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27 marzo 2024
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La frammentazione parlamentare

Luca Tentoni - 23.07.2016
Openpolis

Il fenomeno della frammentazione e moltiplicazione dei gruppi parlamentari non conosce soste. Si tratta - come vedremo - di un aspetto tipico della Seconda Repubblica. Dall'insediamento del Parlamento, i sette gruppi (va detto che fra questi, alla Camera, è incluso quello di Fratelli d'Italia, costituito solo dopo la seduta del 2 aprile 2013, in deroga al numero minimo) di Montecitorio e Palazzo Madama (più il Misto) sono diventati nove più uno alla Camera e altrettanti in Senato. I gruppi misti - inizialmente (ma dopo la costituzione alla Camera di FD'I) erano composti da 14 deputati e 11 senatori, quasi tutti di minoranze linguistiche, eletti all'estero o di gruppi minori - mentre oggi sono formati complessivamente da 89 parlamentari (63 a Montecitorio, 26 a Palazzo Madama) divisi a loro volta in otto componenti alla Camera e sei al Senato (più i non iscritti). Nel frattempo, i tre principali gruppi parlamentari del 2013 (quelli di Pd, Forza Italia e M5S) sono scesi complessivamente da 499 a 442 deputati e da 251 a 188 senatori. Per la verità, il Pd non è stato interessato dal fenomeno (anzi, ha accresciuto i propri gruppi di otto unità a Montecitorio e sette a Palazzo Madama) mentre il calo ha colpito forzisti e Cinquestelle. La diaspora più marcata si è però avuta in Scelta Civica, che aveva il quarto gruppo più numeroso in entrambi i rami del Parlamento. Secondo Openpolis ( http://parlamento17.openpolis.it/i-gruppi-in-parlamento/camera) sono 142 i deputati e 117 i senatori che hanno cambiato gruppo dall'inizio della legislatura. La composizione e la scomposizione di un gruppo parlamentare possono avvenire per una molteplicità di cause: alcune politiche, altre personali. Le scelte individuali non sono sindacabili (rientrano nell'assenza di vincolo di mandato di cui all'articolo 67 della Costituzione) così come quelle politiche possono essere soltanto rimesse al giudizio degli elettori. Però, mentre durante la Prima Repubblica le scissioni di gruppi (quella che fa nascere i socialdemocratici nel 1947, quella dei monarchici nel 1954, quella che stacca il Psiup dal Psi nel 1964 e la nuova divisione socialista del 1969, così come la scissione di Democrazia Nazionale dal Msi nel '76-‘77) hanno dato vita a partiti che si sono presentati alle elezioni successive, non altrettanto si può dire per alcuni (parecchi) casi verificatisi durante la Seconda Repubblica. Ci sono soggetti politici rimasti in vita per pochi mesi o pochi anni, ai quali non è seguita la creazione di un partito presente con liste autonome alle elezioni successive. Il proliferare dei "partiti parlamentari" - che cioè nascono e muoiono nel corso di una legislatura col divenire dei gruppi - è diventato un fenomeno di spicco e di interesse per gli analisti politici, così come è diventato rilevante il ruolo del Misto. Quest'ultimo gruppo, infatti, era concepito per accogliere i parlamentari dei partiti delle minoranze etniche e i rappresentanti di soggetti politici che non raggiungevano un certo numero di seggi, oltre ai singoli deputati che decidevano di lasciare il proprio gruppo d'elezione per i motivi più svariati. Nella Prima Repubblica - esaminando solo la Camera dei deputati, per praticità - il gruppo Misto ha sempre avuto dimensioni modeste. A fine legislatura (a distanza di anni dall'insediamento dei parlamentari, dunque nel momento di teorico "massimo logorio" dei rapporti personali e politici) si presentava questo quadro: il Misto della Camera aveva 23 membri nel 1953 (termine della I legislatura), 15 nel 1958, 15 nel 1963, 8 nel 1968, 17 nel 