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L’enigma Pisapia

Paolo Pombeni - 15.07.2017
Pisapia e Renzi

Era stato presentato come il federatore della sinistra che si trova al di fuori del PD, ma si era evitato di considerare che le federazioni sono operazioni difficili, perché ci vuole molto tempo perché si verifichino le necessarie “cessioni di sovranità”: la storia dell’Unione Europea forse potrebbe insegnare qualcosa. Sin qui risulta più che altro una speranza di quella quota di opinion leader e opinion maker che puntavano alla nascita del contrappeso ad un Renzi che non si riusciva a contenere in nessun modo, ma di cui si sapeva di non poter fare a meno.

L’operazione sta fallendo esattamente su questo punto, per opera congiunta delle due parti in campo e anche, ammettiamolo, per l’inadeguatezza che sino a questo momento rivela Pisapia. L’ex sindaco di Milano, elevato a simbolo di una delle rare operazioni vincenti di coalizione a sinistra, doveva essere il personaggio in grado di raccogliere attorno a sé i delusi da quello che consideravano il moderatismo renziano, ma senza che con ciò si cadesse nell’eterno vizio della sinistra, quello di costruirsi un demonio da combattere anche a costo di condannarsi alla minorità politica. Pisapia aveva dunque prospettato un suo ruolo che era al tempo stesso di federatore della sinistra che si ritiene quella “vera” e di pontiere verso un PD la cui alleanza era comunque indispensabile se si voleva andare al governo.

Ha sottovalutato il fatto che ai federandi l’operazione non andava affatto bene. L’antirenzismo è per loro un dato costitutivo, vero erede delle fortune (si fa per dire) dell’antiberlusconismo d’antan. Ammettere la possibilità di governare col PD retto dall’attuale maggioranza interna, avrebbe messo in luce la natura personalistica e abborracciata di tante scissioni più o meno formali (non c’è solo quella che ha dato origine ad Mdp). Per questo hanno subito calcato la mano sul fatto che Pisapia aveva preso le distanze dal PD sventolando la bandiera della reintroduzione dell’art.18 dello statuto dei lavoratori e ribadendo che Renzi cercava solo l’alleanza con Berlusconi. Poi naturalmente si sono ben guardati dal far crescere la centralità effettiva di Pisapia, perché nessuno dei vari leader che dovrebbero federarsi è disponibile a lasciare il palcoscenico.

Sul versante opposto Renzi si è dimostrato incapace di cogliere l’occasione con la pazienza necessaria per gestirla. In un primo momento è sembrato accogliesse positivamente l’idea di un federatore a sinistra che non rispondeva a vecchie logiche scissioniste e che si presentava come intenzionato a ricostruire una alleanza col PD. Appena però ha visto che l’operazione sarebbe stata lunga e che Pisapia non aveva alcuna autorità per mettere in angolo l’antirenzismo, ha abbandonato la partita giudicandola fallimentare e si è rimesso a fare il Napoleone solo contro tutti.

Da questo punto di vista è stata sorprendente l’incapacità di sfruttare una cautissima apertura di Romano Prodi verso l’ipotesi di una ricostruzione del blocco di centrosinistra. Tutto preso dal desiderio di ribadire la sua centralità assoluta nel PD, Renzi non ha colto l’opportunità di dare un ruolo riconosciuto da padre nobile a colui che, comunque lo si valuti, nella memoria dell’elettorato di centrosinistra rimane il solo che ha sconfitto due volte Berlusconi in competizioni elettorali.

La sua scelta di tornare a cercare la centralità mediatica con un libro presto bruciato in anticipazioni giornalistiche non è stata brillante, soprattutto per avere soggiaciuto alla voglia di rivelare retroscena della lotta politica che si è svolta negli ultimi anni. E’ una storia che alla fine è imbarazzante per tutti, perché nessuno ne esce con una buona immagine e questo certamente non produce consenso, ma una certa voglia di tirarsi fuori, soprattutto da parte di quote delle classi dirigenti che poi orientano l’opinione pubblica.

In questo quadro cosa fa Pisapia? Annuncia che non si candiderà alle prossime elezioni, ma che resta impegnato nell’operazione federatrice che aveva annunciato. La scelta è comprensibile, ma sbagliata. Comprensibile perché non vuol farsi ingabbiare nelle lotte fratricide dei federandi che, con tutta evidenza, hanno in mente solo le prossime liste elettorali. Sbagliata, perché senza il ruolo di capo dell’operazione, certificato dalla sua guida della futura presenza parlamentare, gli sarà impossibile governare una federazione riottosa e con un eccesso di prime donne.

Non vale il rifarsi a figure come Grillo o Berlusconi che senza essere in parlamento guidano le loro truppe. Quelli sono padri-padroni e la loro parola detta legge nelle rispettive schiere. Pisapia, non solo per carattere, ma per storia e posizione oggettiva, non ha neppure lontanamente il potere di quelli. Innanzitutto perché è un federatore senza un movimento reale e presente a livello nazionale che possa fargli da guardia pretoriana (scusate la durezza del paragone): non è con Tabacci e con qualche parlamentare in cerca di casa che potrà esercitare quel ruolo di ristrutturatore della sinistra all’esterno del PD che è la vera premessa necessaria per qualsiasi rilancio del suo blocco storico da cui non ha senso espungere il PD. Accettando, come è ovvio, che siano le dinamiche interne a quel partito a stabilire come e attorno a chi strutturarsi.