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La politica dei picconatori

Paolo Pombeni - 08.04.2017
Luciano Cafagna

Se qualcuno prestasse interesse solo al cicaleccio della classe politica sembrerebbe che il principale problema che ha l’Italia sia Renzi, che si deve decidere se beatificare come unico orizzonte disponibile o bruciare sul rogo (virtuale si spera) come perfido potenziale dittatore che inquina la vita del paese. Chi sta tra la gente non si meraviglia che quasi la metà degli elettori continui ad allontanarsi da questo modo di far politica le cui motivazioni sono più che oscure.

Un debito pubblico che è al 132% sembra non impensierire, così come poca eco suscitano le nuove oscillazioni dello spread che ogni tanto sembra avvicinarsi ai 200 punti (e si dice possa anche arrivare a superarli). Qualche attenzione in più è riservata ai dati della disoccupazione specie giovanile, ma solo per qualche lamentatio di maniera, perché grandi sollevazioni per questa ragione non se ne vedono. Se subiremo o meno un procedimento di infrazione da parte della UE sembra dipendere più che altro dalla determinazione o meno dei nostri ministri di battere pugni sui tavoli (tanto non ci saranno grandi conseguenze, ci viene suggerito).

Il dibattito pubblico è in gran parte dominato dalle zuffe interne ai partiti e da quelle che vanno conducendo fra di loro. Se su queste ultime ci si raccapezza un po’ meglio, perché in fondo rientra quasi nella normalità che i partiti si scontrino (magari con più stile e contenuti più ragionevoli, ma purtroppo non sono i tempi), la brama di scontri interni è invece una caratteristica dei sistemi in via di dissoluzione: una prospettiva poco allettante per chi abbia un poco di amore per questo paese.

Il fatto è che sembra sia l’ora dei picconatori, che pensano però di stare costruendo un futuro. Siccome è una storia vecchia, torna alla mente una immagine che lanciò molti anni fa Luciano Cafagna quando era testimone della dissoluzione della cosiddetta Prima Repubblica. Scriveva Cafagna che questi apprendisti stregoni erano illusi di aver inventato un attrezzo che era al tempo stesso un piccone e una cazzuola, cioè che automaticamente ricostruiva mentre distruggeva, ed invitava a constatare che un simile attrezzo non esiste.

Eppure è quello a cui stiamo assistendo. Prendiamo l’assurdo scontro nel PD fra “politici” e “tecnici”. Il consueto e famoso “Candido” non riesce a capire di che si discuta. Dice il supposto tecnico Padoan che bisogna privatizzare e fare alcuni interventi economici (tipo la riforma del catasto) per mantenere la nostra credibilità internazionale (e si sa quanto ne abbiamo bisogno sui mercati). Rispondono i politici del partito che queste sono considerazioni che non tengono conto del gradimento della gente (naturalmente non la spiegano apertamente così, ma il senso è chiarissimo). Ora “Candido” si chiede: ma se senza quegli interventi il paese andrà peggio, che proposta “politica” sarà mai? Magari la gente sarà contenta nell’immediato, ma poi piangerà lacrime amare.

Ai picconatori queste argomentazioni non interessano, perché sono assediati dalla concorrenza di un’altra marea di picconatori che la mettono giù anche più dura. Nessuno che si chieda semmai come declinare in maniera migliore le politiche che si contrastano.

Prendete la riforma del catasto con le case valutate con criteri più adeguati. Se ne parla minimo da vent’anni, anche più. Il catasto attuale è pieno di storture, ma siccome si teme che un diverso modo di calcolare il valore degli immobili porti ad aumenti generalizzati della tassazione non se ne vuole far niente. In un mondo razionale, la soluzione sarebbe quella di rivedere i parametri e adeguare le aliquote da applicare in modo da non creare sperequazioni e ingiustizie, ma la verità è che alla possibilità di fare riforme razionali non crede più nessuno.

Il ragionamento può essere esteso. Perché non si possono privatizzare le Poste? Perché quell’operazione non è gradita ai sindacati e a tanti poteri pubblici che vi si sono annidati. Si è santificata la Consip perché il suo vertice ha avuto il coraggio di denunciare il padre di Renzi, ma nessuno si chiede come mai questo integerrimo signore sia a capo di una struttura nella quale l’ANAC di Cantone ha individuato sistemi di appalto a dir poco assai discutibili.

La promozione di un sistema che stia decentemente in piedi dovrebbe essere interesse di tutti. Una volta si insegnava che la democrazia dell’alternanza non era distruttiva, perché anche l’opposizione che lavora per sostituire la maggioranza alla prima elezione utile ha interesse a collaborare a tenere in buona salute un sistema alla cui testa punta ad arrivare. Visto quel che sta succedendo in questi momenti viene la tentazione di dire che quella teoria va radicalmente rivista.

Lo slogan della politica non può essere: “picconate, picconate, qualche maceria vi toccherà pure alla fin fine”. In un quadro del genere è troppo facile che ad un certo momento prevalga la tendenza ad affidarsi ad un “regolatore dei conti”, quale che sia. Sarebbe una tentazione molto pericolosa non solo in sé, ma nel contesto di un’Europa e di un mondo dove ci sarà sempre meno spazio per soluzioni inventate a base di slogan e vaghi sogni.