1972, 10 nel 1976, 14 nel 1979, 24 nel 1983 (compresi gli 11 della Sinistra indipendente, però), 8 nel 1987, 16 nel 1992, 21 nel 1994 (cioè alla conclusione dell'ultima legislatura della Prima Repubblica). In media, insomma, il Misto era composto da 15-16 deputati (su un'Assemblea variabile fra 572 e 630 componenti). Anche il numero dei partiti con più di cinque seggi e dei gruppi parlamentari diversi dal Misto non era sensibilmente aumentato col tempo: 7 partiti con più di 5 seggi nella prima Camera dei deputati (7 gruppi a fine legislatura, per la divisione fra comunisti e socialisti), 7 nella seconda (8 gruppi per la scissione monarchica), 9 nella terza (7 gruppi), 8 nella quarta (8 gruppi), 8 nella quinta (9 gruppi), 7 nella sesta (7 gruppi), 7 nella settima (10 gruppi), 9 nell'ottava (9 gruppi), 9 nella nona (9 gruppi), 10 nella decima (11 gruppi). Solo nel 1992 si ebbero 12 partiti con più di 7 seggi e, a fine legislatura, 13 gruppi parlamentari (oltre al Misto, ovviamente): si trattava, però, dell'ultimo voto della Prima Repubblica, cioè dell'inizio della transizione. Anche durante la Seconda Repubblica il numero dei gruppi parlamentari è rimasto relativamente contenuto: a fine legislatura se ne contavano (oltre al Misto) 9 nel 1996, 8 nel 2001, 7 nel 2006, 13 nel 2008, 7 nel 2013 (oggi sono nove più il Misto). Insomma, sembra che poco sia cambiato: dal numero medio di 8,9 gruppi della Prima Repubblica si è passati a 8,8 nella Seconda (ricordando, però, che dal 1994 in poi si sono adottati sistemi elettorali maggioritari o comunque premianti per i partiti maggiori, in luogo della proporzionale del periodo 1948-1992). Il tutto, ovviamente, tenendo anche conto delle deroghe che nella storia hanno permesso a partiti più piccoli di costituire un gruppo autonomo. Quel che è mutato fra i due sistemi di partito, insomma, è proprio il Misto, che prima era un luogo riservato a gruppi e personalità minoritarie e che negli ultimi due decenni è invece diventato - suo malgrado - uno dei principali protagonisti della vita politica, con le componenti che hanno fatto la fortuna o la sfortuna dei governi. Il "luogo dell'osmosi" dove alcuni parlamentari sono transitati (com'è accaduto in alcune legislature, durante le quali si sono registrati persino più di 4 cambi di gruppo da parte dello stesso parlamentare, in più casi) ha assunto dimensioni ben superiori a quelle medie (15,5) e persino alle maggiori (24) raggiunte durante la Prima Repubblica: 36 deputati alla fine della XII legislatura (1996), 94 nel 2001 (fine XIII), 64 nel 2006 (fine XIV), 33 nel 2008 (fine XV), 71 nel 2013 (fine XVI) e 63 oggi (XVII legislatura). I due gruppi misti meno numerosi appartengono alle due legislature più brevi, mentre il più affollato è quello della legislatura 1996-2001 con i quattro governi dell'Ulivo (Prodi I, D'Alema I e II, Amato II) seguita da quello del 2008-2013 con l'ultimo governo Berlusconi e il governo tecnico di Monti. I numeri dell'attuale legislatura - considerando anche che siamo a tre anni dall’insediamento - non sono però molto lontani dai più elevati (già superano la media di 59,6 componenti a fine legislatura del periodo 1994-2013). C'è da chiedersi - al di là delle scelte dei singoli - se vi sia qualche strumento regolamentare che, senza impedire la libera evoluzione delle posizioni politiche individuali o di settori più o meno grandi dei partiti, possa evitare l'ipertrofia del gruppo Misto e la proliferazione delle "componenti" (inevitabile, dato l'elevato grado di eterogeneità di quest'ultimo). Nel 2000 la Camera dei deputati respinse la proposta dell'allora presidente Luciano Violante che "innalzava da venti a trenta deputati il numero minimo per costituire un gruppo, aboliva il Misto (i parlamentari