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La politica dopo le piazze

Paolo Pombeni - 02.02.2016
Manifestazioni pro e contro l'unione civile

Tutti a chiedersi quale sarà l’impatto delle due opposte manifestazioni, quella delle coppie arcobaleno e quella del “Family Day”, sulla politica italiana. Domanda non infondata, ovviamente, perché entrambe hanno minacciato e tuonato contro i politici invitandoli ad allinearsi alle loro posizioni, pena il solito “altrimenti che ne ricorderemo alle prossime elezioni”. Che si tratti davvero della “volontà del popolo” è piuttosto dubbio: nell’uno e nell’altro caso si è trattato di minoranze integraliste, per quanto di una certa consistenza, con scarse capacità di proporre autentici terreni di confronto. Tuttavia sarebbe altrettanto dubbio che tutto passerà senza conseguenze.

Ciò su cui conviene riflettere è la difficoltà di impostare un confronto razionale sui problemi che la nostra società pone sul tappeto. Tanto per spiegarci, citiamo un altro fatto meno dirompente a livello pseudo-etico del problema del disegno di legge Cirinnà: la protesta dei cittadini rimasti coinvolti nel disastro delle ormai famose quattro banche. Anche in questo caso le proteste puntano più a provare di imporre una qualche forma di ricatto alla politica che non a chiedere interventi che possano inquadrarsi in una logica di sistema.

E’ curioso, per esempio, che, tornando al tema delle proteste a favore (presunto) della famiglia, si chieda piuttosto la cancellazione del disegno di legge che non il varo di politiche attive di sostegno ai molti problemi che essa affronta nella società di oggi. Siamo molto carenti in Italia quanto a politiche di questo tipo, che però non scatteranno certo se si equiparano o meno le unioni civili al matrimonio. Perché non sarà con quello che si attiveranno sistemi di aiuto all’accudimento dei figli, di sostegno alla genitorialità, politiche in favore della natalità e via elencando. Del resto queste politiche non sono state oggetto centrale del “Family Day” come non lo sono state delle manifestazioni delle coppie cosiddette arancioni.

Lasciando agli intellettuali che devono mostrarsi sempre all’avanguardia di discettare sulle teorie circa l’evoluzione sociale o circa la naturalità antropologica di certi istituti, vediamo invece di concentrarci sulla debolezza attuale della politica nel governare questo fenomeno, come del resto, sempre per non accettare di ridurre tutto ad una sola questione, nell’affrontare il tema dei risparmiatori che si sentono truffati dalle banche fallite.

Non crediamo di sbagliare se denunciamo un duplice fenomeno. Da un lato i vertici della politica organizzata a livello parlamentare e partitico non riescono a sfuggire all’esibizione muscolare. Possono farlo dal punto di vista dell’affermazione che una legge su un fenomeno che è ormai un dato consolidato non solo in Italia, ma nei paesi occidentali è imprescindibile e dunque avanti tutta senza ripensamenti. Se è vero che obiettivamente non si può fare senza una normativa che ci consenta di relazionarci con altre normative intorno a noi, è altrettanto vero che questo non è un argomento che da solo possa bloccare le inquietudini sociali che innegabilmente esistono. Sul versante opposto possono farlo accarezzando gli integralismi dell’uno o dell’altro settore nella speranza di raggranellare voti (preziosi in questi tempi di astensionismo spinto).

Così però la politica abdica al suo compito principale che non è quello di “riscaldare” animi e cuori, ma quello di raffreddare le tensioni incanalandole in soluzioni condivise. Si potrà certo obiettare che alla tentazione di “infiammare” le piazze la politica non è mai riuscita a sottrarsi neppure in passato. Però la differenza con l’oggi era che una volta si trattava, per così dire, di incendi controllati: i partiti facevano dare sfogo a pulsioni elementari, ma potevano richiamarle all’ordine a tempo debito e farsi dare la delega a risolvere in termini razionali (relativamente razionali, è ovvio) i problemi che erano sul tappeto.

Ciò era possibile quando i partiti erano canali di comunicazione e, come si dice in senso tecnico, di disciplinamento fra le passioni sociali, o anche semplicemente le richieste della società ed i luoghi dove si “governava” quanto richiesto da quelle fenomenologie. Oggi sembra dubbio si possa parlare ancora in questi termini. Piuttosto sono le piazze, ovvero le pulsioni sociali a cercare di piegare quel che resta dei partiti, ma soprattutto le forze che attraverso i vari strumenti istituzionali concorrono a governarci.

Non è un fenomeno da sottovalutare, ma per contenerlo non basta che soprattutto i governi semplicemente agiscano senza porsi troppo il problema del consenso sui singoli provvedimenti, nella convinzione che alla fine si potrà compensare tutto in un grande scontro/confronto su qualche tema generalissimo. La costruzione del consenso è un passaggio indispensabile della democrazia e se ci si lascia espropriare da questo compito si finisce per mettersi nelle mani di quelli che una volta si chiamavano banalmente i demagoghi. Combatterli allora diventerà molto difficile e se si venisse sconfitti da loro il futuro del sistema costituzionale e democratico sarebbe pesantemente a rischio.