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Inutili sceneggiate politiche in un momento assai delicato

Paolo Pombeni - 16.12.2014
Sciopero 12 dicembre 2014

Non per fare i pierini a tutti i costi ma è davvero umiliante per la qualità della nostra vita pubblica assistere ad una politica sempre più ridotta a sceneggiate a pro del palcoscenico mediatico.

Quando si parla in privato con economisti o uomini che si occupano seriamente di economia si raccolgono solo preoccupazioni profonde. Chi studia la fenomenologia del nostro sistema burocratico, o di quello della giustizia, o la tenuta del nostro sistema sociale non nasconde previsioni pessimistiche. Ci sarebbe da supporre che anche i membri della classe politica qualche volta smettano di discutere fra loro su come farsi fuori reciprocamente e prestino un orecchio, anche solo distratto, a queste analisi. Purtroppo a vedere come si comportano c’è da dubitarne.

Sarebbe veramente degna di miglior causa l’acribia con cui alcuni sindacati da un lato e un po’ di politici del PD in cerca di visibilità dall’altro lavorano a minare l’attuale governo. Non perché si debba arrivare a quello spauracchio ventilato in continuazione del “pensiero unico”: come qualsiasi politica anche quella di Renzi e dei suoi ministri può, anzi deve, essere sottoposta ad esame critico e va benissimo sviscerarne i pro e i contro. Ciò che non serve è scambiare per un’operazione di questo genere lo scomposto agitare fantasmi e frasi ad effetto.

Facciamo qualche esempio a pro del lettore. Nello sciopero generale del 12 dicembre si è tornati ad agitare lo spettro della Costituzione che, a causa della modifica del mitico art. 18, sarebbe fatta fermare alle porte delle fabbriche. Una colossale sciocchezza, perché l’art. 18 da oltre quarant’anni non vale per le aziende con meno di 15 dipendenti senza che i sindacati  e nessun altro abbiano mosso un dito per denunciare questa che sarebbe una violazione costituzionale (se ne sono accorti solo ora per ragioni tattiche). Il nuovo segretario generale della UIL si è buttato ad invocare una “nuova resistenza”, anche qui mostrando di non avere alcun controllo sui termini che usava.

Per boicottare la maggioranza di governo di cui fanno parte, alcuni parlamentari PD hanno votato contro una norma che assegnava al presidente della repubblica la nomina di cinque membri del nuovo senato riformato. Hanno motivato questa azione di disturbo con la “libertà di coscienza” che deve vigere in materia costituzionale, come se avere o non avere cinque membri nominati in quel modo sconvolgesse le regole dell’etica o mettesse a rischio gli equilibri della nazione.

Lasciamo perdere, perché note a tutti, le intemerate di questo o quel personaggio del PD contro l’attuale leadership del suo partito con la trita faccenda della difesa dell’ortodossia di sinistra. Come se questa esistesse, quando chiunque con qualche competenza può illustrare che le tipologie di “sinistra politica” sono molte e nessuno, in un contesto di democrazia competitiva, può arrogarsi il ruolo di chi fa scomuniche. Se ha la forza di farlo raccolga consensi sotto la sua bandiera in una libera competizione elettorale.

Ovvio che le opposizioni di fronte a questi spettacoli si gettino a capofitto nella mischia, convinte, come scrisse molti decenni fa De Gaulle, che la discordia nel campo del nemico sia un potente alleato per farlo fuori.

Perché tutto questo è molto preoccupante? La ragione è semplice: perché siamo un paese percepito a livello internazionale come realtà a rischio, con non poche difficoltà interne, e dunque tutto dovremmo fare tranne diffondere l’immagine di una Italia  avviluppata in eterne faide interne ed incapace di trovare un minimo di unità nemmeno davanti a prove tanto ardue come quelle che ci aspettano per raddrizzare la nostra situazione.

E’ incredibile che siamo noi stessi a mettere in scena i nostri peggiori stereotipi senza tenere conto che questi sono già molto radicati all’estero e che non sarebbe proprio il caso di accreditarli ulteriormente. Dare l’immagine di sindacati che prediligono lo scontro politico alla contrattazione aziendale, perché vogliono essere considerati alla stregua di un partito, di politici che lavorano per buttare giù un governo che ha un buon consenso senza sapere con cosa lo sostituiranno, di poteri di tutti i generi in perenne lotta tra loro pur di conservare i privilegi guadagnati in anni di caos istituzionale, non invoglierà certo ad attivare intereventi solidali con i nostri problemi, ed ancor meno ci consentirà di agire con autorevolezza sul terreno internazionale.

Quando poi dobbiamo temere che questo stato di cose ci porti in uno stato di ingovernabilità ad un appuntamento cruciale come l’elezione del successore di Napolitano, c’è da tremare. Possibile non ci si renda conto che in un contesto in cui il Quirinale viene visto come l’istituzione che può fungere da timoniere stabile in mezzo all’attuale tempesta, arrivare a questa designazione fra faide di corrente e lotte di fazione sarebbe creare un danno irreparabile tanto alla nostra credibilità esterna, quanto alla nostra stabilità interna?

Eppure sembra essere quello che rischia di accadere senza che se ne percepisca la gravità. La politica non è la brutta copia né di un talk show né di un assemblea di condominio o di studenti. E’ una cosa terribilmente seria e difficile in condizioni come quelle attuali. Pretendere che tutti se ne ricordino è il minimo a cui noi, gente comune, abbiamo diritto.