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Hollande cala il sipario

Riccardo Brizzi - 07.12.2016
Rinuncia François Hollande

«Un quinquennato si giudica all’inizio e si sanziona alla fine» aveva anticipato nel corso della campagna presidenziale del 2012 il candidato socialista François Hollande. Da presidente in scadenza di mandato ha preferito togliere ogni equivoco. Giovedì scorso, di fronte alle telecamere, ha preso atto della distanza ormai incolmabile con i francesi: « Ho deciso di non candidarmi alle presidenziali » ha dichiarato, visibilmente emozionato, al termine di un discorso di una decina di minuti pronunciato all’Eliseo. Molti osservatori hanno paragonato la rinuncia di Hollande a quella di un altro socialista, Jacques Delors, che l’11 dicembre 1994  annunciò la propria indisponibilità a correre per le presidenziali della primavera successiva. La comparazione tuttavia non può tacere due differenze significative tra questi episodi. Innanzitutto Delors appariva all’epoca il grande favorito della corsa presidenziale, mentre Hollande sconta oggi una crisi di consenso senza precedenti, che avrebbe pregiudicato qualsiasi possibilità di permanenza all’Eliseo. In secondo luogo Hollande ha annunciato il suo rifiuto a candidarsi da presidente in carica ed è la prima volta nella storia della V Repubblica che un capo dello Stato rinuncia a correre per la propria successione al termine di un solo mandato.

 

Il presidente «normale» non è riuscito a guadagnarsi la fiducia dei propri compatrioti, stretto nella morsa multiforme della crisi e della disoccupazione, del rigore e dell’austerità europea, delle polemiche sui matrimoni gay e della spirale terroristica che ha investito la Francia. L’uomo che aveva fatto della capacità di «sintesi» tra le varie anime del partito il proprio punto di forza negli undici anni trascorsi alla guida del Ps (1997-2008), sembra avere fallito nell’opera di pacificazione nazionale che aveva annunciato dopo cinque anni divisivi di Sarkozy. Il bilancio è impietoso. Negli ultimi quattro anni i socialisti sono stati sconfitti in tutte le elezioni intermedie (municipali, europee, rinnovo del Senato, dipartimentali e regionali), mentre il capo dello Stato ha polverizzato qualsiasi record di impopolarità nella storia della V Repubblica. E il crepuscolo del mandato non ha invertito la rotta: a fine novembre 2016 il 79% di opinioni negative sulla presidenza Hollande (a fronte del 17% di giudizi positivi) supera ampiamente il 70% conseguito da Chirac nel giugno 2006 e il 72% da Sarkozy nell’aprile 2011.

 

Cosa non ha funzionato? Innanzitutto Hollande si è trovato ad operare in un contesto estremamente delicato, ma ha pagato soprattutto l’incapacità di dare forma e sostanza al proprio programma elettorale sul terreno economico (e questo spiega il repentino calo di consensi, che ha preceduto di molto gli attentati del 2015), simboleggiato dalla retromarcia sulla misura-faro della campagna elettorale, ossia la tassazione al 75% per i redditi milionari. Il 2016 avrebbe dovuto essere l’anno del rilancio ed è invece trascorso tra il dibattito sull’abolizione della nazionalità ai terroristi (altro progetto abbandonato) e la straziante approvazione della Legge sul lavoro, mentre i dati economici sono stati deludenti sul fronte dell’occupazione ((il 2016 si chiuderà con quasi 4 milioni di inattivi), della crescita (il terzo trimestre del 2016 ha fatto registrare un timido +0,2%, dopo il -0,1% del secondo) e del deficit (il rientro nei parametri di Maastricht, previsto per il 2013, sarà raggiunto soltanto a fine 2017). È emerso poi un problema connaturato alla figura stessa di Hollande e alla sua interpretazione della funzione presidenziale. Il «presidente normale» si  dimostrato inadatto a governare tempi di crisi e di angoscia collettiva che – come testimoniano la genesi e la storia della V Repubblica – richiedono una guida carismatica capace di dialogare in maniera autorevole con l’opinione pubblica. Il basso profilo e lo scarso decisionismo di Hollande hanno disorientato i francesi, trasmettendo l’immagine di una presidenza trasparente e inefficace, eccezion fatta nei momenti di commozione nazionale seguiti alle stragi terroristiche (Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza…).

 

Hollande ha preso atto della propria incapacità di compattare la sinistra e di imporsi come candidato unico del suo campo, facendosi da parte: «Non posso accettare la dispersione della sinistra, la sua esplosione». Nel corso del suo mandato d’altronde la sinistra è andata in pezzi tra la secessione del Partito comunista, le intemperanze del Front de gauche, gli strappi degli ecologisti e le faide intestine del Ps. Ma se l’uscita di scena di Hollande apre nuove prospettive in casa socialista alla vigilia delle primarie di gennaio (la principale dovrebbe essere la candidatura del primo ministro Manuel Valls), rischia di essere inutile ai fini della corsa all’Eliseo. A sinistra infatti sono ben sei i candidati già ai blocchi di partenza, in attesa che il Ps individui il proprio portabandiera: il federatore della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon, l’ex ministro dell’Economia Emmanuel Macron, rappresentante della corrente liberal-progressista, due candidati trotzkisti, un ecologista e l’outsider Sylvia Pinel. Troppi pretendenti a dividersi un bottino elettorale che tutti i sondaggi indicano essere piuttosto magro (tra il 33 e il 36%). La strada verso il ballottaggio tra François Fillon e Marine Le Pen appare spianata, in una riedizione delle presidenziali del 2002 (allora furono Chirac e Le Pen padre a confrontarsi) in cui tuttavia il candidato frontista non appare più la vittima sacrificale.

 

L’uscita di scena di Hollande tuttavia non deve essere interpretata solo come una svolta interna al Partito socialista, dove esce di scena il padrone di casa dell’ultimo ventennio. Essa si somma infatti, nel corso di una settimana, a quelle di Alain Juppé e Nicolas Sarkozy all’interno della destra repubblicana, sancendo la fine di un’era. Tramonta una generazione politica che si è dimostrata incapace di arginare la sindrome da declino francese e di frenare la marea populista che la cavalca.

Una sindrome da declino che si è aggravata con l'esplodere della crisi economica e si è ulteriormente acuita nel corso della presidenza Hollande, come testimoniano le tante Cassandre che annunciano a colpi di best seller (si pensi ai successi editoriali di Nicolas Baverez, Michel Houellebeck, Eric Zemmour o Emmanuel Todd) la fine della Repubblica e il «suicidio» francese. Un'angoscia ampiamente condivisa dall'opinione pubblica, che si manifesta sotto molteplici forme: clima generalizzato di antipolitica, trionfo del voto-sanzione, radicale euroscetticismo, tensioni xenofobe e timori di una progressiva islamizzazione della società. Tutti fattori che non scompariranno d’incanto con l’uscita di scena di un presidente impopolare, ma che condizioneranno pesantemente le presidenziali alle porte e la scena politica francese negli anni a venire.