Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Il percorso verso una comunicazione più etica nel mondo della cooperazione.

Claudio Ceravolo * - 11.03.2017
IAP

L’immagine di John è davvero straziante : visibilmente malnutrito, con il respiro ansimante, costole sporgenti e sguardo straziato.

Credo che tutti i lettori di MENTE POLITICA abbiano bene in mente queste immagini scioccanti, trasmesse per mesi sui principali network televisivi.

Certamente era anche ben presente alla coscienza dei responsabili delle due più grandi reti di ONG italiane, AOI e Link 2007, che hanno aderito a fine febbraio all’Istituto di Autodisciplina della Pubblicità (IAP), consapevoli della necessità di una comunicazione etica, che possa contribuire al processo di conoscenza degli interventi di cooperazione, fuori da stereotipi e semplificazioni, che rischiano di avvallare distorsioni dell’informazione e generare incomprensioni tra società e culture.

Lo scorso anno il mondo della cooperazione aveva assistito con interesse al dibattito che aveva fatto seguito al duro attacco lanciato da Trovato e Mazzola, della rivista “Africa”, contro i responsabili di una grande ONG internazionale, soliti da anni fare uso di immagini a forte impatto emotivo per sollecitare la raccolta fondi.

“Per strappare ai telespettatori nove euro al mese, è messa a nudo la sofferenza dei minori – scrivono Trovato e Mazzola - Che fine ha fatto la Carta di Treviso? Parliamo del codice deontologico a uso dei giornalisti italiani stilato d’intesa con Telefono Azzurro, in cui si esige di porre particolare attenzione nella diffusione delle immagini e delle vicende riguardanti bambini malati, feriti o disabili. Vale solo per gli italiani? Per i bambini bianchi? E poi – continuano– viene rinsaldato, una volta di più e con mezzi mediatici potenti, il già ben radicato immaginario coloniale dell’Occidente sull’Africa, che a suo tempo fu alimentato – lo riconosciamo – a fin di bene anche dai missionari. Ma questa oggi non è più, se mai lo fu, un’attenuante. È anzi un’aggravante. Inescusabile soprattutto oggi, quando sappiamo di vivere in un mondo ben diverso dagli anni del Biafra, un’era in cui l’informazione disponeva di strumenti infinitamente inferiori e una lettura critica sull’umanitario non era ancora stata elaborata”.

A queste critiche i responsabili della comunicazione della ONG rispondevano di “essere consapevoli che quelle immagini possono toccare la sensibilità di qualcuno. Ma a nostro giudizio vanno trasmesse perché il grido di quei bambini non può restare inascoltato”.  Non si tratta di immagini costruite in studio, ma della pura e semplice realtà che vivono quotidianamente milioni di persone, ed è giusto che questa realtà venga “sbattuta in faccia” anche al pubblico di casa nostra.

 

Tutte le grandi ONG che fanno raccolta fondi, come Coopi, si sono da anni confrontate col problema di trovare un giusto equilibrio tra la necessità d’attirare l’attenzione in un mondo in cui i cittadini sono quotidianamente sollecitati da decine di richieste di denaro, e una comunicazione etica e rispettosa dei nostri partner nel sud del mondo.

Bisogna purtroppo dire che oggi solo la comunicazione “forte” rende, in termini economici.

Alcuni anni fa Coopi, rispettando il proprio Codice Etico, ha provato a realizzare una campagna contro la malnutrizione con immagini giocose di bambini che vincevano la propria guerra personale contro la fame.  E’ stata una campagna molto apprezzata dai pubblicitari e dagli addetti ai lavori, ma del tutto deludente sotto l’aspetto della raccolta fondi.

Sembrerebbe che solo colpendo forte allo stomaco si riesca a raccogliere denaro per delle cause che certamente lo meritano.

D’altra parte, la pubblicità scioccante tende a provocare assuefazione nel pubblico, e c’è il rischio di dover alzare sempre più in alto l’asticella del disgusto. Quale sarà il prossimo confine? Gli ultimi attimi di John prima di morire? e poi?

 

L’adesione al Codice di AOI e Link 2007,che insieme raccolgono la stragrande maggioranza delle ONG Italiane impegnate nella cooperazione internazionale, è una prima risposta a questa ricerca di un giusto equilibrio. Ma questo Codice di Autodisciplina non regola solo l’uso etico delle immagini nella comunicazione.  Esiste, infatti, un aspetto molto più importante, che sta nella correttezza e nella trasparenza dei contenuti e delle iniziative promosse.

Molto spesso il cittadino che versa denaro vuol sapere se davvero il suo contributo si traduca in cibo, acqua, salute, o se non finisca a sostenere quella che Valentina Furlanetto ha chiamato “L’industria della carità”.

Il lettore di MENTE POLITICA, che è attento alla sostanza ed interessato a ricevere una comunicazione trasparente, quali strumenti ha per distinguere le molte ONG meritorie da qualche gruppo che fa un uso disinvolto dei fondi (e purtroppo ne esistono anche nel nostro mondo…) ?

Il mio consiglio è di andare a vedere in primo luogo il sito della ONGa cui si è interessati ; sono indicati con chiarezza gli interventi in corso, viene bene specificato il finanziamento?

E, a monte, l’ONG in esame realizza direttamente i progetti o si occupa solo di Fundraising?

Infatti molte sedi italiane di grandi ONG internazionali non realizzano direttamente interventi, ma raccolgono fondi che vengono poi versati alla “casa madre”. Nulla di illecito in questo, ma a mio parere è giusto che sia detto con trasparenza.

In secondo luogo, è bene dare un’occhiata al bilancio : in particolare, andrebbe chiarito in quale percentuale i fondi sono utilizzati sul terreno, e in quale percentuale per la struttura e la raccolta fondi.

Dal 2015 è nata Open Cooperazione, una realtà virtuosa attraverso la quale le ONG e tutti gli altri attori coinvolti nella cooperazione internazionale possono rendere trasparenti i propri dati e la propria governance. Questi dati sono facilmente consultabili sul sito http://www.open-cooperazione.it/web/ , e rispettano lo standard IATI, un quadro di riferimento internazionale per la pubblicazione delle informazioni sulle attività di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario.Una ONG che non pubblica i propri dati andrebbe vista con occhio critico, da chi intende dare un contributo.

 

La prossima frontiera della trasparenza sta nel rendere pubblica l’efficacia del proprio intervento.  Spendere in modo corretto i fondi ricevuti è infatti fondamentale, ma non sufficiente : i soldi possono essere stati spesi onestamente, ma con risultati sul campo poco incisivi, a  volte addirittura controproducenti. Le 12 ONG di Link sono impegnate, dopo aver firmato 2 anni fa la carta dell’accountability, in questo percorso, difficile ma necessario : valutare l’impatto del proprio lavoro, condividerlo anche con le comunità con le quali operiamo, fare della valutazione uno strumento di miglioramento continuo.

E,finalmente, comunicarlo con onestà e trasparenza, nel rispetto del Codice di Autodisciplina.





* Claudio Ceravolo, Medico di professione, ha lavorato in Africa con l’ONG Coopi di Milano fin dal 1981, conducendo diverse missioni tra Congo, Somalia, Cameroun, Tchad e Centrafrica. Dal 2010 è presidente di Coopi (www.coopi.org).