia legata in vario modo a quel “mondo di ieri”).

La sostanza della faccenda è che il sistema politico italiano sta cambiando profondamente, ma non si riesce a capire come andrà a finire. Chi, come Corrado Passera, intuisce questo cambiamento e si candida per ricompattarne una componente (equivoca nel nome: moderati) non offre, almeno per il momento, elementi per farlo valutare come qualcosa di diverso dai fallimentari tentativi di Montezemolo, Monti e simili. Certo il personaggio è più abile sul piano comunicativo, perché offre una maggiore sensazione di essere uno che sa di cosa parla, ma per fondare un movimento politico che abbia presa non è molto.

Certo in questo panorama c’è la novità di Grillo e del suo M5S. Oggi è però lecito chiedersi quanto quel movimento possa durare, almeno come fenomeno di massa. Quel fenomeno era nato sull’onda del famoso “vaffa” ad una classe politica percepita come arrogante ed includente (nonché, almeno in parte, interessata più ai suoi affari che a quelli della gente). Ora quella classe politica l’ha fatta archiviare Renzi e non Grillo e quella arrivata ora al potere, se ha mantenuto qualche arroganza, certo non appare al momento così inconcludente. Ecco perché Grillo e i suoi devono cambiare strategia, se non vogliono perdere almeno il grosso del consenso acquisito, ma ciò non è facile perché si tratta di cambiare pelle sia per il gruppo dirigente sia per la massa dei militanti (massa, come è noto, più che variegata nelle sue componenti).

A queste fibrillazioni del panorama politico si aggiungono, come è ovvio, le mutazioni profonde della dislocazione del potere nella società. I passaggi di proprietà nell’industria e nei trasporti sono alcuni fenomeni visibili che dovrebbero attirare l’attenzione per scavare più a fondo nella ridislocazione delle reti di influenza. E’ un fenomeno che sta interessando una platea molto vasta, anche se è poco visibile: dal sistema della comunicazione a quello dell’industria, dalle stratificazioni delle varie burocrazie al mondo della cultura.

La “riforma costituzionale” che sarà decisiva è più questa che quella, pur molto importante e significativa, di cui si discute ora nelle aule parlamentari.