non aderenti a un gruppo sarebbero stati dichiarati "non iscritti", quindi avrebbero potuto restare soli oppure aderire ad uno dei gruppi già esistenti), forniva servizi aggiuntivi ai gruppi maggiori, impediva al deputato uscito da un gruppo o espulso di iscriversi ad altro gruppo o componente, a meno che il suo gruppo d'appartenenza non avesse cambiato atteggiamento nei confronti del governo (passando all'opposizione o da questa nella maggioranza, per esempio), limitando, infine, la costituzione di nuove componenti” (cfr. Luca Tentoni - "Verso il referendum del 21 maggio 2000: governo, partiti, frammentazione parlamentare" - Giuffrè). Si tratta di disposizioni molto stringenti, che, come altri strumenti del diritto parlamentare, potrebbero produrre effetti anche drastici. Ci si deve chiedere, tuttavia, se è sufficiente autorizzare solo la nascita di gruppi che portano lo stesso nome del partito che si è presentato alle elezioni e ha ottenuto almeno 20 seggi per "risolvere" il problema. Se, insomma, la tecnica può e deve intervenire su dinamiche e scelte che sono, invece, prettamente politiche. Mentre i partiti della Prima Repubblica erano caratterizzati - oltre che da una notevole fedeltà da parte dell'elettorato - da gruppi parlamentari raramente soggetti a defezioni (se non per motivi politici gravissimi, come le scissioni, che peraltro hanno riguardato soprattutto il mondo socialista e la destra monarchico-missina, lasciando pressochè intatti la Dc e il Pci), nella Seconda Repubblica è cambiata la dialettica politica. Si è passati dal confronto fra correnti ad uno scontro che non esclude - anzi contempla come ipotesi possibile e talvolta preferita - l'uscita dal partito. Il tutto, nonostante i sistemi elettorali abbiano fatto il possibile per "legare" l'eletto al soggetto politico di provenienza, col collegio uninominale prima (responsabilità verso gli elettori del luogo dove si veniva eletti) poi con la lista bloccata (l'elezione "garantita" o quasi dal partito), senza contare lo strumento della selezione preliminare con primarie (Pd) o "parlamentarie" (nel caso del M5S) che avrebbero potuto/dovuto aumentare il collegamento con la "base" del partito. Il fenomeno della proliferazione degli iscritti al Misto, insomma, è difficile da delineare e sottoporre ad una regolamentazione (sempre che essa risulti opportuna, il che non appare del tutto pacifico), ma soprattutto va riguardato sotto molteplici aspetti che con le regole di funzionamento e composizione delle Camere hanno poco a che fare. L'evoluzione della "forma partito", la transizione verso una "Terza Repubblica" (con soggetti politici e schieramenti non ben ancora delineati), la natura insieme parlamentare e leaderistica del governo e dei rapporti di forza politici, la mancanza di un sistema dei partiti solido e dotato di "confini interni" (ideologici, si sarebbe detto un tempo) ed "esterni" (alleanze strutturali) sono tutti elementi da esaminare se si vuole avere un quadro più completo della situazione. Così, il "caso del gruppo Misto" e la "migrazione parlamentare" non sono cause, ma effetti, modi di essere di un sistema politico irrisolto, uscito dal bipolarismo della Seconda Repubblica dopo le elezioni del 2013 ma erede dell'osmosi parlamentare che ha caratterizzato quest'ultima. Si tratta di un insieme di nodi politici da analizzare e sbrogliare, che non saranno sciolti semplicemente con le riforme elettorali e costituzionali o con soluzioni improntate alla comunicazione e al marketing, ma che richiedono uno sforzo più ampio di ricostruzione di un tessuto politico e partitico e di un rapporto fra eletti ed elettori: un recupero di accountability, insomma, per un sistema che è ancora lontano dal trovare nuovi e più stabili assetti.