Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

La toppa e il buco

Paolo Pombeni - 13.07.2016
Matteo Renzi

Peggio la toppa del buco: così suona un vecchio detto veneto ed è quanto c’è da chiedersi con la ripresa di fibrillazioni sullo (s)combinato disposto riforma elettorale – riforma costituzionale.

Per un po’ era parso prendesse quota l’ipotesi dello “spacchettamento”, poi era parso tramontasse, ma non si sa, perché ormai si vive di ipotesi buttate lì per vedere l’effetto che fa. Tecnicamente ci si è forse resi conto che la strategia di dividere il quesito da sottoporre agli elettori in tanti sottoquesiti non è che funzioni tanto bene. In primo luogo perché se si accetta il principio, astrattamente concepibile, di chiedere una pronuncia su ogni punto in cui si articola la riforma si dovrebbero fare molti quesiti e gli elettori ne uscirebbero frastornati. Anche in quel caso infatti la cosa più probabile è che su un lungo elenco di quesiti prevalga la presa di posizione generale (ed a priori) per il sì o per il no, sicché si sarebbe punto e a capo. A meno che qualcuno non consideri un possibile successo un voto in massa per la sola abolizione del CNEL.

La possibilità di contraddizioni è dietro l’angolo. Facciamo un esempio facile: si propongono quesiti distinti per decidere se il Senato deve avere o no gli stessi poteri della Camera e se il senato debba o no essere composto da rappresentanti dei consigli regionali. Potrebbe facilmente accadere, stando al dibattito attualmente in corso,  che il primo quesito veda la prevalenza del sì e il secondo del no. Ma una legge che regolamenta la composizione del senato che sarebbe dunque diverso dall’attuale in quanto non più paritario ha per sua natura un rango costituzionale e dunque si dovrà andare al sistema delle due letture omogenee, che coinvolgerebbero però un senato ormai privo dello statuto paritario (ma intanto con i poteri previsti per il nuovo?) e un sistema parlamentare in fibrillazione continua, da cui non ci sembra facile attendersi in tempi brevi una soluzione del problema. Per tacere del caso, neppur tanto teorico, che nel frattempo si dovesse ricorrere ad uno scioglimento anticipato della legislatura e dunque ad una tornata elettorale in cui si voterebbe per un senato che mantiene le dimensioni attuali e che bisognerebbe decidere come eleggere.

Non è difficile allargare questo tipo di ragionamento. In fondo tutto dipende da due fattori di cui gli addetti ai lavori sono consapevoli, ma che non si vogliono esplicitare alla gente per il non infondato timore che ci potrebbe anche essere una reazione poco gradevole.

Il primo fattore è il desiderio insopprimibile che ha una parte della classe politica di prendere l’occasione per sbarazzarsi di Renzi e rimettere in ordine il sistema sostanzialmente consociativo della prima e della seconda repubblica (consociativismo che in quest’ultima era solo sottoposto a maggiori scossoni). Ci sono alleanze con queste posizioni anche in certi strati delle classi intellettuali (chiamiamole così) perché anche lì ci sono posizioni in bilico. Il secondo fattore sembrerebbe in contraddizione col primo, ed è il timore che una bocciatura della riforma costituzionale, tutt’altro che esclusa a stare ai sondaggi attuali, porti ad una grave crisi di tutti i nostri equilibri, politici, economici e sociali. Di qui una certa tendenza a non scartare soluzioni che possano posporre il confronto tipo ultima sfida nella speranza non solo di riuscire a far maturare l’opinione pubblica, ma di mettere almeno al sicuro la legge di stabilità, cioè gli impegni finanziari e di bilancio per il 2017.

Non è però facile trovare una strada per raggiungere entrambi i risultati: disarmare i fautori della soluzione finale e mantenere un governo che possa sistemare almeno ad un certo livello la posizione del paese sia a livello interno sia a livello internazionale.

Certamente la presenza di una legge elettorale che è oggettivamente pensata per rimettere in discussione la feudalizzazione del campo elettorale così come si era strutturata nel ventennio passato rende più difficile qualsiasi negoziato, anche per il fatto, non banale, che quella feudalizzazione è comunque in fase di revisione quanto a raccolta del consenso (e ciò fa impazzire buona parte degli attori in campo).

Il problema è che a fronte dei “buchi” che indubbiamente la situazione attuale presenta, le “toppe” che gli improvvisati sarti cercano oggi di applicarvi non risolvono affatto i problemi. Lo spacchettamento non annullerà la battaglia finale fra pasdaran del no e sostenitori del sì, al massimo restringerà il campo di reclutamento delle varie truppe e non si sa chi ne trarrà più giovamento. Una banale riforma dell’Italicum che rianimi l’agonia dei vecchi partitini con l’ossigeno delle coalizioni non ci consegnerebbe la governabilità, ma soprattutto aiuterebbe i Cinque Stelle a presentarsi come l’unico partito che ha il coraggio di battersi da solo per l’uscita dal contesto del “vecchio mondo”.

Converrebbe cercar di richiamare alla responsabilità che ciascuno deve assumersi circa il futuro di un paese che andrebbe riproposto con la famosa metafora della barca su cui siamo imbarcati tutti, per cui in caso di naufragio non ce ne sarà per nessuno. Argomento razionale che però non è adatto a convincere l’irrazionalismo molto diffuso.