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L'analisi del sabato. Referendum consultivo e risvolti politici

Luca Tentoni - 17.10.2015
Referendum 2016

Se, come sembra, le prossime "letture" della riforma costituzionale (rispettivamente alla Camera, poi al Senato, infine di nuovo a Montecitorio) si svolgeranno nei tempi previsti, il referendum sul ddl avrà luogo nella seconda metà del 2016, a dieci anni esatti di distanza dalla più recente consultazione di questo tipo. Nel 2006 il popolo italiano respinse la revisione costituzionale voluta dal centrodestra, mentre nel 2001 il referendum confermativo aveva visto la vittoria dei sì al ddl (del centrosinistra) di riforma del Titolo V della Carta Repubblicana. La consultazione del 2016 chiuderà comunque un periodo storico, sia in caso di conferma del testo, sia in caso di rigetto. Nei quindici anni dal primo referendum consultivo i temi dominanti nel dibattito sulle riforme sono stati due: il rapporto centro-periferia (al quale era dedicato l'intero testo confermato nelle urne nel 2001) e il riassetto delle istituzioni, con particolare riguardo al bicameralismo e alla "governabilità" (che caratterizzava il testo del 2006, il quale tuttavia era un "omnibus" e conteneva anche le norme sulla "devoluzione", la presenza delle quali fu importante per la bocciatura popolare dell'articolato, anche se non va dimenticato il peso notevole che ebbero le polemiche sulla forma di governo). Federalismo e dialettica governo-Parlamento: una lunga storia che ha caratterizzato l'intera Seconda Repubblica. Se prevarranno i "sì", inizierà la sperimentazione del nuovo modello, che avrà ripercussioni sull'intero quadro costituzionale. Se avranno la meglio i "no", è prevedibile immaginare che per almeno due o tre anni (il resto della legislatura e i primi tempi della successiva) non si tornerà a parlare di ritocchi più o meno consistenti alla Costituzione; il discorso si potrà eventualmente riprendere dopo aver verificato i rapporti di forza politici nel Paese, scegliendo, com'è verosimile, soluzioni e proposte di riforma differenti da quelle respinte dal popolo. Il fattore però più interessante, ad avviso di chi scrive, è che per la prima volta un referendum confermativo costituzionale avrà luogo nel corso della stessa legislatura nella quale il testo del ddl è stato approvato. Nel 2001 e nel 2006, infatti, si votò pochi mesi dopo la fine della legislatura che aveva modificato la Carta Repubblicana. In entrambi i casi, la maggioranza di governo pro tempore era diversa da quella del periodo in cui era stata approvata la riforma. Nel 2001 e nel 2006, la battaglia referendaria non fu combattuta "all'arma bianca" (salvo forti richiami, però, da sinistra, nella seconda occasione, circa il possibile “strapotere dell’Esecutivo”) ma si svolse nel complesso senza eccessivi clamori e, in alcuni settori del mondo politico, con scarso trasporto. Stavolta sarà tutto molto diverso. Non si tratterà solo di esprimersi su una revisione costituzionale vasta (quella del 2006 era anch'essa corposa) ma legata ad una stagione politica passata e ad una coalizione non confermata al governo del Paese. Nel 2016 avremo il giudizio popolare su una riforma varata (come quelle del 2001 e 2006, del resto) quasi esclusivamente con i voti della maggioranza di governo, con la differenza che quella coalizione e l'Esecutivo da essa sostenuta saranno ancora (sostanzialmente: crisi pilotate e assestamenti sono sempre possibili) "in carica". Anzichè giungere come giudizio su un atto comunque appartenente ad una fase politica pregressa, il referendum diventerà, come abbiamo già accennato in una precedente occasione, una consultazione "di medio termine" anche sul rapporto fra Paese e maggioranza di governo. È, questo, un dato politico che si può minimizzare ma non ignorare. Il merito o la colpa della riforma (a seconda delle opinioni sul ddl costituzionale) sono del governo Renzi e dei partiti che lo sostengono e che hanno votato il testo nelle aule parlamentari. È inevitabile, perciò, che a un anno e 4-5 mesi dalla fine della legislatura (il referendum dovrebbe svolgersi fra settembre e novembre 2016, le Camere dovranno essere rinnovate a febbraio 2018) il "sì" o il "no" al testo della revisione costituzionale finiscano per assumere un valore tale da influenzare, se non addirittura predeterminare, l'esito delle non troppo lontane successive elezioni politiche. Un Renzi rinfrancato dalla vittoria referendaria avrebbe sicuramente più slancio per affrontare una prova elettorale e cercare di ottenere un mandato per la legislatura successiva. Il "no", invece, indebolirebbe il Presidente del Consiglio (che, non ancora giunto a Palazzo Chigi, appena diventato segretario del Pd, aveva già prefigurato le linee guida della futura riforma, facendone la bandiera della sua nuova stagione politica) e, verosimilmente, il suo partito. È impossibile depotenziare questo aspetto che certo peserà sulla campagna referendaria, probabilmente spostando molto l'attenzione dal merito del lungo articolato sottoposto al giudizio popolare, indirizzandola verso la contingenza politica e il confronto fra maggioranza e opposizioni. Certo, è bene che il "rumore di fondo" del dibattito partitico corrente non finisca per mutare l'esito della consultazione. Sarebbe sgradevole, infatti, ritrovarsi a promuovere o bocciare la riforma in modo del tutto "preterintenzionale".