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La vittoria di Pirro

Paolo Pombeni - 07.07.2015
Yanis Varoufakis

Al netto dei fanatismi delle fazioni di tifosi in campo quella di Tsipras e compagni è la classica vittoria di Pirro (altro che democrazia della Grecia antica!). Tecnicamente il ricorso al referendum popolare sulla base di una domanda ambigua e con un settimana di preparazione è una classica mossa di natura “bonapartista”: chissà se i “sinistri” di casa nostra hanno mai letto il classico testo di Marx al proposito. Un risultato diverso avrebbe richiesto una consapevolezza popolare quasi eroica e soprattutto qualche prospettiva per il futuro che Tsipras ha impedito fosse vista e che purtroppo la mancanza di una leadership europea unitaria ha impedito che ci fosse.

Detto questo, il futuro che si apre è davvero un mare ignoto. Diciamo subito che è vano ragionare semplicemente su quel che succederà “adesso”. Fatti come quello di cui ci stiamo occupando hanno effetti che si dipanano in un periodo medio-lungo.

Se la UE cederà al ricatto populista di Tsipras grazie all’alleanza che questi pensa di avere dagli USA e dalla Cina lo vedremo nei prossimi giorni. Certo Obama è preoccupato per un possibile indebolimento del fronte sud della Nato, considerando la posizione sempre più ambigua della Turchia e le turbolenze nell’area mediorientale. La Cina teme per un indebolimento se non collasso dell’euro visto che ha da tempo puntato su questa moneta come moneta di riserva per bilanciare il potere del dollaro. Entrambi dunque non vedono di buon occhio un default greco.

Tuttavia per l’Europa si apre un duplice problema. Il primo è che cedendo al ricatto populista di Tsipras si dissolve la possibilità di affermare il dovere dei membri dell’Unione di adeguarsi a regole di comportamento comuni. Ci sono anche una serie di tecnicalithies sulla natura delle obbligazioni sui prestiti, scadenze, poteri della BCE e quant’altro che pure vanno tenute presenti. Il secondo è che un salvataggio della Grecia che prescinda dal chiederle conto dei costi delle sue politiche spregiudicate non solo aprirebbe il vaso di Pandora di tutti i membri in difficoltà che chiederebbero trattamenti simili, ma quello ben più pericoloso di popoli che chiederebbero ai propri governi per quale ragione essi devono sopportare l’onere di finanziare il deficit (allegro) dei greci.

Coloro che invocano il concetto di “solidarietà” fra i popoli dimenticano che questa può fondarsi solo su due presupposti: o il dovere di soccorrere chi senza sua colpa sia colpito da una catastrofe (tipo quelle naturali), oppure il sostegno reciproco che devono prestarsi i membri di una medesima “comunità di destini”. Ora nel caso della Grecia il primo caso sicuramente non ricorre e il secondo è più che ambiguo, perché è arduo considerare che la UE sia una “comunità di destini” senza una realtà federale comune, e con i paesi membri che non rinunciano alla loro “sovranità” (a cominciare dai greci).

In queste condizioni come andrà a finire nel brevissimo periodo è arduo da immaginare. Per i vertici dell’Unione non è semplice decidere di punire il bullismo di Tsipras che si sta già costruendo l’immagine del martire, sicché può anche darsi che cedano ad un compromesso che sarà necessariamente un pateracchio. C’è in questione anche il montare di un assurdo sentimento anti tedesco, che purtroppo è un cattivo retaggio storico: bisognerebbe tenere conto che è difficile promuovere un “peso” dell’Europa se un paese chiave come la Germania se ne sfilasse. E senza un peso europeo il nostro futuro nelle circostanze attuali non sarebbe roseo. Non sappiamo se il “sacrificio” di Varoufakis sull’altare di una ripresa del dialogo possa avere qualche effetto duraturo.

Meno arduo immaginare come andrà fra qualche tempo. La Grecia non è un paese che possa riprendersi se non è messa in grado di svilupparsi economicamente. Questo non può accadere certo con una politica di sussidi europei, che non possono durare comunque oltre un certo limite. Non serve neppure in assoluto la ristrutturazione del debito, perché lo sviluppo richiede capitali, investimenti, un contesto economico dinamico e non sappiamo davvero chi vorrà investire in maniera adeguata in un paese che si comporta come suggerisce il governo Tspiras.

Chi ha spensieratamente detto che la soluzione di tutto starà nella revisione dei trattati europei non ha spiegato come questo sarebbe possibile. Rivedere i trattati richiede negoziati a 28, poi approvazione delle modifiche da parte di 28 parlamenti e forse dei passaggi referendari in più di uno stato. Anche a prescindere dal fatto che questa dinamica si intreccerebbe con l’incognita del referendum britannico sull’adesione all’Europa nel 2017, non ci vuole molto a capire che si tratta di un percorso che prenderà più di un anno e il cui esito finale è più che incerto. Si ricordi cosa è accaduta con il tentativo di scrivere una “costituzione europea” che alla fine era un testo molto meno impegnativo di quello che si dovrebbe scrivere dopo il pasticcio greco.

Come si possa pensare che in un anno e più di trattative per questa revisione tutto rimarrebbe fermo e tranquillo proprio non riusciamo a capirlo

Ci aspettano tempi difficili per tutti, ma in particolare per il nostro paese dove l’impreparazione di una larga parte della classe politica e il suo parlare a vanvera ci metteranno in una inevitabile posizione di debolezza al tavolo coi nostri partner.